Un dibattito alla Festa provinciale dell’ANPI.
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Nell’ambito della festa provinciale dell’ANPI di Alessandria, che quest’anno si è svolta a Pontecurone, a quattro passi dalla stazione ferroviaria, di fronte ai locali della SOMS del paese, si è svolto un interessante dibattito, moderato da chi scrive, nella serata del 27 luglio scorso.
La festa provinciale ANPI si è svolta su cinque giorni, dal 25 al 29 luglio, con cucina sempre aperta la sera, importanti mostre e dibattiti che hanno coinvolto personaggi di livello come il deputato Federico Fornaro, la storica Chiara Colombini, il Presidente nazionale ANPI Gianfranco Pagliarulo, l’ambasciatore della Autorità Palestinese in Italia Hani Gaber, presentato da Mara Scagni e dalla Vicepresidente prov. ANPI Alessandria Carla Gagliardini, il giornalista afghano Alidad Shiri.
Tutti gli incontri hanno visto una partecipazione alta e attenta di pubblico, una elevata qualità degli interventi e dei contenuti espressi. Vi è stato il grande impegno generoso dei militanti giovani e meno giovani, va detto non per mera formalità, della sezione ANPI locale e delle altre sezioni della provincia, che ha consentito la riuscita di una festa che ha non poco ricordato i vecchi tempi in cui in queste occasioni si univa passione politica alla voglia di stare insieme e di approfondire con gli ospiti esterni gli elementi della propria cultura e preparazione pubblica.
Consentite, tuttavia, di ritornare al dibattito di sabato 27 luglio, in cui i protagonisti sono stati due giovani intellettuali impegnati sul passato e sull’oggi, caratterizzati da grande rigore intellettuale come da una passione sempre controllata dagli strumenti di una cultura coltivata e forte. Si tratta di Davide Conti, storico e consulente per la procura di Bologna e Brescia nell’ambito delle indagini su entrambe la stragi che hanno coinvolto quelle città, e Luca Casarotti, giornalista, ricercatore presso l’università di Siena, Presidente ANPI Pavia e valente pianista. Conti presentava la sua ultima fatica per i tipi dell’Einaudi, intitolata ‘Fascisti contro la democrazia’, ‘Almirante e Rauti alle radici della destra italiana, 1946 – 1976’; Luca Casarotti l’agile volumetto, ma estremamente denso, intitolato ‘L’antifascismo e il suo contrario’, che può essere definito, una raffinata difesa della militanza politica, dell’essere di parte, della necessità indispensabile per la quale una democrazia sopravviva attraverso il dato che ci sia una forte partecipazione di massa alla politica e al relativo dibattito.
Davide Conti ha iniziato l’incontro citando, come all’inizio del suo volume, il discorso congressuale di Aldo Moro, esercitato a Napoli nel 62’, con durata temporale passata alla storia, che in alcuni passaggi decisivi, volti a convincere la DC ad aprirsi a sinistra, spiegava il perché fosse così difficile attuare la costituzione nel nostro paese, e quanto persistesse una destra anticostituzionale e ferocemente opposta al clima democratico instauratosi dopo la resistenza. Questa destra era ben più ampia e radicata della rappresentanza parlamentare dell’allora MSI, e si strutturava attorno a ceti statuali e borghesi arretrati culturalmente, tuttavia ben presenti nel cuore strutturale della società italiana. La difficoltà ad attuare il progetto costituzionale risiede così nel fatto che una parte importante del paese e delle strutture statuali, agivano nei momenti in cui si poteva addivenire ad un allargamento della partecipazione politica delle sinistre ai governi nazionali. L’azione posta in gioco da queste forze, più reazionarie che conservatrici, era di natura eversiva rispetto al sistema nato dalla resistenza, e contemplava il porre in atto un colpo di stato per instaurare un regime militare simile ai casi spagnolo, portoghese e greco. L’MSI e le formazioni fiancheggiatrici come Ordine Nuovo o Avanguardia Nazionale si inseriscono attivamente in questo disegno eversivo, lo animano e sperano veramente di abbattere la democrazia antifascista. Almirante, quanto Pino Rauti, è responsabile di questa linea tattica e strategica di un neofascismo tutto giocato contro e non dentro la democrazia, non avendo mai accettato l’MSI in tutta la sua storia la Repubblica e la Costituzione del 48’.
