Lo strepito è assordante, il frastuono continuo.
Non passa settimana che il furioso vento della destra sovranista internazionale non ci porti dichiarazioni destabilizzanti, idee estremizzate, proposte radicalmente contrarie alle regole che hanno plasmato il mondo dalla fine della Seconda guerra mondiale ad oggi. E’ una sorta di rabbiosa corsa al capovolgimento di ciò che è stato per decenni, almeno in Occidente, sentire comune, orizzonte condiviso, assonanza di valori.
Dalla trasformazione della striscia di Gaza in Gaza beach per resort di lusso alla deportazione dei suoi abitanti; dall’esaltazione del partito neo nazista Alternative fur Deutschland – “unica speranza per i tedeschi” – al conio dell’acronimo MEGA, per il quale “fare l’Europa di nuovo grande” significa dissolverla. E si potrebbe continuare a lungo.
Naturalmente il vento soffia forte da Oltreoceano, ma procede sostenuto anche da questa parte dell’Atlantico: dall’Ungheria di Orban all’Austria, fino al Regno Unito dove si assiste all’incredibile resurrezione politica di Nigel Farage, ispiratore della Brexit. Per non parlare della Germania, dove tra qualche giorno sapremo quanto l’urto della destra xenofoba è in grado di terremotare le istituzioni tedesche.
Di fronte allo stravolgimento delle regole e dei principi finora comunemente accettati l’indignazione non basta e la protesta scandalizzata del progressista collettivo non soltanto non è sufficiente, ma rischia di sortire l’effetto contrario. Ancor prima di una battaglia politica siamo infatti in presenza di una Kulturkampf, di una guerra culturale, che trae forza proprio dall’esibito ribaltamento del modo consolidato di vedere e pensare le cose.
E tuttavia, dietro la sarabanda di follie ostentatamente indecenti, dietro l’orgia della scorrettezza politica vi è un disegno lucido, al quale occorre rispondere con altrettanta lucidità. Occorre guardarci dentro, sostenere lo sguardo della Gorgone senza paura di rimanerne impietriti, per mettere a fuoco il calcolo razionale, il disegno geometrico che ne sostiene l’azione.
In questo sforzo per cogliere il sostrato culturale della destra contemporanea che oggi pare inarrestabile c’è un punto che merita maggiore attenzione: la concezione della sovranità, la questione del potere.
Facciamo un piccolo passo indietro per mettere le cose in prospettiva.
Nel 2008 Giulio Tremonti, esponente di punta della Destra berlusconiana, dava alle stampe un agile volumetto, La paura e la speranza, che suscitò qualche interesse, ma non adeguata preoccupazione.
Scriveva già allora Tremonti: “Nel tempo che stiamo vivendo (…) la questione politica fondamentale è infatti la questione del potere”.
A detta dell’ex ministro, il potere dei governi era troppo debole. “Il problema non è infatti più quello di tutelare la democrazia limitando e controllando il potere dei governi. All’opposto. Il problema della democrazia è quello di consolidare e incrementare il potere dei governi, alla ricerca di un nuovo equilibrio politico, tra intensità della domanda che viene dai popoli e capacità di soddisfarla da parte dei governi”.
Sono parole apparentemente innocenti, in realtà esplosive. Comportano un ribaltamento della tradizione liberal-democratica nella quale si è inscritta la storia del mondo occidentale dal ’45 fino ad oggi.
Ciò che stiamo osservando adesso, è l’attuazione sistematica del disegno che quasi un ventennio fa Tremonti esprimeva in quei termini.
Uno dei caratteri della destra contemporanea è infatti proprio il modo di concepire la sovranità. E’ l’idea che il voto non sia soltanto un metodo per determinare una maggioranza e un governo, ma una sorta di ordalia, un viatico per esprimere ed incarnare la sovranità tutta intera. Gli altri poteri – giudiziario, legislativo, mediatico – devono cedere il passo a quello del governo. Il potere esecutivo è l’unico ad essere investito dalla missione sacra di dare rappresentanza al popolo e chiunque si frapponga si trasforma istantaneamente in nemico della nazione.
In una democrazia di stampo liberale la sovranità è divisa tra i diversi poteri che la incarnano attraverso modalità diverse. La Destra contemporanea vuole superare proprio questa concezione della sovranità, teorizzando – e praticando – che il potere esecutivo, espressione del lavacro elettorale, esaurisce la sovranità nel suo insieme.
In questa guerra culturale, che bisognerà pur riconoscere per provare a combatterla, vanno in soffitta il principio dei pesi e contrappesi, del check and balance. Va in soffitta l’Esprit des lois di Montesquieu con il principio illuminista della separazione dei poteri.
Più in generale si tenta di archiviare il concetto stesso di limite del potere.
Di tutto questo Donald Trump rappresenta la forma più vistosa, plateale. Egli per primo ha richiamato la nozione di “dittatore” per esprimere il modo in cui intende esercitare il suo secondo mandato. E l’azione dei primi giorni, con quella frenetica successione di decreti esecutivi, firmati in favore di telecamera, ne ha fornito adeguata rappresentazione.
Ma anche la più modesta cronaca politica di casa nostra è largamente impregnata del tema dello scontro tra i poteri. Ovviamente il conflitto con la magistratura è il più chiassoso: rappresenta un evergreen nella storia italiana dai tempi di Mani pulite. E dentro questo scontro ricorrente, la magistratura italiana – o meglio, alcuni suoi settori – non è certo innocente. Ma al di là della contingenza, e del conflitto specifico, quella che si combatte non è soltanto una guerra per tenere Santanché al governo o Salvini fuori dal carcere. C’è molto di più: emerge l’idea di fondo che non bisogna disturbare il manovratore, che il potere esecutivo, diretta emanazione del popolo, deve poter agire indisturbato. E’ la traduzione costituzionale della cultura populista per cui chi rappresenta il popolo riceve un mandato inarginabile.
A ben vedere, è la negazione di quanto dice mirabilmente l’articolo 1 della nostra Costituzione secondo il quale certamente la sovranità appartiene al popolo, che tuttavia “la esercita nelle forme e nei limiti della nostra Costituzione”.
La nozione di “limite” era infatti ben presente nelle menti dei nostri Padri Costituenti, che avevano visto con i propri occhi i guasti tragici prodotti dalla sua assenza.
Il presidio del principio costituzionale della divisione dei poteri è dunque cruciale per arginare la marea montante della destra internazionale. Impedire che lo Spirito delle leggi sia travolto dallo spirito dei tempi è più essenziale di quanto si possa pensare.
Di fronte allo strepito prodotto dalle pirotecniche iniziative sovraniste può sembrare poco, ma non lo è.
Massimo Rostagno
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