Alcune “modeste proposte” per la pace

Per parlare della pace e della guerra senza ricadere nella mistica adorazione per i “rapporti di forza” – di cui pure bisogna tenere conto – abbiamo come italiani e antifascisti l’obbligo di partire dalla nostra Costituzione che afferma nel suo profetico articolo 11 che l’Italia “ripudia la guerra” come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali. Queste sono le bellissime parole scolpite nella pietra della nostra Costituzione.

Fra i costituenti c’era chi, come il vecchio Nitti, derideva apertamente questo principio come frutto di un risibile idealismo fuori dal mondo reale. Se non riteniamo che abbia ragione il boomer Nitti (si direbbe oggi), le cui idee di politica economica erano già vecchie nel 1919 e hanno contributo ad aprire la strada al fascismo, e il cui vecchiume concettuale traspare nelle discussioni della Costituente, e se pensiamo invece che l’art.11 oltre che bello e giusto sia anche intelligente e lungimirante, come personalmente penso che sia, come cittadini italiani siamo impegnati a rispettare e promuovere i dettami dell’art.11 come un programma politico e strategico ancora da attuare pienamente e non solo come un principio astratto. Considerando che oggi abbiamo, anche nell’evoluzione del pensiero economico post-keynesiano, molti strumenti in più, sia concettuali che tecnologici e informatici utili ad attuare politiche economiche innovative che siano anche “strategicamente” pacifiste ed ecologiste.

Da molti commentatori sono state ricordate quelle che sono le ragioni psicologiche e “geopolitiche” della Russia, che si sentirebbe accerchiata, che certamente non vanno derise o sottovalutate, ma appare del tutto evidente che con l’aggressione all’Ucraina, quali che siano le motivazioni della dirigenza russa, il leader del Cremlino Vladimir Putin ha violato entrambi i sacri principi sanciti dalla nostra Costituzione. Sottolineiamo dunque che: 1) coi suoi ferrivecchi concettuali e ideologici Putin sta esattamente dicendo che la guerra è un modo legittimo per risolvere le controversie (non diversamente, peraltro, da chi ha teorizzato ed applicato il concetto della guerra “preventiva”) concetto che noi da italiani abbiamo giustamente “ripudiato”; 2) Putin non è certamente pazzo, ma ricordiamo che è ormai alla presidenza da oltre due decenni e chiunque dopo una permanenza così lunga al potere (come gli fece notare il regista Oliver Stone nelle conclusioni della famosa intervista) rischia di perdere il contatto con la realtà e di sviluppare deliri mistici o di onnipotenza; 3) sempre Stone gli fece notare che si può essere certamente critici quanto si vuole della “democrazia occidentale”, ma che un sistema politico che non riesce a garantire la transizione ordinata dei poteri è destinato al fallimento e al declino per quante “cose buone” possa avere fatto durante il suo percorso. Annotiamo che finora l’unico sistema che garantisce la transizione ordinata dei poteri (anche se qualche volta in modo tormentato come il 6 gennaio 2021 a Washington D.C.) è la democrazia, con tutti i suoi limiti.

Nonostante la Russia si senta accerchiata dalle politiche espansive della NATO, e abbia sicuramente qualche ragione per offrire al mondo questa preoccupazione, basta prendere in mano una carta geografica per vedere che la Federazione Russa dispone di un territorio enorme, non le manca niente in termini di risorse prime (anche se il Donbass pare nascondere preziose risorse minerarie) e farebbe forse bene a prendersi cura di questo immenso territorio con delle politiche economiche e industriali molto diverse da quelle dell’industria militare e pesante, puntando su uno sviluppo delle infrastrutture civili (di tutti i tipi sia materiali sia quelle immateriali per dirla con Bernie Sanders) ma su questo ci torno dopo. Difendendo quindi i suoi confini attuali con altri strumenti, molto più efficaci che non ammassare centinaia di migliaia di truppe e di tanto in tanto sfondare violentemente il fronte, così come i diritti delle popolazioni russofone al di fuori della Russia valendosi degli strumenti del diritto internazionale. Ma comunque è evidente che in questa dimensione l’ossessione per il Donbass, la presunta sacralità di Kiev e la rieducazione degli “eretici” ucraini sembrano un delirio fuori dalla realtà.

