Le conseguenze economiche della pace

Cosa sarà dell’Europa quando – si spera al più presto – si arriverà a qualche forma di pace? Inutile provare a speculare su che ne sarà dell’America. Dopo la fuga di Biden dall’Afghanistan e la sua gestione spensierata dell’escalation in Ucraina è chiaro che fare previsioni – e affidamenti – sugli Usa è giocare a dadi con la – nostra – Storia. Per non parlare dell’eventualità che a novembre torni in sella Trump, le cui giravolte con Putin sono del tutto imprevedibili. E comunque molto rischiose. Facciamo prima a dirci con crudezza che dovremo ripensare l’Europa, in un ordine geopolitico diverso da quello di pochi giorni fa. E a noi molto più ostile.

Concorrono su questa diagnosi le analisi che, dopo le prime reazioni di indignazione, cominciano a ricostruire i passaggi che hanno condotto a questa catastrofe. Robert Kaplan – il decano degli internazionalisti occidentali – aveva lanciato il suo anatema subito dopo la svolta della Nato di includere nella propria orbita gli ex satelliti sovietici e, a seguire, integrarli economicamente nella EU. La tesi che la Russia di Putin, ripresasi a stento dall’abisso socioeconomico dell’89, avrebbe accettato e subìto questo progressivo accerchiamento si basava su un presupposto ideologico: la superiorità del sistema democratico. Un presupposto – scrive Matt Bai sul Washington Post – andato in frantumi nel mondo e tra gli stessi occidentali nel corso dell’ultimo ventennio. E che certo non ha fatto mai breccia nella concezione di Putin di quali fossero – e come difendere – i confini del proprio impero. Come ha notato Stephen Walt su Foreign Policy, il risultato attuale è un clamoroso errore di calcolo: che il perseguimento degli interessi economici e valoriali europei potesse essere imposto a oltranza alla Russia e al suo esercito.

Nel momento in cui Putin sposta lo scontro sul proprio terreno, invadendo il territorio nemico, la Nato – in ordine più o meno sparso – è chiamata a rispondere con le armi. Per il momento offrendole agli ucraini. Ma cosa farà se la pressione dei carri armati russi si avvicina al confine polacco? E non rischia di essere comunque questo l’esito di una pace che veda la sottomissione dell’Ucraina? Quale che sarà il prezzo immediato che pagheremo a questa guerra, si è chiusa in questi giorni l’illusione di avere pacificato finalmente il confine tra ovest e est dell’Europa. Prendersela con la follia di un autocrate terrà banco nei talk-show. E certamente una parte di verità riguarda anche – come insegna il quasi-golpe di Capitol Hill – la deriva dei regimi politici affidati a un comando monocratico sempre più plenipotenziario e incontrollato. Ma conviene andarsi a rileggere gli appelli a Biden – sempre di Robert Kaplan – la scorsa primavera per convincerlo a modificare il suo rapporto con Putin e sottrarlo alla morsa cinese. Che è invece proprio quello che ora accadrà inesorabilmente. È presto per valutare se la Cina – che ha tempi e modalità diverse di intervento – sfrutterà la crisi ucraina e l’assenza di una reazione militare americana per accelerare le sue mire di annessione su Taiwan. Ma il riavvicinamento tra le due superpotenze asiatiche è il perno su cui ruoteranno gran parte dei giochi sullo scacchiere mondiale.

Di fronte a questi sommovimenti, qualcuno potrà ancora pensare di consolarsi con il prezzo economico che la Russia dovrà pagare. Non è chiaro, però, quale sarà il reale impatto delle sanzioni. Le uniche cifre, per il momento, che si sanno sono quelle disastrose per noi, europei e in particolare italiani, snocciolate da Romano Prodi nella sua intervista a Federico Fubini sul Corriere. Uno dei rari esempi di giornalismo di informazione in questi giorni così confusi. Le perdite delle nostre esportazioni saranno ingenti e, in molti casi, rischiano di essere irreversibili. Con conseguenze a catena sul tessuto industriale e sulla sua già incerta ripresa. Quelle più immediate, sulle bollette familiari, le stiamo già sperimentando. Ma è solo un anticipo delle nubi che si stanno addensando sul futuro della riconversione ecologica, con il carbone e il petrolio che tornano a far sentire il loro peso – e inquinamento. Per non parlare dei conti politici, con l’immigrazione che ridiventerà un fronte cruciale. Vedremo quanto durerà la solidarietà umanitaria di queste primissime ore, e quando invece rispunteranno gli ostracismi – e l’odio – che hanno trainato i populismi sovranisti est-europei, e nostrani.

Quanto alla Russia – o, più precisamente, ai russi – si leggono stime molto discordanti. Quel che è peggio, non è chiaro cosa augurarsi. Si continua a parlare di oligarchi, e di flussi finanziari bancari. Ma il conto vero lo pagheranno le masse, in balia di decisioni sulle quali hanno scarsissima influenza. Se le sanzioni dovessero mordere pesantemente sul popolo russo, rischiamo di innescare la spirale nazionalista che Keynes previde lucidamente contestando le decisioni prese a Versailles per la Germania. Si compirebbe così definitivamente quel distacco della Russia dall’Europa che sancirebbe drammaticamente il nostro isolamento strategico. L’Europa che sembrava riuscisse a risorgere dalle ceneri di Berlino tramonterebbe definitivamente a Kiev.

di Mauro Calise.

“Il Mattino”, 28 febbraio 2022.

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