Detto ciò, Conti afferma che non è possibile ritenere Almirante un grande politico democratico, come si tende a fare oggi, nè il primo propugnatore di una destra costituzionale e conservatrice che doveva nascere in Italia dopo il congresso di Fiuggi del 95’. Come sempre la storia viene letta per il comodo di tattiche di corto respiro, ma una seria indagine storica deve dare l’esatta prospettiva in cui va inquadrato il passato. E proprio Conti più volte sostiene come il nostro paese, al quale è mancata una sua Norimberga e ha accolto un partito di chiara ispirazione fascista in parlamento dal 48’ in avanti, non ha mai fatto i conti con la sua adesione di massa al regime mussoliniano. Buona parte del paese che ha sostenuto il regime e che poi opportunisticamente ha gettato l’orbace alle ortiche, si è autoassolto da ogni responsabilità ma ha continuato ad avere i soliti pregiudizi contro ogni allargamento della partecipazione democratica alle classi popolari. La Prima Guerra Mondiale ha sancito definitivamente l’entrata delle masse dentro il gioco politico, e a questo sconvolgimento si è risposto con tre rivoluzioni. La rivoluzione sovietica che ha cercato di integrare le masse attraverso il governo del partito e dei Soviet, anche se poi le assemblee di base sono state travolte dal partito-stato; la rivoluzione fascista, che ha cercato di passivizzare le masse sotto il comando indiscutibile e mobilitante dello stato nazionalista; la rivoluzione fordista e keynesiana che cerca di controllare le masse attraverso la disciplina del lavoro e l’induzione al consumo. Il Fascismo è stato un fenomeno originato dall’irruzione delle masse nella storia, ci dice Conti, e con questo accaduto dobbiamo ancora misurarci superando ogni facile amnesia e autoassoluzione. Ho rivolto a Conti, a questo punto, la domanda di come si debba allora valutare il rapporto Almirante – Fini-Meloni. La risposta è stata pronta; vi è molto di Almirante in Meloni; se Fini, pur con molte ambiguità cerca da Fiuggi in avanti di abbandonare lo spirito eversivo dell’MSI, Giorgia Meloni fonda il partito di Fratelli d’Italia contro la politica di Fini e il rifiuto di Fiuggi rialzando, dunque, le vecchie bandiere identitarie del Movimento Sociale.
Se questo è il contesto di un paese con scarsa memoria e con ancor più scarsa propensione a fare i conti con le proprie pulsioni antidemocratiche, Luca Casarotti ci insegna come vi sia un nesso forte fra memoria e politica, fra Storia e impegno civile e militante, e quanto, aldilà di ogni pretesa di neutralità, il lavoro storico può essere rigoroso ma spesso e volentieri non obiettivo o meglio di parte. Nel suo saggio sull’Antifascismo, il giovane intellettuale pavese, si contrappone a pensatori liberali come Galli della Loggia e Claudio Giunta, e vi si contrappone perché alla critica della militanza e dell’impegno politico che anima questi pensatori, Casarotti risponde che altresì è proprio lo studio della Storia che deve portare all’impegno civile, e l’impegno civile è ciò su cui una democrazia vive e non vegeta. Un mondo in cui le scienze umanistiche e non solo quelle, siano riservate a un ristretto cerchio di specialisti non può che far deperire il tessuto democratico; per questo Casarotti afferma che c’è un vasto bisogno di storia e di necessità di discussione pubblica intorno a questa. E’ la necessità della politica civile che ritorna attraverso una domanda collettiva di Storia.
L’Antifascismo risponde a questa esigenza, esigenza di militanza e di politica, di vivere il nostro tempo. Si vuole far credere che l’Antifascismo possa essere posto in soffitta, tra gli arnesi che forse sono stati utili un tempo ma oggi non sono altro che inutili ridondanze. Si accusa l’Antifascismo di essere nato da una guerra civile, e dunque di essere null’altro che fattore di divisione. E invece, anche se i partigiani sono sempre meno, l’Antifascismo deriva da fatti storici che hanno creato una dottrina costituzionale che legittimamente vuole proiettarsi nel futuro, ben aldilà delle condizioni storiche che l’hanno creato. E, infine, l’Antifascismo nasce sì da una guerra civile, ma non è stata tale, o comunque terreno di divisone della comunità nazionale anche la Rivoluzione Francese e la Guerra di Secessione Americana che hanno rifondato gli USA. Le argomentazioni anti-antifasciste non hanno vera forza interna, esse cadono su se stesse, partono dal principio che impegno e militanza, che la politica e il parteggiare, vadano sempre condannati. Casarotti a tutto questo risponde con un libro militante per scelta, che vuole concepire l’antifascismo come fronte ampio e sempre storicamente con equilibri interni cangianti, e che concepisce il narrare la Storia come alta espressione del vivere civile di massa. Ed è forse in questa ultima aspirazione l’elemento di fondo, il filo rosso che unisce le passioni dei due intellettuali Conti e Casarotti e ne riunifica in un solo significato i due volumi proposti, per altri versi così distanti.
Alessandria 05-08-2024 Filippo Orlando.
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