La brutale aggressione militare dell’Ucraina in quanto tale, considerati i rapporti di forza fra i due eserciti in campo, non può che essere qualificata come criminale: ad andarci di mezzo sono soprattutto i civili inermi e le famiglie distrutte. Ricordiamo che della guerra moderna fa parte integrante la carneficina dei civili e il terrorismo strategico, pianificato a tavolino, attuato tramite la distruzione delle strutture civili e i bombardamenti, per fiaccare l’animo delle popolazioni aggredite. E’ successo a Dresda, nel bombardamento di Tokyo, con le atomiche su Hiroshima e Nagasaki ecc (tutto questo come noto da parte dei “buoni”). Così come nei tempi più recenti nella ex Jugoslavia, in Cecenia, in Iraq e in Siria ecc. La visione dei cadaveri in mezzo alle strade è un orrore sconvolgente, ma non bisogna mai dimenticare che in guerra questi episodi di distruzione e terrore vengono pianificati scientificamente e non sono frutto del caso, con gli aggressori che poi si affannano a spiegare che le bombe sono “intelligenti” o viceversa che non è una guerra ma una “operazione militare speciale” (Orwell prendi nota!) mentre le vittime sono sempre “danni collaterali” ma questo è naturalmente solo per le pubbliche relazioni, i generali e i politici che li autorizzano sanno benissimo quello che fanno quando compiono i massacri delle popolazioni civili.

Faccio pertanto di nuovo mie le osservazioni del regista Oliver Stone all’indomani dell’invasione (che con le sue posizioni da “battitore libero” non è certo un nemico della Russia, ha fatto a Putin una lunga e interessante intervista che avevo in passato parzialmente recensito che ho già sopra richiamato): il fatto che gli USA dal 1945 a oggi abbiano commesso “una dozzina” di misfatti di questo tipo, non rettifica in nessun modo il torto di Putin, “nemmeno una dozzina di torti fanno una ragione” per Putin. Putin, continua Stone, commette quindi un crimine e un errore di vasta portata, innalzando in Europa una nuova inutile cortina di ferro e distogliendo il mondo dalla grande battaglia comune contro i cambiamenti climatici. Il pericolo maggiore che ci sovrasta è lo squilibrio che l’umanità ha indotto nel mondo naturale che rischia di condannarci all’estinzione (che in tal caso si potrà dire essere meritata dalla nostra specie che non riesce a cooperare per difendere la propria sopravvivenza e tollera atteggiamenti autoparassitari).

Personalmente, utilizzando uno slang oggi in voga mi viene da chiamarla “la guerra dei boomer”, la guerra di Putin è la guerra dei nostalgici della guerra fredda con pesanti cingoli al posto delle sinapsi nel cervello, mentre abbiamo questioni enormi da affrontare come i cambiamenti climatici e le pandemie, che invece per i vecchietti in questione (anche se a volte hanno meno di 40 anni ma sono molto vecchi dentro) notoriamente sono cospirazioni di Soros. Quando pensano si sente proprio sferragliare i cingoli più che il silenzioso ronzio dell’auto elettrica. Ma la malattia sta già contagiando anche l’Unione Europea che da posizioni pacifiste e mediatrici (come quando molti paesi europei si erano opposti alla guerra illegale in Iraq) si sta spostando su suggestioni e proclami, oltreché azioni, sempre più belliciste, verso un pericoloso e disordinato riarmo.

