Il nuovo bipolarismo mondiale

Quali che saranno gli esiti militari in Ucraina, il terremoto internazionale già fa emergere un nuovo bipolarismo. Con una moltitudine di attori e meno coeso di quello della guerra fredda, ma con un tratto importante in comune. È riemerso il cleavage ideologico che aveva dominato per quarant’anni. Non c’è più capitalismo e comunismo. Ma, da un lato, Europa e Stati Uniti hanno rinsaldato un legame – almeno nella facciata – basato sui valori democratici, mentre dall’altro si sta formando un fronte che rivede insieme Cina e Russia, con una forte capacità di attrazione nei confronti di buona parte dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina. E con una sproporzione di risorse che rischia di diventare la chiave dello scontro che si sta aprendo, come nel verdetto lapidario di Federico Rampini sul Corriere: «L’insieme della coalizione pro Ucraina che applica sanzioni rappresenta pur sempre la maggioranza del Pil mondiale; ma non la maggioranza delle nazioni né tantomeno della popolazione. E se sono vere le proiezioni sul futuro del pianeta — economico, demografico — il mondo del terzo millennio sta dall’altra parte, non dalla nostra».

A sfavore del blocco occidentale non gioca solo lo squilibrio demografico, ma anche la fragilità di quell’assetto istituzionale e normativo che è stato – sin dall’inizio – issato come vessillo e legittimazione della guerra. Sono anni che i venti di crisi flagellano le democrazie. In Europa, è stato solo grazie alla reazione emergenziale contro il virus che si è riusciti a tamponare l’avanzata del populismo antisistema. Una minaccia ancora vivissima, se si guarda a regimi autoritari come quello ungherese e polacco, che avranno un ruolo di primissimo piano per contenere i profughi ucraini. Per non parlare dell’incertezza che avvolge l’esito delle elezioni francesi. E fingendo di non sapere che il motore dell’alleanza atlantica è stato a un passo dal finire fuori strada col quasi-golpe di Trump e potrebbe, già a novembre, incepparsi di brutto. A dispetto della iattanza dei proclami, l’America non se la passa molto bene. E l’Europa – alla resa dei conti – si sta rivelando, come al solito, ben più divisa di quanto sia apparsa nella primissima fase. Se la guerra, come molti prevedono, durerà a lungo, il fronte atlantico scricchiolerà, e sarà tenuto insieme soprattutto dalla minaccia di quello che fa capo a Putin e Xi.

Che, quanto a compattezza, rappresenta un’incognita ancora maggiore. Se a legare Europa e America è una comunanza di valori e di tradizioni culturali, il collante del resto del mondo non nasce da radici endogene, ma dal rifiuto sempre più diffuso di ciò che noi rappresentiamo per loro. L’accentuarsi drammatico delle diseguaglianze sociali, l’incapacità di aggredire i nodi chiave dello sviluppo – come sostenibilità e welfare – e il fallimento nell’esportare oltre i nostri confini il meccanismo della democrazia – vedi la debacle afghana – ha fatto perdere smalto e appeal al modello di vita occidentale. Facendo, per contrasto, emergere la solidità di regimi che godono di un consenso interno pervasivo anche se non espresso attraverso le procedure canoniche del voto, come nel caso della Cina e, in parte, della stessa Russia di Putin pur nel mezzo della bufera attuale.

Se dunque i fattori ideologici e demografici giocano a nostro sfavore, il principale elemento di forza diventeranno, molto probabilmente, le armi. Non si intravedono alternative. O riusciremo a smontare in fretta la deriva verso il nuovo bipolarismo, o dovremo fare ricorso alla più antica – e pericolosa – risorsa di supremazia. Accelerando – come già stiamo facendo – le politiche di riarmo. E augurandoci di poter contenere le crepe interne, per impedirci di cadere vittime della nostra stessa debolezza. Sono passati meno di due anni da quando avevamo celebrato la riscossa di un’Europa finalmente unita per combattere la pandemia, e di un’America che aveva ritrovato l’orgoglio per rimanere libera. Due anni che sembrano due secoli. E ancora non abbiamo capito per chi suona la campana ucraina.

Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 18 aprile 2022).

