Niente paura – Julian Barnes – Einaudi Editore

Non credo che la vedrò mai piú. Non la potrò mai piú vedere, sentire, toccare, abbracciare, ascoltare; non riderò piú con lei, non aspetterò il rumore dei suoi passi, non sorriderò sentendole aprire la porta, non incastrerò il suo corpo nel mio, il mio nel suo. E non credo nemmeno che ci rincontreremo con chissà quali fattezze smaterializzate. Sono convinto che chi è morto è morto.”

Che Julian Barnes tocchi sempre la carne viva  è  cosa per me nota, i suoi libri sanno stare in quel vuoto che i più evitano e che Lao Tse sa definire con sapienza : L’Essere crea fenomeni che solo il vuoto consente di utilizzare.

C’è chi il vuoto lo dileggia, chi nemmeno si fa la domanda, chi lo usa come trampolino alla trascendenza, chi come Barnes lo esplora, ma più che un’esplorazione, che richiede una sorta di cautela, Barnes lo seziona come un abile chirurgo, bene attento a non evitare alcunchè di quel che ci si può trovare e me lo immagino col camice bianco, davanti al tavolo chirurgico, che depone il sigaro sulla piega del braccio del morto stecchito, per fermarsi ancor più in quel vuoto evocato da una effimera forma.

Se qualcuno sa fare vuoto per fare anima, non è certo Barnes, l’azzurro gelido dei suoi occhi spacca come lama quello che potrebbe essere il senso delle cose, lo raggiunge come laser nell’angolo più nascosto e lo svela con un accanimento che mi inquieta sempre.

Niente da fare, non offre vie di scampo, Barnes ci porta sempre in un cul de sac, e ci abbandona senza sensi di colpa. A differenza di quel che penso degli inglesi, cioè che ridipingono sopra la vecchia vernice, Barnes scrosta tutto sino ad arrivare alla nudità pulsante della materia , ce la lancia, come un pezzo di carne a un’incauta fiera  e ci chiede di osservarla “senza paura” .

E’ forse così che Barnes attacca la sua fragilità umana?   Forse per non diventare come certi uomini che così descrive :
“Al di sotto di una certa soglia è questo che diventano gli uomini: sistemi di sopravvivenza.”

O forse perchè c’è una bella differenza tra scrittura e vita:
“I libri dicono: lei ha fatto questo perché. La vita dice: lei ha fatto questo. I libri sono dove ti vengono spiegate le cose, la vita dove le cose non vengono spiegate.”

A dispetto di quel che scrive, Barnes se ne fa di domande e non le lascia respirare, tratta le cose come un pugilatore o come un duellante che offre il cuore al nemico anche di notte.

Nell’ultimo libro ” niente paura” – in buona compagnia con una fitta schiera di illustri tanatofobici , da Montaigne a Renard, da Rachmaninov a Larkin ( e me !) Barnes affronta il tema della morte.

La invita a tavola, un piatto per rincuorarci, un altro per tiranneggiarci, con grande abilità e arguzia  – è un ottimo chef – non ci lascia alzare se non dopo il brandy e il sigaro, da gran finale.

Barnes ha quell’humor inglese che mi piace, lo aspetti come aspetti l’apertura del bar per farti un buon gin tonic e spezzare così la durezza del cuore.

Ci convivi con la morte, l’assaggi, la scacci, la esili, la incontri e ogni volta vorresti aver fatto un piccolo passo in avanti – o indietro – e invece niente. Lei è sempre là, illuminata dal sottile raggio di speranza che sempre ti tradisce solo perchè tu non sai essere fedele a niente.

Immaginare la nostra morte, immaginare di dire addio al nostro io, lasciare libera la via. In questo lungo cammino Barnes ci fa incontrare le domande che non vorremmo porci, gli incontri che non possiamo più avere con gli amici morti, con gli amanti scomparsi, con tutte le nostre foglie cadute dall’albero che credevamo verde per sempre.

“Non credo in Dio, però mi manca” è l’incipit del libro, tagliente, come quella lama di coltello che un buon incipit deve avere , proustiano nell’impianto, bergamaniano nelle immagini, rachmaninoviano nella musica.

Oggi chi può ancora dire le sue ultime parole , che magari potrebbero anche diventare famose?

Oggi che moriamo da soli e in nessun luogo , questo libro mi ha fatto pensare l’impensabile per me , vuoi vedere che forse l’unica vera amica è proprio la Morte? Lei che ci ha accompagnato per tutta la vita, fedele come un cane, appassionata come un’amante, disinteressata a controllarmi.

“Io ci sono sempre stata per te” .

Chissà, forse potremmo iniziare ad amarla?

    di Patrizia Gioia

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