La guerra può finire, se si vuole…

Come scrive qui a fianco l’amico prof. Franco Livorsi tutta la questione ha radici storico-politiche ben definite che partono ben da prima della Rivoluzione del 1917 e che il periodo di stretto governo sovietico ha sopito e occultato (specie agli osservatori occidentali). Gli Ucraini (o abitanti dell’area di frontiera occidentale), specie nella parte a ovest del Dniepr hanno sempre rivendicato una loro specificità ed hanno mal sopportato intrusioni nei loro affari e nelle loro tradizioni sia che venissero dai russi, dai polacchi o da altri. Stessa situazione che si potrebbe avere in Kazakhstan o in Kirghizstan o nella penisola di Kamchatka o, se si vuole rimanere in Europa, ad Arkangel e a Murmarnsk. Si tratta di una nazione enorme, con diversi fusi orari, una lunghezza di più di novemila chilometri e sbalzi di temperatura in ottobre fra i più trentatre’ di Taskent ai meno trenta della Novaja Zemlija. Un territorio che ha bisogno di leggi chiare, semplici da applicare di definizioni chiare di quelli che sono i compiti di una frazione di Stato, caratteristiche economiche, località di studio e ricerca, centri di produzione industriale e agricola, gangli sensibili di vita quotidiana. Sempre Livorsi ci parla di un capo (Vlad. Putin) con forti venature autoritarie confinanti spesso con l’ideologia fascista e, dice lui, “attendiamo un 25 luglio anche per Putin”. Sarà… Per intanto alla maggioranza dei russi la situazione attuale, anche dal punto di vista della rappresentanza, sta bene così e viene mal tollerato chi critica troppo e non si allinea. Ecco…mettere in discussione ciò che viene deciso nella piramide di potere russa e “non allinearsi”  è il peggior servizio che si possa fare all’autocrazia post-sovietica venata di militarismo da KGB, perchè si vanno ad aprire porte chiuse da decenni su baratri oscuri. Maggiore democrazia significherebbe per l’arcipelago russo, provare a considerare come uguale a noi, con pari diritti (e doveri) chi  è diverso per razza, credenze, costumi, religioni, lingue. Un perfetto estraneo a cui si concede un “nasvidania ” o uno strascicato “spasiba” spesso con fastidio, evitando di essere intaccati da chi è abituato a vivere nelle yurte o a scavare in miniera fra forzati del lavoro come lui. Una “nazione a quadretti” fatta di tanti piccoli tasselli che, se solo venissero spostati di poco,  contribuirebbero al crollo del colosso…in questo caso veramente “d’argilla”. Non ce ne eravamo mai accorti, almeno fino all’Ottantanove, e tutto sommato faceva comodo avere un monolite che equilibrasse la potenza ben più conosciuta e acclamata, soprattutto qui da noi, quella degli USA. Dopo il Novantuno tutto è cambiato…molte repubbliche sono diventate autonome e, progressivamente, si sono staccate in modo pacifico fino a diventare Stati autonomi (ad esempio i tre Baltici) oppure hanno condizioni particolari di partenariato, anche se ufrficialmente indipendenti, con la vicina Russia di Mosca. E’ il caso del Kazakhstan, della Bielorussia e di molti altri. Lo era anche per la Cecenia e la Georgia ma guerre a senso unico con una sproporzione enorme in termini di messi e tecnologie ha messo tutti in riga. Cioè ha mantenuto insieme, per quanto possibile e per quanto bruciacchiati e danneggiati, tutti i tasselli rimanenti. Con l’Ucraina, almeno per più di metà, che se ne sarebbe voluta andar via come di Baltici ma, per mille motivi, non ha potuto farlo. Prima di tutto per il suo Parlamento che ha sempre registrato una sostanziale parità fra chi se ne voleva andare definitivamente via da Mosca e chi vedeva nel governo di Kiev una tendenza alla centralizzazione e all’imposizione di “taxa” tipicamente ucraini e non russi. Mentre, fino al Duemila, il 90 per cento della popolazione urbana e alfabetizzata dell’Ucraina usava normalmente il russo, affiancato all’ucraino spesso imparato forzatamente a scuola. Ma lo spirito di indipendenza, la voglia di “essere occidente”, di fare come i polacchi o i lituani…alla fine ha prevalso. E, con una escalation continua, ha portato alla quasi completa derussificazione dell’intera Ucraina, Donbass e Crimea comprese. La reazione russa non si è fatta attendere e questi ultimi dieci anni sono la migliore/peggiore testimonianza di quanto è successo e continua a succedere. Troppo radicate le differenze, tropppo profondi gli odi, specie dopo questa guerra sostanzialmente fratricida e “civile”. Due le vie di uscita, anzi tre. Dato per scontato che la Russia non può “georgizzare” il Dombass così come ha fatto per la Crimea, creando un “fatto compiuto”, la prima possibilità è che imploda, perda la guerra, abbandoni Crimea e Dombass e speri in San Cirillo e Metodio (ovviamente con cambi radicali nel governo di Mosca). Una seconda potrebbe  prevedere la creazione di uno Stato cuscinetto, nè russo nè ucraino, una specie di Nuova Bessarabia che eserciti, per l’appunto, la funzione di “cuscinetto”. Soluzione debole, ibrida fino alle midolla e con scarse possibilità di attuazione. La terza, l’unica possibile secondo un principio di fratellanza universale e di gestione razionale delle risorse è quella di far saltare i vincoli di frontiera conosciuti, abbassandone il valore di esclusione fino a farli diventare semplici linee territoriali di comodo. Qui l’ONU dovrebbe essere protagonista e proporre qualcosa del genere a tutti, in Ucraina come in Sudan, in Uganda, in Etiopia, nello Stato di Oaxaca e ovunque ci sino conflitti in atto. Gli esseri viventi sono unici, irreplicabili, veramente un “dono” e il solo pensare di ucciderli è un crimine. Con questo spirito è andato il cardinale Zuppi in quella che, comunque, è stata una esortazione ad elevarsi dalla “mentalità vecchia del Novecento”. Con lo stesso spirito si sono espressi gli amici di Adista e a loro è dedicato questo editoriale.