1 Commento

  1. L’INCENDIO SCOPPIATO IN UCRAINA E L’INSEGNAMENTO DEL COLIBRI’

    Totò: amici… sono oramai trascorsi due mesi da quel 24 febbraio quando è scoppiata la guerra in Ucraina, e ancora nessuno è in grado di trovare una strada che porti alla ricerca di una pacifica soluzione di questa atroce tragedia, destinata a protrarsi nel tempo dal momento che la Russia non si ferma e l’Ucraina, grazie agli aiuti di ogni genere – comprese anche forniture di armi – ricevuti dall’estero, non si arrende.
    Nenè: proprio ieri leggevo le dichiarazioni del Presidente ucraino Zelensky e devo confessarvi che sono rimasto alquanto preoccupato.
    Santo: cosa ha dichiarato?
    Nenè: di “essere pronto a combattere ancora per dieci anni” .
    Santo: ecco perché continua a chiedere fornitura di armi e risorse finanziarie.
    Franco: armi, armi, armi e ancora armi. Mai una volta che sento seriamente e convintamente parlare di trattative per avviare un percorso di pace. So di andare controcorrente e quindi di andare incontro anche a critiche. E’ mai possibile che il Presidente ucraino Zelensky di fronte all’immane tragedia che il popolo ucraino sta vivendo, con più di 4 milioni di rifugiati e 10 milioni di sfollati, non metta al primo posto l’avvio di concrete trattative per fermare questa immane tragedia che, se dovesse durare 10 anni come dallo stesso Zelensky ipotizzato, potrebbe coinvolgere anche altri Paesi e diventare una terza guerra mondiale?
    Ambrogio: devo purtroppo constatare come sia stata finora del tutto assente la politica che cerchi la pace attraverso il dialogo. Il Governo italiano, ad esempio, ci dichiara che non siamo in guerra, ma ritengo che anche solo inviando armi agli Ucraini siamo di fatto cobelligeranti con tutte le possibili conseguenze del caso: anche solo l’invio di armi – è la tesi dei Russi in questa circostanza – ci conduce lungo sentieri di guerra.
    Santo: prof. Vezio ci dica la sua.
    Vezio: nel condividere le riflessioni di chi mi ha preceduto, non posso comunque non manifestare tutta la mia perplessità nei confronti della politica europea, compresa quella italiana, quando pensa ancora di poter regolare i rapporti internazionali con le armi. Liberiamoci da questa anacronistica narrazione e affrontiamo questa immane tragedia con criteri alternativi.
    Ritengo assolutamente inaccettabili le decisioni dell’Italia e dell’Unione Europea di inviare armi agli Ucraini e di aumentare gli stanziamenti per le spese militari. Sembra che ancora una volta si vogliano impostare i rapporti fra gli Stati prevalentemente sul piano della forza militare più che sulla diplomazia e sul dialogo.
    Nenè: prof… cosa intende dire quando afferma che bisogna “affrontare questa tragedia con criteri alternativi”?
    Vezio: sì, parlavo di “criteri alternativi” perché in questi giorni mi è venuta in mente – forse complice l’età che avanza – quella mattinata in cui il mio Maestro riuscì a calamitare, da narratore qual’era, l’attenzione dell’intera classe con il suo monologo sul colibrì.
    Nenè: il colibri! Di cosa si tratta? Ci dica di più.
    Vezio: ebbene, il Maestro quella mattinata ci raccontò che un giorno nella foresta scoppiò un grande incendio. Di fronte all’avanzare delle fiamme tutti gli animali scapparono terrorizzati mentre il fuoco distruggeva ogni cosa senza pietà.
    Leoni, zebre, elefanti, rinoceronti, gazzelle e tanti altri animali cercarono rifugio nelle acque del grande fiume, ma ormai l’incendio stava per arrivare anche lì. Mentre tutti discutevano animatamente sul da farsi, un piccolissimo colibrì si tuffò nelle acque del fiume e, dopo aver preso col becco una goccia d’acqua, incurante del gran caldo, la lasciò cadere sugli alberi che bruciavano. Il fuoco non se ne accorse affatto e proseguì la sua corsa spinto dal vento. Il colibrì, però, non si perse d’animo e continuò a tuffarsi per raccogliere ogni volta una piccola goccia d’acqua che lasciava cadere sulle fiamme.
    L’azione non passò inosservata al re della foresta il quale lo chiamò e gli chiese spiegazione sul suo operato. Il colibrì rispose: “cerco di spegnere l’incendio”. Il leone ridendo replicò: E tu così piccolo pretendi di fermare le fiamme?” e assieme a tutti gli altri animali incominciò a prenderlo in giro. Il colibrì, incurante delle risate di scherno, ritornò di nuovo al fiume per raccogliere un’altra goccia d’acqua.
