Parlando al presente

A cinquant’anni dalla strage del carcere di Alessandria. Un argomento spesso rimosso e di cui si parla malvolentieri. Le stesse vie (con nuove intitolazioni) che derivano il nome dai valorosi e sfortunati ostaggi tenuti “come pegno” dai detenuti in rivolta, non sono direttamente ricondotte, anche dagli abitanti stessi, ai fatti di cui si tratta in questo editoriale. E il tempo passa e ogni anno si ha sempre meno contezza dei fatti. Di come la città fu praticamente militarizzata per lunghi giorni e di come, in molti, tentarono di evitare la carneficina finale. Ora ricorre il cinquantennale di quella terribile prova e ci pare doveroso affidare ad uno dei protagonisti di quell’epoca (Piero Sacchi) l’evocazione di situazioni e prese di posizione. Con tono distaccato,  quasi da documentarista, ci spiega come andarono i fatti e come si sarebbe potuto uscire in altro modo dall’emergenza. (n.d.r.)

(1) 1974 – 2024 il maggio della strage nel carcere
Quale ordinamento per persone private della libertà?
Il pensiero, una volta espresso, riposa. Esso resta vivo e disponibile ad ogni nuovo incontro con l’altro.

Il pensiero desiderante interpella e riconosce il pensiero che attende. Così il viaggio si realizza, dall’uno all’altro, oltre il tempo. Diversamente, il pensiero che riposa contempla l’oblio di se stesso e dell’altrui pensiero. Il pensiero giacente non necessita di un particolare supporto, ma è facilitato dalla parola scritta.

La documentazione sui fatti
10 maggio 1974, la seconda azione “di forza” del Procuratore Generale di Torino Reviglio della Veneria pone fine al tentativo di evasione di tre detenuti nel carcere di Alessandria. Pone fine a sette vite: un medico, un insegnante, due agenti di custodia, un’assistente sociale, due detenuti.
Sui fatti, allora come oggi, non ci sono interrogativi o misteri non risolti.
“È stata un’azione meravigliosa condotta in modo magistrale”, dice il Procuratore Generale, ma specifica anche: “Abbiamo lasciato a loro, ai delinquenti, l’iniziativa. Loro hanno sparato per primi, e noi siamo intervenuti, scrivetelo, mi raccomando, per impedire ulteriori atti di violenza. Noi non abbiamo cominciato con le armi, ma soltanto con i gas”.
La falsità e grottesco delle versioni ufficiali furono passate al vaglio e ricostruite nei dettagli.
In quei due giorni le figure più autorevoli della società civile alessandrina: Sindaco, magistrati, giornalisti, insegnanti, religiosi, e i cittadini stessi (ad eccezione dei fascisti) hanno cercato di precludere l’uso delle armi. Le voci del Sindaco Felice Borgoglio e del Prof. Maurilio Guasco si sono levate con particolare autorevolezza.
Lo Stato (nella persona del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Sarti), il Procuratore, il Generale hanno imposto la forza, irridendo le trattative e allontanando le autorità rappresentative delle istituzionali locali.
Le due azioni all’interno hanno fatto molto fumo e rumore, ma senza mai arrivare al confronto armato diretto con i detenuti, in modo determinato e rapido tale da impedire le loro ritorsioni sugli ostaggi. Il Procuratore e il Generale quello hanno cercato e ottenuto il bagno di sangue.
All’inizio dei fatti, il Procuratore della Repubblica di Alessandria, dott. Buzio, ha effettuato il primissimo colloquio con i detenuti insieme all’assistente sociale Giarola Vassallo. Saliti insieme, all’uscita dall’infermeria Buzio è solo. Graziella Vassallo è rimasta all’interno, volontariamente in ostaggio, con il consenso del magistrato, per trattare meglio, non per certo favorire azioni di forza. La società politica e civile alessandrina è stata al loro fianco, con compattezza e determinazione straordinari. Le prese di posizione (fascisti esclusi) di tutte le forze politiche, del Consiglio Comunale stesso, sono state concordi prima nel contrastare la prova di forza prima e successivamente nel denunciare le responsabilità nella conduzione delle azioni di forza.
Il comitato 10 maggio, subito costituito, è stato lo strumento e il punto d’incontro di questa azione di controinformazione.
Esso si è avvalso di un gruppo di ricerca (2) che ha ricostruito i fatti e li ha documentati con scrupolo e consenso concorde. I risultati sono confluiti in un libro “La strage nel carcere” e in una mostra realizzata all’interno del Foyer del Teatro nel Comune di Alessandria, dove normalmente si svolgevano le rassegne d’arte.
Gli stessi materiali, i disegni annotati a mano li ritrovate oggi, cinquant’anni dopo, nella mostra appena inaugurata a Palazzo Guasco.
Per una volta il pensiero civile dormiente ha potuto risvegliarsi, richiamato al presente dal pensiero vigile e consapevole di altri cittadini.

