Associazione «Le radici della Pace – I Quindici»
Milano, piazzale Loreto, 10 agosto 2024.
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Sergio R. Fogagnolo è il figlio di Umberto che, in qualche modo, cerchiamo di far rivivere in questa introduzione a cura della Redazione. Sergio ne è il degno erede, presidente dell’ass. “Le radici della Pace – I Quindici”. Di Umberto si può leggere un buona descrizione qui : https://anpimilano.com/memoria/partigiani-milano-e-provincia/f/fogagnolo-umberto-2/ mentre, a seguire, potete trovare la trascrizione integrale della relazione del figlio Sergio R. Fogagnolo, tenuta proprio in Piazzale Loreto a milano. (n.d.r.)
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Cittadine e cittadini, compagne e compagni, amiche e amici,
vi ringrazio di essere qui così numerosi, malgrado il caldo torrido e il periodo di ferie. La vostra costante dedizione, come quelle delle molte istituzioni presenti – che saluto e ringrazio di cuore per la loro partecipazione -, attenuano l’immutato dolore dei familiari delle vittime del nazifascismo, assassinate qui, 80 anni fa. Ve ne siamo riconoscenti e vi ringraziamo cordialmente.
Non so se il prossimo decennale, ammesso che io ci arrivi, sarò anche in grado di partecipare attivamente. Colgo, dunque, questa occasione per fare una chiacchierata tra amici, e con i miei “fratelli di sangue” [1], volendo comprendere, in queste tre parole, tutti gli orfani delle stragi nazifasciste, presenti o no.
Prima però, vorrei ringraziare la vice sindaca Anna Scavuzzo e Pier Francesco Maran, neodeputato europeo ed ex assessore alle politiche della casa, ma anche la Sezione ANPI “10 agosto 1944”: senza il loro aiuto, oggi non avremmo potuto inaugurare questo Largo dedicato ai nostri quindici partigiani, come, da tempo, avevamo chiesto.
Quindi, un grande grazie a tutti e tre!
Per anni, una storiografia classista ha imposto canoni narrativi della Resistenza che premiavano la partecipazione operaia, relegando in secondo piano quella cattolica, azionista, socialista o liberale che, nel dopoguerra, avrebbero potuto facilmente affermarsi come potenziale classe dirigente laica o confessionale. Solo per citarne alcuni, il cattolico Vittorio Gasparini, un eroe che è quasi ignorato nella storiografia dei Quindici, perché arruolato di-
rettamente dall’Office of Strategic Services americano e attivista del movimento cattolico clandestino che darà vita, poi, alla Democrazia Cristiana; mio padre, rappresentante del Partito d’Azione nel CLN Sestese e referente di Parri per la zona briantea, il cui ruolo nella narrazione della Resistenza è stato molto circoscritto; per quanto riguarda Principato, mancava solo che venisse tacciato di socialfascismo.
In tutt’altro contesto, Alfredo Pizzoni, il banchiere della Resistenza, di simpatie liberali, ma senza tessera di partito, fu estromesso malamente dalla Presidenza del CLN-AI, due giorni dopo la Liberazione perché non politico, benché avesse ricoperto quel ruolo con onore, efficienza e grandi capacità di mediazione, per gli oltre venti mesi della Resistenza. Il finanziamento alleato del movimento clandestino e il suo non facile trasferimento di quei fondi dalla Svizzera in Italia si deve al suo fluente inglese e alla sua rete di relazioni professionali [2]; eppure, nella narrazione resistenziale classista, Pizzoni è un grande assente.
Ma, per Abramo Oldrini, che la Guerra di Liberazione l’aveva fatta sul serio, come per tutti i sestesi legati alla Resistenza, mio padre era “l’ingegnere”, tra virgolette e senza cognome [3]. A Sesto, dove c’erano quarantamila operai, di ingegneri ce n’erano un sacco, ma solo mio papà era “l’ingegnere” e basta, che aveva fatto amicizia con l’operaio Casiraghi, comunista ed ex confinato, perché ne stimava la grande intelligenza, tanto che, insieme a lui, organizzò gli scioperi del marzo ’43 e del ’44, e affratellati, morirono qui, insieme, assassinati dai fascisti, 80 anni fa. “L’ingegnere” che, già nel luglio ’43, rischiando la pelle, andava nelle officine della Falck, della Breda, della Pirelli e della Ercole Marelli, a fare comizi per di-
fendere i diritti degli operai, per raccogliere adesioni alla Resistenza e per organizzare gli scioperi; che, nelle montagne lecchesi e ossolane, portava armi ed esplosivi ai partigiani, insegnandone l’uso; che, in pianura, in riunioni clandestine con i CLN aziendali, coordinava le azioni politiche di sabotaggio della produzione bellica. Ed era sempre “l’ingegnere” che, rischiando la vita, andò in Questura, a incontrare il vice questore Mendia, per trattare la libertà di cinque partigiani sestesi arrestati, offrendo in cambio il passaggio di Mendia alla Resistenza, ormai sicuramente vincente. Lo convinse e uscì dalla Questura, libero. E, qualche giorno dopo, anche i cinque partigiani ne uscirono liberi [4].
