Una spedizione commerciale finanziata dalla Regione Veneto e dalla Camera di Commercio di Verona per favorire l’esportazione di marmi pregiati nel laborioso centro commerciale di Hong Kong.
La triade era composta dal Conte Marcolini, l’uomo di rappresentanza, Narciso Guglielmi, proprietario di una cava di marmo in quel di Verona, ed il sottoscritto, quale factotum e traduttore nei vari meeting organizzati.
Una spedizione in piena regola, ben organizzata e ben finanziata, con una finalità commerciale ben precisa: fare affari.
Subito, all’arrivo, fummo accolti dal traffico caotico di Hong Kong, con i suoi innumerevoli taxi e tramway, che si aggiungevano ad un traffico civile molto ben controllato: chi la conosce, sa che Hong Kong è attraversata da innumerevoli sottopassi e sovrappassi, in un intrico apparentemente assurdo, ma che in realtà viene gestito magistralmente.
Certo, durante il giorno, vi erano gli incontri molto formali e ben programmati con quel tocco di ossequiosità cinese, unito ad un certo sussiego tipicamente britannico, ma, poi, nel tardo pomeriggio e in serata, l’intera città si spalancava sotto di noi, avendo di fronte Kowloon ed il Continente.
Bellissimi certi panorami visti da The Peak e moltissimi gli edifici di quel particolare stile, che univa il moderno al coloniale di fine ‘800.
Attenzione: la nostra residenza era l’hotel Hilton, una chicca della città, che per me rappresentava però un momento di memoria familiare, visto che mio padre lo aveva frequentato trenta anni prima e me ne aveva raccontato meraviglie.
Le camere ampie, un po’ deco, con tutta una serie di servizi che rammentavano l’Inghilterra imperiale ed una colazione molto British, che mi ricordava un periodo passato a Londra.
Ma quello che più mi colpì fu la sartoria, gestita da un vecchissimo cinese incartapecorito, che io associai immediatamente ai vestiti ed alle uniformi che mio padre riportava dai suoi viaggi di mare: forse era lo stesso sarto…
Non esitai a farmi fare su misura un bellissimo vestito classico (stile Savile Row), varie camicie di seta, un paio di scarpe di pelle pregiata ed una cintura, il tutto realizzato in quattro giorni (non possiamo negare che i cinesi siano molto laboriosi).
Ma il clou di queste serate ad Hong Kong, fu la visita, indimenticabile, a Vip Sauna, un rinomato centro di massaggi consigliato dal manager dell’hotel Hilton.
In realtà, si trattava di un giardino delle delizie, in quanto all’ingresso venivamo accolti con il tipico tea cinese, bollente, ma, apparentemente, indispensabile, poi si entrava in uno spazio in cui apparivano cinque vasche, ognuna con una temperatura più alta della precedente, in modo da sferzare il corpo con un piccolo cambiamento termico.
Si procedeva quindi al massaggio vero e proprio, che includeva tutto il corpo, ma era particolarmente benefico quando le piccole manine ti spingevano leggermente la nuca e quasi ti facevano addormentare. Poi venivi fatto girare e, sorpresa, ti accorgevi che delle piccole cinesi ti marciavano letteralmente sul corpo, massaggiandoti quindi non con le mani, ma con i piedi.
Uno avrebbe pensato che tale massaggio si sarebbe concluso in modo soavissimo, ma la sorpresa fu tanta quando apparve improvvisamente un grasso cinese, simile ad un Buddah sovradimensionato, che portava con sé un asciugamano completamente ghiacciato e pieno di piccolissime scaglie di ghiaccio, il quale, senza dire una parola, cominciò a colpirmi ripetutamente e selvaggiamente con l’asciugamano facendomi sobbalzare per il dolore.
Uscito il Buddah violento, non bastò certo il piattino pieno di fette di anguria e melone a rincuorarmi, visto il contrasto fra la dolcezza del massaggio e la violenza del pestaggio.
Comunque era finita: “e uscimmo a riveder le stelle”.
Viator
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