Quegli incendi che riguardano il mondo

La politica, per definizione, è una fabbrica di futuro. Costruisce – e vende – scenari capaci di conquistare il voto e, qualche volta, perfino la fiducia dei cittadini. Cercando di barcamenarsi in un’era di cambiamenti rapidissimi e, per lo più, imprevedibili, in cui nessuno sa davvero dove stiamo andando a finire. Però, fino a qualche tempo fa, c’erano alcuni solidi ancoraggi che i leader utilizzavano come bussola. Si chiamavano ideologie, e si fondavano sulla fusione tra i nostri bisogni quotidiani e l’universo fuori dalle mura. Non erano necessariamente visioni – e ricette – funzionanti, ma servivano ad alimentare l’illusione che ci fosse una qualche connessione tra il nostro destino personale e ciò che accadeva nel mondo. Oggi, questa connessione è saltata. E gli incendi che hanno devastato Los Angeles sono il simbolo di questa sconfitta.

Fosse successo ad Haiti o in qualche angolo della foresta amazzonica, li avremmo derubricati come un lascito della arretratezza e mancanza di adeguate risorse economiche, il cosiddetto sottosviluppo. Ma è accaduto nel cuore dell’Hi-tech, nella maggiore concentrazione di ricchezza e, al tempo stesso, know-how tecnologico. Nella città – e nello stato – diventati l’emblema della rivoluzione informatica che, con l’intelligenza artificiale generativa, ci promette di controllare e rendere prevedibile ogni step del nostro lavoro. Infilandosi perfino negli anfratti della nostra natura umana. Però, nell’idilliaca culla in California dove l’IA è stata partorita, ha lasciato scoperti i fili elettrici dei collegamenti tra le case, che hanno fatto da innesco e da volano alle fiamme che si sono divorate le abitazioni dei miliardari, insieme a quelle dei poveracci che lavoravano per loro.

La lista delle cause è lunga, ma va tutta nella stessa direzione. Che si tratti di servizi locali inesistenti, di disboscamento mancato, di acqua sprecata per piscine e prati, di ville su crinali mozzafiato impossibili da raggiungere con i mezzi di soccorso, gli ingredienti di questa tragedia fotografano la medesima illusione: vivere connessi col pianeta ma sconnessi dalla propria terra. E, nell’epoca della comunicazione totale, questa sconnessione è diventata il segnale di una incapacità più generale. Un tarlo nell’illusione prometeica che il nuovo fuoco dell’intelligenza artificiale ci avrebbe fatto da guida nel futuro.

Nella mentalità popolare, il cortocircuito è semplice. La domanda «ma come è stato possibile?» non riguarda più soltanto il sindaco di L.A. o il governatore della California. Ma investe le promesse sulle magnifiche sorti e progressive dell’IA che Musk, Zuckerberg o Sam Altman stanno facendo a gran voce, diventando i protagonisti della scena politica internazionale. Se questo è il modo in cui riescono a occuparsi del cortile di casa loro, che garanzie potranno mai darci sull’eldorado che ci promettono? Si sa che da ambasciatori del Mondo nuovo a cavalieri dell’Apocalisse, il passo è sempre più breve del previsto.

Come tutte le notizie tragiche, anche questa passerà in giudicato. Si sa che la gente comune ha tanti di quei guai per la testa che fa presto a dimenticare. Ma per l’establishment che ha sposato a mani – e tasche – piene la nuova ideologia tecnocratica, questo incendio continuerà a bruciare. E inizierà a seminare dubbi. «Ma hai visto come è finita in California» è una battuta che pronunceranno in pochi, ma molti si porteranno dentro. Perché non riguarda soltanto un manipolo di finanzieri visionari, ma – almeno sulla scena americana – mette a fuoco il rapporto strettissimo che si è venuto a creare tra politica e tecnologia digitale. La democrazia sta diventando, forse è già diventata, digicrazia. Un sistema di connessioni globali, con cavi sotterranei invisibili che collegano ogni aspetto delle nostre vite. Ma quando un filo resta scoperto, prende fuoco.

di Mauro Calise,

(“Il Mattino”, 13 gennaio 2025).

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