Io amo la Russia, non questa Russia

Chiariamolo subito: non la Russia degli autocrati, anche se sembra che fra autocrati e Russia ci sia una corrispondenza biunivoca.

Un ripasso di storia.

Ivan il Terribile costruisce il suo Granducato di Mosca col ferro e col fuoco, combattendo specialmente i Tatari e la riottosa città di Kazan.

Nel ‘600 la casata dei Romanov assurge al titolo di Zar e così sarà per trecento anni.

Nel ‘700 una principessa tedesca diverrà Caterina la Grande ed entrerà nel concerto delle nazioni europee, invitando grandi pensatori alla sua corte.

Nel ’800 la famiglia Romanov alternerà regnanti oscurantisti a qualcuno più liberale, ma sempre nell’ambito di una politica molto lontana rispetto all’Occidente Europeo.

Nel ‘900 poi, uno Zar rosso, Stalin, oscurerà la fama di tutti i suoi predecessori, dando una interpretazione tutta sua del Leninismo, in cui il concetto di democrazia socialista viene completamente cancellato per dar luogo ad un centralismo che non è quello in un solo paese, ma nelle mani di un solo uomo, il Piccolo Padre.

Quindi l’esperimento che conduce da una ventina d’anni Vladimir Putin non è peculiare, ma prosegue i sistemi di una lunga serie di predecessori, che datano quasi cinquecento anni.

Con la piccola differenza che Putin dispone di un giocattolo costituito da cinquemila testate nucleari, che potrebbero distruggere il mondo non una, ma cento volte.

Il tema è evidentemente delicatissimo, ne va della vita di tutti noi.

Come Giano Bifronte c’è il rovescio della medaglia, e cioè la grande, indiscutibile cultura russa.

Ricorderò i miei maestri:

– Dostoevskij, quello di “Delitto e Castigo”, de “I demoni”, de “ I fratelli Karamazov”, de “Il giocatore”, l’alfa ed omega della mia esperienza letteraria.

– Tolstoj, non solo quello di “Guerra e Pace”, ma anche quello di “Resurrezione”.

– Turgenev, “Le memorie di un cacciatore”.

Questi sono piccoli excerpta di una collezione formidabile, ma ci sono i grandi poeti, quali Puskin e nel nostro secolo Anna Achmatova e soprattutto Majakovskij.

Da non dimenticare evidentemente i grandi artisti ed i musicisti quali: Musorgskij, Rachmaninoff e Stravinskij.

Un piccolo nucleo di uomini che hanno dato una grande spinta all’Umanità.

Cosa vogliamo dire? Che ci sono i due piatti della bilancia? E che male e bene si equivalgono?

Non è così, solo che la russofobia di quest’ultimo anno mi disturba molto, perché non sa riconoscere distintamente le cose e fa di tutte le erbe un fascio.

Io direi che per conoscere veramente l’anima russa bisogna guardare e riguardare i film di un grande regista, Andrej Tarkovskij, a cui ho dedicato alcuni anni fa un saggio (che vi consiglio di leggere), che mi ha aperto le porte di quest’anima con un opportuno gioco di specchi.

Tutti i suoi film, da “Andrej Rublev”, un atroce mondo medioevale assediato da Tatari feroci e principi corrotti, a “Solaris”, questo magma capace di riprodurre le sembianze di chi gli è prossimo, sino all’infinitamente grande “Stalker”, tanto poetico da essere quasi ineffabile, tutto, ripeto tutto allude alla Zemlja, la terra originaria russa, quella a cui il cuore e la mente di Tarkovskij sono indissolubilmente legati.

La Russia si è sentita sempre assediata e minacciata dall’Occidente, dall’epoca di Alexander Nevskij, alle lotte contro i cavalieri teutonici, attraverso le battaglie di Pietro il Grande contro gli Svedesi, sino alla massiccia invasione di Napoleone nel 1812.

Ma la guerra più spaventosa che ha dovuto subire è stata quella del ‘41-’45, quando le armate germaniche avevano ben chiaro un piano di annientamento, disponendo dei migliori soldati, ufficiali, generali e di un armamento superlativo.

Ma non è bastato: e tutto il popolo sovietico si è sollevato come un sol uomo, sino a riportare la guerra alle sue fonti, a Berlino.

Un grande storico americano Taylor sosteneva che negli ultimi due anni del conflitto l’ottanta per cento delle risorse tedesche fossero riversate sul fronte orientale; e questo la dice lunga sul peso formidabile dell’Armata Rossa nella Seconda Guerra Mondiale.

Amerei terminare il mio intervento ricordando un gioiello della letteratura sovietica : “Il placido Don” di Solochov, in cui il cosacco protagonista, che ha attraversato tutte le fasi della Prima Guerra Mondiale e poi della guerra civile, ritorna al suo villaggio dopo anni pronto a ricominciare una nuova vita sotto il nuovo regime, che ha lungamente combattuto.

Ecco, cerchiamo di trasformare i grandi fiumi della Russia meridionale, in cui ex militari invece di uccidersi vicendevolmente possano andare a pescare con i loro figli o i loro nipoti.

Viator

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