Le troppe sfide per l’Europa

Sapremo nei prossimi giorni l’entità dell’euroscandalo, col diretto coinvolgimento di alcuni stati arabi e di una rete di intermediari con agganci nel parlamento dell’Unione. Ma il danno di immagine è enorme. Gli arresti in flagrante con le valige piene di quattrini sono un’immagine che si scolpisce nell’opinione del cittadino comune, che fa sempre più fatica a raggiungere fine mese. E si aspetta che sia l’Europa a trovare una soluzione ai suoi problemi. Invece, in alto loco, c’è chi prende i soldi e scappa.

Certo, si tratta di semplificazioni. Ma sappiamo quanto questo tipo di cortocircuiti alimentino quel vento populista e antieuropeo che sembrava essersi calmato appena due anni fa, con il varo del Recovery Plan e la pioggia di finanziamenti che Bruxelles aveva elargito ai governi per un rilancio economico comune. Ma poi la guerra si è messa di traverso, e oggi il quadro è bruscamente mutato. Con l’Europa stretta tra due fronti. Lo squilibrio con l’alleato americano e le crescenti divisioni interne. Ieri, su queste colonne, Romano Prodi ha tracciato una foto impietosa del solco che si sta aprendo tra le due sponde dell’Atlantico. A cominciare dalla bolletta energetica, col gas che costa da noi quattro volte che negli Stati Uniti. Proseguendo con la disparità di mezzi e di coesione per fronteggiare la crisi.

Sotto le spoglie di un intervento federale per calmierare gli effetti dell’inflazione, Biden ha riversato 400 miliardi di dollari come incentivi alla produzione interna, soprattutto in settori strategici quali auto elettriche e chimica di base. Il contraccolpo sulle nostre industrie è immediato, e per fronteggiarlo ci sarebbe bisogno di iniezioni altrettanto consistenti e rapide di danaro dei nostri governi. Ma pochi sono in grado di farlo, e la prospettiva di attivare politiche di incentivi comuni richiederebbe un’unità di intenti – e di visione – che non si intravede all’orizzonte. Al contrario si vede – e come! – la spinta a andare in ordine sparso, con ciascun esecutivo alle prese con i buchi nei propri bilanci.  In queste condizioni, quanto potrà reggere la cabina di regia finanziaria che, fino ad oggi, è riuscita a tenere sotto controllo i pagamenti dei singoli stati?

Cresce il rischio che, nel giro di pochi mesi, queste disparità e criticità economiche si tramutino in fratture politiche. Con una crescente tensione tra governi tentati di prendere la propria strada, senza più preoccuparsi di se e quanto sia compatibile con la tenuta dell’Unione. Le incertezze forse maggiori oggi riguardano la Germania. È il paese che sta pagando il prezzo maggiore al terremoto geopolitico di quest’anno. Colpita immediatamente su due fronti – la dipendenza energetica dai russi e il ridimensionamento delle esportazioni cinesi – sta vedendo messa in discussione la propria supremazia in settori strategici come la chimica di base. E fa sempre più fatica a conciliare queste difficoltà interne col proprio ruolo storico di locomotiva europea.

È in questo contesto scivoloso che il governo di Giorgia Meloni è chiamato a far fronte agli impegni presi, da altri leader e in una stagione che appare sempre più lontana. Di fronte alle sfide esterne – dall’America, dalla Russia, dalla Cina – e alle crescenti convulsioni interne, sembrerebbe obbligato aspettarsi un rilancio immediato dell’Europa. Ma la realtà sembra avere preso un’altra piega. E, soprattutto in questi tempi così volatili e imprevedibili, i politici sono portati a fiutare ogni cambiamento di vento. Tenere dritta la barra europea sarà sempre più difficile. Mentre aumenterà la tentazione di cavalcare la protesta. Anche senza conoscere come e in quale direzione.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 12 dicembre 2022).

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