Lo sciopero del gennaio 1974 e le carceri oggi.
Dal 17 al 29 gennaio il Carcere di Piazza don Soria è attraversato da uno sciopero compatto gestito in modo consapevole da un’assemblea permanente a cui aderiscono tutti i 248 detenuti presenti nella struttura.
All’Ispettorato Generale degli Istituti di Pena venne presentato un programma in ventinove richieste.
Il contatto e la comunicazione tra i detenuti in sciopero e le autorità centrali furono garantite dai senatori Buzio e Vignolo e dai deputati Sisto, Fracchia e Traversa. Il Vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera, On. Spagnoli giunse in Alessandria il 29 gennaio. Leggiamo dal libro “La strage nel carcere” (pag.14) “Vengono nuovamente presentate le richieste precedentemente espresse. L’Ispettore De Mari prende la parola per garantire che non ci sarà alcun trasferimento punitivo e che la prossima estate cominceranno i lavori di miglioramento edilizio (partendo …dal teatro!). Fa anche alcune concessioni immediate: libera circolazione di giornali, pulizia dei refettori, apertura d’una sala da barbiere, rispetto dei contratti di lavoro da parte delle ditte che impiegano detenuti, nuova regolamentazione per favorire i rapporti con i famigliari. Spagnoli , a sua volta, assicura il costante interessamento della Commissione Giustizia della Camera”.
Il 29 gennaio, dopo 13 giorni, lo sciopero ebbe termine, senza alcun intervento delle forze dell’ordine.
A titolo esemplificativo si riporta qui di seguito il punto 5 delle richieste: “Come l’On. Commissione ha potuto osservare, nei dormitori e più precisamente nei cubicoli, sono ancora presenti come unico servizio igienico i buglioli. Ora noi, in attesa che vengano costruiti indispensabili servizi igienici in ogni cubicolo, proponiamo l’abolizione di tali recipienti, sostituendoli con altri a chiusura ermetica in modo da eliminare la insopportabile puzza”.
Nei ventinove punti vengono esaminati gli aspetti inerenti l’igiene, il vitto, la manifestazione del pensiero, la corrispondenza, il rapporto con le famiglie, il lavoro, lo studio, la formazione artistica, l’uso razionale degli spazi. Lo sciopero ebbe un grande impatto comunicativo sulla città.
Questo è il retroterra politico e culturale delle “tre belve assetate di sangue”. Si tratta di uno dei momenti più alti di consapevolezza e di dialogo sul tema della riforma il cui testo venne approvato dal Senato il 18 dicembre 1973. Lo stesso testo venne stravolto nel suo passaggio alla Camera il 7 gennaio 1975, sette mesi dopo la strage.
La situazione nelle carceri cinquant’anni dopo è completamente diversa. Movimenti politicamente consapevoli gestiti dai detenuti come soggetto politico-sindacale sono un ricordo del passato. Il panorama è quello del sovraffollamento e dell’isolamento individuale, con un aumento considerevole dei casi di disagio e di malattia mentale, in particolare tra i giovani. Il trattamento e i regolamenti sono problematici, perché il sistema non si muove in modo omogeneo. La conduzione gestionale è differente istituto per istituto. Le frequenti crisi individuali sono affrontate con i trasferimenti. Che regolano l’andamento delle esplosioni di tensione e di rabbia individuale, spostando il problema temporaneamente in altro luogo. E sono i detenuti stessi i primi a cercare soluzioni al proprio disagio chiedendo il trasferimento. Per avere un quadro preciso delle tre carceri di Alessandria: la Casa Circondariale in piazza Don Soria, la Casa di Reclusione a San Michele che contiene la sezione dei collaboratori di giustizia. è sufficiente scorrere le relazioni annuali dei Garanti dei diritti delle persone private della libertà personale incaricate direttamente dalla Giunta comunale. Questo è il link per accedere ad una di questa, redatta dall’attuale garante avv. Alice Bonivardo:

https://www.cr.piemonte.it/dwd/organismi/garante_detenuti/2022/relazione_2021_22_garante_alessandria.pdf

In Alessandria esiste un’ampia gamma di attività inserite nel programma d’Istituto: Scuola per adulti e corsi superiori, Falegnameria, Laboratori d’Arte, Agricoltura in campo e nelle serre, Cucina, Apicultura, Panificio, Rapporti con scuole, con il Salone del Libro, con Librinfesta, Festival delle arti recluse … nel suo complesso sembra una fucina di vita vera dove per i detenuti ci sia solo l’imbarazzo della scelta. La realtà è molto frastagliata e le persone coinvolte in percorsi durevoli sono solo una piccola parte dei seicento reclusi. La gestione è affidata all’iniziativa delle associazioni del terzo settore che non possono comporre un quadro organico. Le iniziative dall’esterno offrono ad ogni detenuto la possibilità di percorso trattamentale, sempre in bilico, affidato alla magia della “chiusura della sintesi”, uno stato di incertezza, che preclude ai più la via per uscire dal giro vizioso carcere, recidiva, carcere.

.1. Autore: Pietro Sacchi (Laboratorio Artiviamoci di ICS Ets)

.2.  Il gruppo di ricerca è stato coordinato da Pietro Sacchi, , di Avanguardia Operaia, che è stato autore dei disegni e delle cronache, da Roberto Nani e Anna Rivera, di Lotta Continua , che hanno ricostruito la storia dello sciopero del gennaio 1974 e il ruolo dei fascisti, e da Mario Maruffi, del Pdup. Ezio Campese, grafico, ha curato l’allestimento della mostra.

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