La Guerra di Liberazione è una guerra asimmetrica tra i due eserciti nazifascisti, bene or- ganizzati e bene armati, e un pugno di straccioni, armati alla bell’e meglio, che si scelgon democraticamente i capi, ma non hanno divise per ripararsi dal freddo invernale, né un finanziamento certo che possa garantire armi, munizionamento, vestiario adeguato, cibo.
Inferiore per numero, armi e mezzi, l’esercito degli straccioni ha solo la possibilità tattica del “mordi e fuggi”, per fare, con il vantaggio della sorpresa, il maggior danno possibile e abbandonare, in fretta, la zona di combattimento, per evitare la reazione nemica.
La risposta dei nazifascisti sono le criminali rappresaglie, con il rapporto di uno a dieci per ogni morto nazista. Ma spesso, la rappresaglia è decisa anche senza il morto nazista, e anche in assenza di azioni partigiane o di loro formazioni. Non c’erano partigiani a Sant’Anna di Stazzema [5]. 560 civili massacrati per niente, prevalentemente donne, vecchi e bambini. Tra due giorni, anche lassù, i miei “fratelli di sangue” ricorderanno, mesti, l’80° anniversario dell’efferata strage. La decisione di attuare la rappresaglia ha il solo scopo di terrorizzare la popolazione civile, eliminando ogni possibile simpatia per la Resistenza; è “la po-
litica della terra bruciata”, applicata con ottimi risultati, nell’Est Europa, pedestremente replicata dai nazisti nell’Italietta della repubblichina.
Negli anni ’50, in nome dell’Alleanza Atlantica, tra la Germania Federale e l’Italia, si decise di attuare un’analoga, speculare «politica del passato» per salvare i criminali di guerra dei
rispettivi Paesi.
Nel novembre ’50, il deputato della CDU (la democrazia cristiana tedesca) Heinrich Höfler e il segretario generale del nostro Ministero degli Esteri, dottor Vittorio Zoppi, firmarono un accordo segreto [6] col quale il governo italiano si impegnava a concedere la grazia ai criminali di guerra tedeschi; ma non a Herbert Kappler, imputato del massacro delle Fosse Ardeatine.
Nell’ottobre ’59, il procuratore capo del tribunale militare di Roma, dottor Massimo Tringali, si presentò all’ambasciatore tedesco a Roma, dottor Klaiber, per parlare dei processi dei criminali di guerra nazisti ancora aperti, dicendo chiaro e tondo che non aveva nessuna intenzione di riprendere le indagini, tanto meno di inoltrare richieste formali per rintracciare gli imputati. Infine, egli disse che l’Italia, per motivi di Politica Interna, non aveva al-
cun interesse a riaprire il problema delle stragi naziste [7].
Tringali era bravissimo: non aggiustava le sentenze – come certi dilettanti di oggi – aggiustava direttamente le indagini, senza più nessun bisogno di aprirli, i processi!
Così, si è formato l’armadio della vergogna.
Tra i 695 fascicoli dormienti, c’era anche quello della strage di piazzale Loreto. Grazie a Tringali, noi familiari dovemmo aspettare fino al dicembre 1997, per poter portare in tri- bunale il criminale di guerra Theodor Saevecke, ormai unico ancora in vita, dei 18 responsabili, tra nazisti e fascisti. Insomma, con il teorema Tringali, siamo noi, i miei «fratelli di sangue» e io, che paghiamo il conto per salvare la pelle dei criminali di guerra nazisti e fa-
scisti [8]!
Eppure, c’è chi ci vorrebbe muti testimoni di una storiografia classista, scritta nel marmo, indifferenti alla Storia che evolve e incapaci di interpretare il presente con gli strumenti critici della Resistenza e i valori scritti nella nostra Costituzione. Invece no! Siamo Cittadini attivi e consapevoli, che la Costituzione la praticano e la vivono.