    A quella vista anche un elefantino si recò al fiume, vi immerse la sua già lunga proboscide e, dopo aver aspirato quanta più acqua possibile, la spruzzò su un cespuglio che stava per essere attaccato dalle fiamme.
    Anche un giovane pellicano , lasciati i suoi genitori al centro del fiume, si riempì il grande becco d’acqua e, preso il volo, la lasciò cadere come una cascata su di un albero minacciato dalle fiamme.
    Contagiati da questi esempi, tutti i cuccioli decisero di fare squadra e si prodigarono insieme per spegnere l’incendio che ormai aveva raggiunto le rive del fiume dove si erano radunati tutti gli animali per sfuggire alle fiamme.
    Dimenticando vecchi rancori e divisioni millenarie il cucciolo del leone e dell’antilope, quello della scimmia e del leopardo, quello della lepre insieme a tanti altri cuccioli si misero a disposizione per fermare l’avanzata delle fiamme.
    A quella vista gli adulti smisero di deriderli e pieni di vergogna incominciarono a dar manforte ai loro figli. Con l’arrivo di tante forze fresche bene organizzate e guidate dal re leone, quando le ombre della sera calarono sulla foresta, l’incendio poteva dirsi ormai domato. Sporchi e stanchi , ma salvi, tutti gli animali si radunarono per festeggiare la vittoria sul fuoco.
    Il leone volle accanto a sé il piccolo colibrì e pubblicamente lo elogiò dicendogli: “oggi abbiamo imparato che tante piccole gocce d’acqua, se insieme, possono spegnere una grande incendio”.
    Santo: professore… davvero magistrale l’incendio nella foresta da lei presentatoci quale metafora della tragedia che si sta svolgendo in Ucraina! Alquanto originale e coinvolgente poi la figura del colibrì che con il suo eroico protagonismo ha saputo coinvolgere anche il leone nel suo lavoro di “pompiere”. Ebbene, mi permetta farle una domanda: come mai una figura simile all’eroico colibrì non è finora riuscita ad emergere nella guerra che si svolge in Ucraina?
    Vezio: caro Santo…. per rispondere alla tua domanda bisogna preliminarmente rispondere – così la penso io – a questa domanda: “c’è oggi qualcuno che vuole davvero la pace”?
    Sicuramente non la vogliono gli Stati uniti d’America il cui programma, almeno per il momento, non prevede nemmeno la ricerca di un momentaneo cessate il fuoco ma il seguente:
    -sconfiggere militarmente la Russia in Ucraina;
    -sconfiggerla o quantomeno seriamente ridimensionarla anche politicamente;
    -provocare il suo fallimento economico/finanziario con conseguente scoppio di tensioni sociali che possano destabilizzare anche l’assetto istituzionale del Paese;
    -a quel punto superare gli attuali equilibri geopolitici scaturiti dall’esito della seconda guerra mondiale e dagli accordi sottoscritti a Yalta tra le forze risultate alla fine le vincitrici di quell’immane catastrofe..
    Non parliamo poi dell’Europa che, sempre più al traino dell’America, non è stata capace di sviluppare un proprio e autonomo ruolo diplomatico nella ricerca della pace.
    L’Italia poi….! Com’è possibile che mentre dice di lavorare per la pace, invii armi all’Ucraina? Mi sembra che il Governo italiano consideri la guerra una partita di pallone e le armi tutto l’occorrente per lo svolgimento della gara.
    Santo: prof. lei è contrario all’invio di armi all’Ucraina?
    Vezio: la guerra va fermata prima possibile, non ho nessuna perplessità in merito. Ma se poi il Presidente statunitense Biden invia armi non di difesa ma di attacco e 700 milioni di dollari, l’America diventa interventista e cobelligerante; altro che paciere!
    Amici scusate se mi sono dilungato; concludo dicendo che si fa ricorso alle armi solo come extrema ratio, cioè solo in casi estremi , quando tutti gli altri tentativi, comprese le trattative diplomatiche, sono risultati infruttuosi per risolvere un dissidio. Devo purtroppo constatare con rammarico come l’America abbia deliberatamente fatto fallire l’iniziativa diplomatica che aveva intrapreso il leader turco Erdogan.
    Due operazioni, queste di Biden, che hanno un obiettivo in comune: la prosecuzione della guerra in Ucraina.
    Forse ha ragione chi afferma che se lasciamo fare all’America la guerra in Ucraina potrà durare anche vent’ anni.
    L’America, così stando le cose, altro che colibrì!.

    (Dai Dialoghi svolti al Circolo della Concordia)
    gcastronovo.blogspot.it

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