L’attore ha attraversato il cinema francese ed italiano degli ultimi cinquanta anni.
Lo possiamo considerare come il campione dello charme, l’erede di quel Gerard Philipe che faceva battere tanti cuori, e sicuramente nella classifica degli attori più belli si collocava al primo posto in Francia, accompagnato da Paul Newman negli Stati Uniti, da Cary Grant fra quelli britannici e da Marcello Mastroianni in Italia.
Bellezza quindi, ma il cinema, lo sappiamo, è composto da molti fattori e quindi il successo è determinato sicuramente da una bravura, dovunque essa derivi.
Sono rimaste famose le scene de La piscina, 1969, in cui l’attore ostentava il suo fisico, ma in molte altre pellicole era il suo sguardo deciso, i suoi occhi di acciaio a determinare il successo dei personaggi.
Non vorrei dilungarmi su tutta una carriera costellata di alti e bassi, ma mi piace ricordare due film che mi hanno colpito per l’iconicità, la freddezza apparente dell’attore.
Ricordo ad esempio Le Samourai di Jean Pierre Melville, nel quale in una Parigi povera, scrostata e quasi meccanica, si muove il suo personaggio di robot, sicario per scelta, vincitore al gioco, ma perdente nella vita, che non riesce a stabilire se non rapporti di violenza con gli uomini e di incomunicabilità con le donne.
Un samurai, quindi ligio soltanto alle sue regole, al suo dovere, che si è costruito per resistere alle tempeste del mondo esterno e che vive e muore seguendo soltanto il suo codice, senza badare agli altri.
Un Delon robotico, impassibile e duro, ma capace di far sprigionare dal suo personaggio tanta forza e dinamicità.
E poi, udite udite, Monsieur Klein di Joseph Losey, questo regista americano così misconosciuto, che tanti capolavori ha saputo realizzare prima in America e poi in Inghilterra.
M. Klein è il borghese che nella Francia, nella Parigi controllata dai tedeschi, cerca di rinchiudersi nel suo mondo, di creare una fortezza attorno a sé, ma inevitabilmente, tale fortezza si disgregherà per gli eventi bellici e M. Klein, colpevole di non essere neppure ebreo, si troverà assieme alle migliaia di ebrei parigini e francesi condotti verso l’Est e quindi verso il nulla.
Anche qui una prova del tutto particolare di Alain Delon, un accorgersi che l’apparenza fisica non è sufficiente a sostituire la bravura di chi sa calarsi nel personaggio.
Caro Alain, mi hai accompagnato in tante serate non banali della mia vita, talora in piccoli cinerini di provincia, talora in importanti “cinema d’essai”.
Ti sia lieve la terra.
Viator
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