Il prossimo novembre saranno 35 anni dalla ‘Caduta del muro di Berlino’. E’ una data spartiacque, così si è detto nell’immediato e così si dice ancora, per il mondo intero. Cadeva l’oppressione comunista e il Mondo libero conquistava una vittoria decisiva sulle dittature. La democrazia, che negli anni novanta si identificava con la libertà di mercato e dell’individuo economico, aveva trionfato. L’Europa conquistava definitivamente un lungo periodo di pace, l’America era il vero dominus del gioco internazionale. Da un lato all’altro del globo ci si poteva muovere, e si potevano trasferire merci capitali e non solo persone, come se la superficie del pianeta fosse diventata all’improvviso piatta, sede di una vera unificazione mondiale, almeno a livello di mercato e di lingua e costumi. Tuttavia, dopo l’intervento russo del febbraio 22’ in Ucraina, intervento che non solo prolunga il travaglio di quella area dell’est Europa, ma rischia di coinvolgere sempre più gli opposti campi raccolti in alleanze internazionali in un conflitto diretto, abbiamo la netta impressione che qualcosa di profondo si sia rotto e che quella visione del mondo non sia ormai attuale. E’ probabile che il significato di quella data, il novembre 1989, per le cose sopra scritte, debba essere rivista nei suoi significati di fondo. Il presente, e la distanza da quel passato, in più la coscienza che ben altri processi sociali e storici hanno scavato il solco della storia, ci dovrebbero portare a riflettere altrimenti sul senso di alcune date storiche. Il dominio del pensiero neoliberale appare appannato come appare non più certa la presa sul mondo da parte delle potenze anglosassoni. Sono caduti alcuni presupposti della fase che abbiamo vissuto dagli anni novanta; negli scambi internazionali avanza sempre con maggiore insistenza il protezionismo, alimentato anche dagli americani; il Dollaro è insidiato nel suo ruolo di moneta di riserva mondiale dall’attività degli ex paesi colonizzati, i così detti BRICS; infine, il caos a livello internazionale è generato anche dal minore potere della forza maggiore, gli USA, che non sa più imporre il proprio ordine, sbagliato o giusto che esso sia, e non sa concordarne uno alternativo con i nuovi attori sulla scena perché non vuole accettare nessuna forma di condivisione del governo globale.
Inoltre, in Europa ci eravamo abituati a ritenere il nostro continente estraneo al ritorno della guerra: la guerra poteva avvenire per scontri di poca importanza altrove ma non dalle nostre parti. Dal febbraio 22’, come giustamente ci ha ricordato su un bel numero di Limes di qualche tempo fa Lucio Caracciolo, la guerra tra Russia – Usa e Ucraina ha interrotto una lunga fase di pace sul nostro continente che durava dal 45’.
Allora che cosa significa la data del 1989’? Forse qualcosa di diverso da ciò che si è sempre raccontato ad ogni ricorrenza della data della caduta del Muro di Berlino e che sopra ho succintamente ricordato.
Sicuramente non si è trattato di una vittoria della libertà e della democrazia, termini usati in modo troppo ambiguo in questi anni per poter ritenere utile una tale definizione della data storica in oggetto, troppo intrisa di propaganda del vincitore. Semmai si è trattato dello sfaldarsi di un sistema politico, quello comunista, che nella versione sovietica aveva tentato di costruire una statalizzazione totale dell’economia non riuscendo a mantenere però i tassi di produttività, di consumo e livello degli investimenti pari all’avversario capitalista. In più, si sfalda un impero, che ha avuto basi storiche secolari, l’impero russo, e questo impero si sfalda non tanto per il desiderio delle persone di avere libero accesso alle merci e alle ricchezze occidentali, ma semmai per il rinascere, in alternativa alla crisi del potere dei partiti unici, dei vecchi nazionalismi e revanscismi religiosi. E siamo all’oggi, come si vede; una democrazia liberale ridotta a semplice libertà di mercato e alla esaltazione della capacità di comando del Leader senza contrappesi istituzionali, rinascita ovunque degli istinti nazionalisti, ritorno del ‘sacro’ in politica.