E’ chiaro che chi è aggredito ha il diritto e il dovere di difendersi anche con le armi (art. 52 della Costituzione) e anche di chiedere la solidarietà delle altre nazioni libere, e come recita sempre l’art.11: consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Su questo penso che la Costituzione ci chiede di essere tutti concordi. Su quello che viene logicamente dopo, però, la discussione deve essere francamente considerata libera perché non c’è una strada chiara e univoca verso la soluzione di questa complessa crisi. Non è obbligatorio mettersi l’elmetto come pretendono molti politici e commentatori (si distinguono per gli accesi toni militaristi Letta, Draghi e Guerini forse per contendere all’uscente Stoltenberg la poltrona del prossimo segretario generale della NATO) così come non è accettabile che chi solleva obiezioni sulla pericolosa corsa al riarmo venga additato come amico dei putiniani (anche da chi spesso e volentieri faceva lauti affari con il sistema di Putin fino a poche settimane fa). Sapendo che ci sono motivazioni razionali e “strategiche” oltre che di principio per le diverse posizioni.

L’invio indiscriminato di armi potrebbe, per esempio, contribuire a stringere nell’angolo la Russia che ha forse sopravvalutato le proprie capacità militari o forse la motivazione delle proprie truppe, costrette inspiegabilmente ad aggredire un popolo considerato fratello, e spingere la sua dirigenza politica verso un punto di non ritorno. E inoltre come impedire che questi armamenti finiscano nelle mani di determinati tagliagole che sono distribuiti, ahinoi, su tutti e due i fronti e che abbiamo già visto all’opera?

Come nota Enrico Grazzini sul Fatto Quotidiano inoltre, bisogna anche prendere atto che sul medio e lungo periodo gli interessi di Europa e Stati Uniti divergono e che l’Europa deve (dovrebbe se esistesse, ma non esiste, ma facciamo finta che esista per portare in fondo il ragionamento) muoversi autonomamente per porre fine il più rapidamente possibile al conflitto e non seguire pericolose suggestioni di allargamento del conflitto. L’Europa fa bene a sanzionare Putin ma non ha nessun interesse oggettivo che la Russia si disgreghi e finisca nelle mani della Cina. O che le sanzioni diventino talmente pesanti da mettere in ginocchio noi stessi (per esempio quelle ipotizzate sul gas) prima che l’avversario. L’Europa, si dice, dovrebbe avere una politica estera comune e un esercito comune. Il problema però è questo: chi è che dichiara la guerra? la Von der Leyen, Scholz, Macron (o la Le Pen)? Oppure il banchiere Draghi o il suo attendente di campo Di Maio… cioè una Europa che continua a essere espressione dei poteri forti e a-democratica al suo interno (l’Europa “funzionalista” tecnocratica da molti additata come la soluzione che invece è il problema) ha poca strada da fare. Che tipo di politica estera comune dovrebbe avere la UE? Questo è quello che va deciso democraticamente prima di aumentare le spese militari e dotarsi di un esercito comune. Lo devono decidere i cittadini europei e non i circoli lobbistici legati al complesso militare industriale europeo. La politica internazionale della UE, se “pacifica strategica” o di “riarmo strategico” (questa l’alternativa secca, che non vuole dire priva di esercito e di difesa) deve essere decisa dai cittadini europei e non da questi signori che parlano a nome dell’Europa senza essere eletti da nessuno.

Strettamente collegato a questo tema è quello dell’energia e delle sanzioni economiche. E lo stesso tema delle sanzioni merita una discussione: la tendenza all’autosufficienza energetica è un fatto positivo, ma ricordandosi che autosufficienza energetica non vuole dire autarchia e che l’interconnesione (energetica ma anche delle reti informatiche) è un valore perché servono garanzie per tutti e ridondanze di sistema, considerando anche che il gas russo appartiene al popolo russo e non a Putin e i suoi proventi dovrebbero andare a beneficio di un sistema industriale civile moderno ed efficiente e non fare il bengodi dell’industria pesante e dei suoi manutengoli miliardari (cosiddetti oligarchi). Così come la foresta amazzonica in Brasile non appartiene a Bolsonaro e ai possidenti terrieri che la sfruttano, ma alle tribù indigene, ai brasiliani e al mondo intero, al suo ecosistema. E’ una riserva naturale, proprio come il gas russo è una riserva energetica che va gestita assennatamente. Putin nel suo (noioso e perdente) pan-slavismo si oppone alla democrazia liberale considerata come “falsa” ma questo non lo autorizza a disconoscere la possibilità di forme di democrazia diversa dalla nostra ma pur sempre nettamente distinte dall’autocrazia e dal dispotismo. Se la democrazia occidentale si può discutere, possono esistere forme o traiettorie diverse dalla nostra come spiega Amartya Sen. Putin pertanto non è giustificato e il dispotismo quando è tale si riconosce subito. In questo senso anche il discorso di Biden sulla “lega delle democrazie” contro le “autocrazie” lascia il tempo che trova se restringe il campo alle sole liberal-democrazie occidentali oggi in evidente crisi e non lascia aperta la porta ad altre esperienze anche molto diverse dalla nostra, non immediatamente inquadrabili nei nostri parametri culturali.

