Navigare al buio

Tiriamo pure un sospiro di sollievo. Non siamo scivolati nel caos. Ma non sappiamo quanto durerà il limbo cui siamo sospesi. Ora apprendiamo che una ristrettissima cerchia di intelligence e leader politici sapeva delle intenzioni di Prigozhin. E che anche Putin ne era al corrente. Però, per una infinita giornata, nessuno è intervenuto a fermare il golpe annunciato, e – almeno col senno di poi – destinato al fallimento. Per l’opinione pubblica i carri armati in marcia su Mosca non erano una fake news. E ancor meno lo era il terrore che il possente armamento nucleare russo potesse cadere nelle mani di un mercenario sanguinario. Ci siamo sorbiti in diretta il trailer dell’Armageddon, e solo prima di andare a letto ci hanno detto che era uno spoiler. Il finale era rimandato.

Lasciamo pure agli analisti militari il compito di valutare se e quanto Putin esca indebolito da questo colpo di stato trasformato in colpo di teatro. Quale sarà l’impatto sull’esercito, già ampiamente demotivato dagli insuccessi di questi mesi, e adesso ancora più convinto che i suoi vertici sono in balia di ricatti in grado di arrivare – quasi – allo scacco matto. E quali potranno essere le ricadute sul fronte ucraino, dove già è ripartito il tira e molla sulle armi dell’Occidente che non bastano e sulla reconquista che non sfonda. Francamente, provare a avventurarsi sullo scacchiere delle previsioni, dopo la giornata di sabato, è peggio che andare a tentoni. Significa fare finta di scrutare il futuro, mentre stiamo navigando al buio.

L’unica certezza è questa. Noi comuni cittadini e difensori della fiaccola della libertà siamo all’oscuro della nostra sorte. Non perché – come è successo in tante guerre – siano incerti i rapporti di forza tra le parti, ma perché non sappiamo quale sia il prezzo che l’Occidente è in grado di pagare per aggiudicarsi la partita. E in questa crisi, per la prima volta, è apparso chiaro che questo nodo la Casa Bianca – e le cancellerie europee – non sono in grado di scioglierlo. Quando, per la prima volta dall’inizio della invasione russa, il destino di Vladimir Putin è sembrato appeso a un filo sottilissimo, l’establishment ha tremato. Ed ha ammesso – con malcelato terrore – di non sapere in quali mani le atomiche sarebbero finite.

Si potrebbe dire: il re è nudo. Dunque, la posta in gioco non è più la doverosa salvaguardia dell’integrità ucraina, ma il destino della Russia post-sovietica. Acquisito che una vittoria di Putin – ancor più dopo gli eventi di sabato – appare ormai del tutto improbabile, la domanda è su quali siano gli scenari di una sconfitta dello Zar. E ne abbiamo appena avuto un’anteprima: il suo aereo misteriosamente in volo, il carosello degli oligarchi in fuga, i capi del suo esercito – secondo quanto scrive la Stampa – «esautorati di fatto», e l’intero paese costretto – finalmente – a prendere atto di trovarsi sull’orlo del burrone. Quali che siano le prossime puntate, non siamo in grado di immaginare. Ma il titolo della nuova serie planetaria è «Dopo Putin».

Non è dato sapere se ci sia, nell’entourage dei potenti del mondo, qualche sceneggiatore che abbia già abbozzato lo svolgimento e il finale. Però, è di questo che vorremmo parlare. La prima serie, con Zelensky superstar, ha già saturato gli schermi. E da sabato è ormai chiaro a tutti che i riflettori vanno accesi altrove. Possiamo anche essere solidali con chi sta scrivendo il copione, visto lo scarsissimo appeal televisivo degli interpreti principali dei quali in queste ore abbiamo avuto una preview terrificante. Ma, dopo quindici mesi di sostegno incondizionato alla causa ucraina, l’opinione pubblica mondiale si merita di cambiare canale. Il futuro di questa guerra non si decide più sulle rive del Donez, ma tra Mosca e San Pietroburgo. Le fonti saranno certo più ostiche da verificare e interpretare, ma è questo il nuovo banco di prova per l’informazione democratica.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 26 giugno 2023).

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