Speranze di pace in Ucraina: l’appello ai “Paesi del Sud globale”

«Ci affidiamo a voi per il raggiungimento della pace in Ucraina, non potendo contare sui nostri governanti». Così inizia la “Lettera di pacifisti ai Paesi non allineati impegnati a fermare la guerra in Ucraina” fatta giungere alle ambasciate in Italia di tante nazioni del Sud del mondo. È firmata da Alessandro Marescotti presidente di PeaceLink, «associazione eco-pacifista nata in Italia nel 1991», si autodefinisce nel testo, che «si è ininterrottamente opposta all’atteggiamento bellicista dei governi italiani ed europei che si sono susseguiti e ha cercato di contrastare la disinformazione che legittima gli interventi armati». E nell’attualità il più disastroso, e foriero di terribili conseguenze, intervento armato è quello che si sta svolgendo sul territorio ucraino.

«Mandiamo il presente messaggio, tramite le loro ambasciate, a diversi Paesi che – motiva la lettera – hanno dimostrato un attivismo per la pace nei decenni scorsi e che attualmente, riguardo alla guerra in Ucraina, sono impegnati per un negoziato senza precondizioni».

«Per la pace, non possiamo contare sui leader dei Paesi che fanno parte della Nato. Le popolazioni occidentali stavolta – osserva PeaceLink – sono contro l’invio di armi che alimenta il massacro, ma questo non incide sui comportamenti dei governi. Quindi, guardiamo soprattutto ai Paesi e governi del Sud globale; oltre che ai pochissimi Paesi occidentali rimasti neutrali. La pace passa per il multilateralismo. Ringraziamo per gli sforzi negoziali che diversi governi hanno già compiuto e tuttora portano avanti. Ci auguriamo che l’impegno prosegua».

La speranza è che i «Paesi del Sud globale e i Paesi neutrali» possano «davvero diventare un pool negoziale internazionale per prevenire e fermare il flagello della guerra. Auspichiamo che i Paesi non allineati e del Sud globale convergano in un proposta unitaria e condivisa per accelerare il cammino verso la pace».

Perché adesso

Non è senza motivo che l’invio della lettera sia stato collocato tra vari eventi in qualche modo convergenti, che qui segnaliamo in ordine temporale e su cui abbiamo già informato: la visita dei capi di Sato di 6 Paesi africani, accompagnati da un rappresentante dell’Unione Africana Azali Assoumani, a Kiev il 16 giugno e in Russia il giorno dopo per presentare la loro «proposta unitaria» per porre fine alla guerra in Ucraina, su impulso del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa; i colloqui in Vaticano con papa Francesco del presidente cubano Miguel Díaz-Canel e del presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva (quest’ultimo già autore di un piano di pace) rispettivamente il 20 e il 21 giugno, un terzetto che non si stanca di spingere per l’apertura di un dialogo fra i belligeranti; il summit svoltosi a Parigi il 21 e 22 giugno per «un nuovo patto finanziario mondiale» promosso dal presidente francese Emmanuel Macron: proprio qui si sarebbero incontrati molti leader di Stati del Sud del mondo, un’ottima occasione per cominciare a dar forma appunto a «un pool negoziale internazionale», pur a latere di lavori che avevano un altro argomento ma che non avrebbero potuto ignorare del tutto il conflitto russo-ucraino, che coinvolge direttamente vari Paesi lì presenti.