L’Europa avrebbe quindi tutto l’interesse a opporre al riarmo strategico un disegno di pacifismo strategico, nel quale si dovrebbe tenere conto non dell’interesse di Putin ma di quello al benessere del popolo russo (con un vantaggio per tutti). Oggi nell’immediato abbiamo il problema delle riserve di gas ma nei prossimi decenni le fonti fossili e dunque anche il gas dovranno essere ridotte e infine azzerate, nel rispetto degli impegni presi per il clima e dunque il popolo russo è condannato alla fame se non ha più da vendere il suo gas. Non è che possiamo volere questo in nome dell’autarchia energetica o della punizione di un regime (col rischio di ottenere l’effetto opposto). Quindi occorre riscrivere la dottrina di una nuova economia globale, rivedendo completamente i parametri del sistema finanziario, una nuova Bretton Woods di cui si sente il bisogno ma più lungimirante e durevole, non fondata sul dominio di una sola potenza col suo “esorbitante privilegio”, che dovrebbe partire proprio da una proposta strategica europea ai paesi detentori di risorse naturali (la Russia, come il Brasile, l’Africa ecc.) che suona in questo modo: cambiamo la contabilità della crescita economica in modo che tenga conto degli obiettivi climatici e del benessere globale (come ha proposto autorevolmente al Parlamento il premio Nobel Giorgio Parisi sfidando le certezze vetero-economicistiche del premier Draghi) e paghiamo la Russia per non estrarre il gas (paghiamo il Brasile per non deforestare l’Amazzonia ecc) cioè paghiamo quella quota-parte crescente di gas che non verrà estratto dal sottosuolo poiché sostituito gradualmente dalle fonti rinnovabili. Come contropartita il governo russo si dovrebbe semplicemente impegnare a investire questi utili esclusivamente nelle infrastrutture civili impegnandosi per il disarmo nucleare, dismettendo la tendenza autodistruttiva all’industria pesante che ha condannato la Russia, dai tempi di Stalin fino a oggi, a essere una superpotenza militare ma un nano economico, con gravi conseguenze per i suoi cittadini: oggi la Russia è in recessione e in crisi demografica e non solo per via delle sanzioni ma per lo squilibrio dell’economia verso le spese militari. E se i governanti russi non rispettano questa condizione? Mi verrebbe da rispondere con una orribile battuta, se non fanno le riforme mandiamogli la Troika. Ma ovviamente la Troika gliela manderebbe Herr Schaeuble e fa parte del problema e non della soluzione, si tratta di costruire sul tavolo negoziale una serie di garanzie fra le parti. Ma la Russia di Putin e di chi verrà dopo di lui, senza apertura al mondo e senza un cambio strutturale della sua economia, da militare a civile, è destinata al declino economico e demografico su un territorio enorme (ma lui pensa al Donbass: in questo senso è proprio pazzo). Naturalmente qualcuno mi risponderà che il cinico Putin si farà due risate di questa mia proposta: non ne dubito, ma con i mezzi informatici (al momento la Russia non è ancora riuscita a staccarsi dalla rete internet pur volendolo forse fare, vedi la forza del principio di interconnessione in un “sistema complesso”) e con il soft power delle relazioni internazionali possiamo raggiungere direttamente i cittadini russi e in ogni caso abbiamo il dovere politico-morale di fare una simile proposta. E se l’Europa avesse fatto questa proposta alla Russia dieci anni fa, smarcandosi dagli USA e dai potentati economici mitteleuropei e pensando ai suoi interessi, cioè agli interessi dei suoi milioni di cittadini, che soffrono le crisi specie nei paesi periferici ma non solo, le cose oggi sarebbero probabilmente molto diverse.