A distanza di ottant’anni dalla strage, c’è ancora chi vuole una memoria condivisa delle complesse vicende che si svolsero in piazzale Loreto, tra l’agosto ’44 e fine aprile ’45. Ma l’unica cosa in comune tra le bombe di viale Abruzzi, la strage nazifascista e l’esibito corpo del tiranno e dei suoi gerarchi, è il dolore del bimbo che perde il padre, sia egli l’innocente passante di viale Abruzzi, o il partigiano, incolpevole vittima della tragica ritorsione.
Sicuramente, i familiari dei caduti nell’Azione della Guerra di Liberazione di viale Abruzzi, vittime innocenti e occasionali della guerra civile, addebiteranno il loro dolore ai Combattenti per la Libertà. Eppure, sappiamo che, tra loro, c’è anche chi ha saputo storicizzare l’evento e capire che la causa della morte del suo familiare è stata la guerra civile, conseguenza della sciagurata decisione di Mussolini di barattare la sua libertà con quella dell’I-
talia, occupata dai nazisti [9].
Purtroppo, difficilmente, i familiari dei gerarchi fascisti si renderanno conto che la mancanza di libertà, la 2GM e la guerra civile, insieme al loro troppo spesso esibito strapotere, sono le cause della rivolta contro il fascismo che finì la sua parabola, qui, in piazzale Loreto. Chi è prigioniero dei propri pregiudizi, invece, considererà responsabili, a priori, i partigiani. Per un fascista è inconcepibile l’idea che un partigiano metta consapevolmente a rischio la propria vita per la libertà e la democrazia, valori assolutamente ignoti al fascismo.
Vi ringrazio per la cortese attenzione, cittadine e cittadini milanesi.
Viva la Libertà! Viva la Democrazia!
Viva la Repubblica, UNA E INDIVISIBILE, nata dalla Resistenza!
Sergio R. Fogagnolo
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1 Mi vengono in mente, in particolare, i miei fratelli di sangue Enio Mancini (strage di Sant’Anna di Staz-
zema), Gabriele Molari e Carla Bianchi (strage del Cibeno) e Marcella De Negri (massacro di Cefalonia).
2 Cfr. Alfredo Pizzoni, Alla guida del CLN-AI, il Mulino, Bologna, 1995. Cfr. anche Tommaso Piffer, Il ban-
chiere della Resistenza, Mondadori, Le Scie, aprile 2005, pagg. 213 e seguenti.
3 Così mi ha raccontato, qualche tempo fa, Giorgio Oldrini, figlio di Abramo, già sindaco di Sesto s. Giovan-
ni e oggi direttore della rivista dell’ANED Triangolo rosso.
4 Cfr. anche CLN Aziendale Ercole Marelli, Biografia del martire dott. ing. Umberto Fogagnolo, Archivio
Famiglia Fogagnolo. Cfr. anche Cospirazione eroica. Scarcerazione di un gruppo di detenuti politici, Se-
sto proletaria, 13 dicembre 1945, a firma c. c., pagina 2, Archivio della famiglia Fogagnolo. Cfr. altresì Eu-
genio Mascetti, La pelle dell’orso, Greco & Greco Editori, Milano, 1990, pag. 140.
5 Cfr.https://www.treccani.it/enciclopedia/sant-anna-di-stazzema-eccidio-di_(Dizionario-di-Storia)/. Ec-
cidio di Sant’Anna di Stazzema, in Dizionario di storia, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,
2010. Url consultato il 04.08.2024.
6 Cfr. Filippo Focardi, Criminali di guerra in libertà. Un accordo segreto fra Italia e Germania Federale,
1949-55, Carocci, 1^ edizione, aprile 2008. Pag. 79 e seguenti. Cfr. anche Contemporanea. Rivista di sto-
ria dell’800 e del ‘900, Felix Nikolaus Bohr, L’indagine indesiderata, Anno XVI, numero 3, luglio-
settembre 2013, il Mulino, pag. 429 e seguenti.
7 Ibidem.
8 L’indagine della 78th Special Investigation Branch inglese, particolarmente accurata, terminava il 21
maggio 1946 con l’individuazione nominativa di 18 responsabili (14 nazisti e 4 fascisti). Cfr. Atti del Pro-
cesso Saevecke, documenti 913 ÷ 915, a firma dei capitani J. Vickers e R. J. Masters, oggi nell’archivio del
Tribunale Militare di Verona.
9 Cfr. Renzo De Felice, Rosso e Nero, a cura di Pasquale Chessa, Baldini&Castoldi, Milano, 1995, pag. 109
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