Bellicisti a Parigi

Per inciso, occorre dire che il vertice parigino non ha centrato in pieno gli obiettivi programmatici. «Nonostante alcuni annunci di riforme e aiuti, l’evento è ben lungi dal concretizzare il Big Bang sperato per riorientare la finanza al servizio del clima», ha osservato France24 (23/6).  Della guerra in Ucraina poi, stando ai servizi giornalistici, non si è detto quasi nulla di così significativo negli interventi ufficiali. L’argomento pare sia stato invece presente negli abboccamenti informali. Scriveva Europe1 il 22 giugno, a lavori già aperti: «Se l’obiettivo dichiarato è quello di riformare la finanza internazionale per aiutare i Paesi in via di sviluppo a finanziare la lotta al cambiamento climatico, pur perseguendo gli sforzi per ridurre la povertà, anche la guerra in Ucraina sarà un elemento centrale di questo incontro. Dietro le quinte, durante questo vertice, Emmanuel Macron cercherà di unire i Paesi del Sud alla causa ucraina. In effetti, la guerra ha portato alla luce linee di frattura all’interno della comunità internazionale. Da un lato, i Paesi occidentali hanno serrato i ranghi intorno a Kiev per unirsi di fronte a quella che chiamano aggressione russa. In Asia, Africa, Medio Oriente e Sud America, invece, un certo numero di Paesi ha optato per un posizionamento più ambiguo».

Pacifisti a Parigi

Non proprio pacifista il trend maggioritario del vertice. Ciò non esclude che “i Paesi del Sud globale”, perlomeno alcuni di loro, «dietro le quinte» abbiano discusso fra loro la possibilità di una strategia per la pace. ualche traccia Incontri informali di cui abbiamo effettivamente contezza da due notizie: il presidente cubano Díaz-Canel, tornato in patria, ha riferito (Brasil de fato, 22/6) che, in «un incontro fraterno con il presidente Lula», «abbiamo trovato un grande accordo sulle questioni attuali dell’agenda internazionale»; e dal quotidiano cubano Granma (26/6) si apprende che al vertice di Parigi «l’intervento di Cuba, a nome del G77 (gruppo dei 77 Paesi non allineati, ndr) e della Cina, ha rappresentato un punto di svolta rispetto a quelli pronunciati fino a quel momento. Successivamente, i presidenti del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva e del Sudafrica Cyril Ramaphosa si sono espressi sulla stessa linea». Ecco insieme, dunque, il principale artefice del piano di pace africano che prevede una road map per il cessate il fuoco, e i due capi di Stato che hanno parlato con papa Francesco un attimo prima del summit parigino e cui il pontefice avrà riferito illustrato l’iniziativa che sta portando avanti tramite il suo inviato, card. Matteo Zuppi.

Non resta che attendere per vedere se i passi verso la pace sopra riassunti si concretizzeranno.

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l’articolo del sito che hai appena letto.  Eletta Cucuzza 27/06/2023, 08:36

3 Commenti

  1. Grazie a tutti gli autori. Gli articoli aiutano a capire cosa può aver generato la disgraziata guerra in Ucraina e accolgo con speranza la previsione del termine della guerra nel 2023 del prof Livorsi

  2. Complimenti prof. Cavalchini!
    Complimenti a tutti gli autori degli articoli di questa newslette! Avete redatto un numero davvero speciale e ricco di spunti che dovrebbero ri-animare una societas alessandrina( e non) che sta sprofondando sempre più in un baratro di inedia, inerzia, insicurezza e irresolutezza e ignavia davvero inaudite !
    Un giudice serio preoccupato per il venir meno della giurisprudenza sui reati ambientali…. Una cascina storica abbattuta per l’ennesimo supermercato…( ma basta !!!) Una promessa non mantenuta dagli occidentali che oggi ci può portare alla guerra nucleare … e poi la querelle infinita dell’ospedale e dei fiumi ( e fiumi di denaro ) che andrebbero “ gestiti correttamente “.
    Morale : chi ci governa ai vari livelli, non solo non ha prospettiva …ma non vede nemmeno da vicino ..! Se non il proprio interesse! Brutta cosa !!!

    Si definisce “cachistocrazia” o, con accento ironico, peggiocrazia, la condizione in cui il governo è fatalmente affidato ai meno abili e, dunque, ai peggiori! ( Luca Delvecchio – Il Sole 24 ore)
    Cachistocrazia …basta la parola ( diceva una vecchia pubblicità)!

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