Il moltiplicatore di questo tipo di proposte è grande perché a fronte di una passività contabile momentanea, si avranno guadagni molto maggiori a medio e lungo termine prevenendo i costi delle crisi politiche e dei disastri naturali e climatici. Quindi tutte queste che non sono reali passività andrebbero conteggiate come attività (guadagni) non soltanto potenziali ma subito in atto: abbiamo del resto una banca centrale europea che avrebbe tutti gli strumenti, volendoli utilizzare e volendo aggiornare il suo statuto rispetto agli angusti limiti attuali, per attuare queste ambiziose politiche. E se qualcosa va storto, quando il vento non soffia o un vulcano dell’Indonesia dovesse oscurare il sole per due anni, puoi sempre accedere alla riserva strategica conservata nel sottosuolo quando serve al nostro continente, in caso di emergenza (ridondanza del sistema): noi in questo continente ci viviamo, gli americani avranno altre legittime priorità ma è tempo per noi di individuare e perseguire le nostre. Quindi pur andando verso l’autosufficienza energetica garantita dalle fonti rinnovabili non serve affatto cancellare i gasdotti che ci collegano alla Russia e ai paesi caucasici in questa paradossale inversione a U che ora i governi europei, presi dal panico e travolti dal loro castello di errori pluridecennali, stanno attuando.

Quello che non si può fare è pretendere invece di combattere il putinismo diventando simili a lui, creando un brutto clima intorno alla libertà di espressione e alla discussione democratica sulle scelte strategiche delle nostre nazioni per correre agli armamenti anziché rilanciare l’utopia della pace (l’unico spunto ideale per cui ha senso essere a favore dell’Europa, altrimenti aggiungere l’ennesima fortezza armata fino ai denti alle altre canaglie globali non ci consola né ci salva da niente, per tanto così teniamoci pure la NATO). Nostre nazioni che sono certamente meglio della Russia in termini democratici, non c’è dubbio, ma hanno da lustri preso una brutta china, di demonizzazione del libero dibattito e del dissenso nei riguardi del “pensiero unico” neoliberale.

Possiamo dunque pensare di rimanere nella NATO, almeno finché non sarà superata da una organizzazione europea, ma da pari a pari, in modo critico e con la consapevolezza degli interessi molto spesso divergenti fra USA ed Europa. Non in modo manicheo ma giusto: va considerato infatti che gli USA non hanno sempre torto nel loro giudizio negativo sull’Europa, come ha spiegato Varoufakis nel suo libro “I deboli sono destinati a soffrire?” in riferimento alle dannose e destabilizzanti politiche commerciali europee, il mercantilismo europeo trainato dall’ordoliberalismo della Germania che sottrae spazi di mercato non solo agli USA ma a quei paesi in via di sviluppo dell’America Latina o dell’Africa che per ragioni ovvie dovrebbero essere nostri interlocutori stabili e che invece stiamo sabotando e rendendo più poveri e dipendenti dall’estrattivismo delle risorse naturali.

Sapendo che il perseguire il dettato costituzionale dell’art. 11 che di fatto impegna l’Italia verso un sostanziale pacifismo, è certo complesso ma non è un’attività da “anime belle” come vorrebbero taluni polemisti da talk show avvezzi a fare liste di proscrizione mescolando presunti filosofi “rossobruni” con chi ha solo posto delle domande scomode (come si usa fare da noi in democrazia). Evitando di confondere un rigoroso pacifismo (difficile ma non impossibile da perseguire) con una posizione imbelle.

E attenzione che dopo il pensiero unico viene necessariamente il “bipensiero”(*) tipico dei regimi autoritari descritti da Orwell in “1984”.

Filippo Boatti

11 aprile 2022

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(*) << La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L’ignoranza è forza.>> (George Orwell, 1984)

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