Dunque, l’89’ potremmo iniziare a ricordarlo come data che riporta i nazionalismi alla ribalta della storia europea e questi, corroderanno, come stanno corrodendo, i meccanismi della democrazia liberale, oltre ogni fallace illusione di questa di aver vinto per sempre la partita storica contro ogni tipo di avversario.
Non ci dimentichiamo che gli anni immediatamente seguenti l’89’ sono gli anni della riunificazione tedesca, con il riaprirsi di una questione mitteleuropea che sembrava sepolta per sempre, e sono gli anni della guerra etnica nella ex Jugoslavia. La caduta del muro di Berlino è un evento soprattutto della storia del continente Europa, perché malgrado il primato americano sul mondo dopo quell’evento, esso è stato troppo breve e di dominio globale troppo travagliato per fermare quel recupero di centralità dei paesi colonizzati che, iniziato con la rivoluzione del 17’, sta oggi giungendo a snodi decisivi. In questo senso penso sostanzialmente alla Cina e all’India.
Torniamo a noi. L’89’ si collega agli eventi del febbraio 22’, che potrebbero porre fine alla pace europea che era stata stabilita con la fine della guerra nel 45’. In un certo senso il 22’ invera e completa l’89’ nelle sue vere conseguenze, ci disvela l’equivoco, ci fa comprendere come la pace sia stata persa allora dopo la caduta del muro, ovvero che allora vera pace non vi fu ma si stavano creando le condizioni della guerra attuale. Era necessario giungere ad un vero accordo di pace, ad un trattato fra Europa Occidentale, USA e la Confederazione russa. Un trattato di pace che ponesse fine a quella tregua armata a cui l’Europa doveva attenersi, durata dal 45’ fino alla caduta del Muro, e che sanciva il fatto che i due blocchi avevano tracciato dei confini oltre i quali non si poteva andare e lungo i quali non era consentito lo svolgersi di una nuova guerra mondiale esplicita e devastante. Alla guerra aperta degli eserciti, possibilità sempre rifiutata da entrambe i blocchi, si sostituiva la guerra ideologica, la competizione egemonica economica, il confronto sotterraneo delle strutture spionistiche, spesso tese a far ‘sparire’ coloro che minacciavano gli equilibri raggiunti. Con l’89’ sarebbe stato necessario stabilire con accordo scritto come si sarebbero gestiti i nuovi equilibri, resa formale e duraturo un nuovo periodo di pace. Le classi dirigenti europee e americane si sono, invece, cullate nella illusione di aver per sempre annullato ogni revanscismo imperiale russo, sperando di chiudere ogni partita con i russi accerchiandoli da ogni lato su una linea di fronte che va dal Baltico al Mar Nero. La speranza di un dominio totale nel mondo da parte Occidentale si è infranto di fronte al rinascere della forza della Cina, dell’India, di altri ancora. Il sogno di una Europa tutta sottomessa all’egida Nato si è arenata di fronte alla resistenza del revanscismo russo che mostra capacità di resistenza inaspettate.
Si può, dunque, leggere questa fase come una risultante di tre fattori che giungono ad incrociarsi; la rinascita del nazionalismo e dell’irrazionalismo in Europa, il conflitto su scala sovracontinentale fra nuovi imperialismi in lotta fra loro, alimentati a loro volta da un crescente spirito neo protezionista che pervade di nuovo la fase storica dopo un lungo tratto dominato a livello globale dal libero scambio di merci e capitali. La battaglia per la pace non è dunque, cose da anime belle oppure o questione nostalgica per chi rimpiange internazionali non più esistenti; ma semmai il terreno su cui può e deve posizionarsi una sinistra che sa aggiornare le sue analisi, anche sul recente passato, e sa indicare al mondo occidentale e a quello democratico una via per uscire dalle logiche di potenza e di guerra che dominano ormai il nostro quotidiano.
Come sempre, una sapere storico per saper vedere una nuova strada per il futuro, anche questo deve essere la sinistra se vuole avere senso nei prossimi decenni.
Alessandria 23 – 06 – 2024 Filippo Orlando
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