Il nuovo mondo e le vecchie lenti

Osservo con curiosità e debbo confessare con un po’ di tormento, il dispiegarsi del dibattito sulle questioni internazionali ruotanti attorno alla ‘Guerra in Ucraina’. Vi è una profonda divisione su questo tema fra le forze di sinistra, sia di sinistra democratica, sia di sinistra marxista e antagonista. Sostanzialmente ci si separa fra chi sostiene la Russia, come esponente di un mondo alternativo all’Occidente, quasi vi fosse ancora come ai tempi dell’URSS un internazionalismo ispirato ai valori del movimento operaio, e chi vede nella Russia di Putin l’incarnazione di un nuovo imperialismo zarista che minaccia anche il modello di civiltà democratica che abbiamo raggiunto.

Ritengo entrambe le posizioni, che contengono alcuni elementi rispondenti alla realtà certamente, tuttavia sbagliate nelle premesse di fondo. La mia tesi è che queste sinistre combattano una battaglia sul terreno ideologico – politico osservando la realtà internazionale di oggi con le lenti prodotte e usate correttamente negli anni della ‘Guerra Fredda’. Allora vi erano due ‘campi’ ben distinti; il campo liberale e delle democrazie, come si diceva ai tempi, erede dell’imperialismo occidentale, dall’altro il sistema dei paesi agglomeratisi attorno all’URSS e ai valori del movimento operaio internazionale. I conflitti di oggi derivano solo in parte dalle evoluzioni di quel mondo; sono eredità del ‘Lungo 1917’, nel senso del travagliato e non lineare movimento dei paesi ex colonie verso la loro emancipazione ed emersione; e tuttavia è scomparso l’internazionalismo proletario come soggetto unitario di azione mondiale da almeno sessant’anni. Il mondo occidentale sogna ancora revanscismi neocoloniali, ma è sempre più diviso al suo interno, con la potenza egemone in crisi, e il fascino del suo modello di benessere e di democrazia liberale è posto in discussione primariamente qui alle nostre latitudini. A me non pare, dunque, che vi sia un campo che difende la democrazia occidentale e i suoi valori dalla così detta ‘democratura’, e un ampio settore internazionale che compattamente combatte contro l’imperialismo e per il riscatto delle masse oppresse, come un tempo si diceva. Il quadro è più mosso, e per le forze socialiste e democratiche laiche è più difficile parteggiare per un campo convintamente. Anzi non vi è campo internazionale che abbia le caratteristiche di difesa dei valori delle democrazie sociali e parlamentari. Il mondo Occidentale, stretto attorno al primato USA, sogna un rilancio neocoloniale dei paesi europei e anglosassoni per respingere l’avanzata progressiva dei BRICS. Ma solo retoricamente difende i valori della democrazia e della libertà, che sono legati indissolubilmente al regime parlamentare e ai partiti di massa, come già sosteneva Kelsen nel lontano 1924; e i regimi parlamentari sono malconci ovunque in Occidente. L’emergere delle vecchie nazioni colonizzate è evidente ormai a tutti, e questo nuovo fenomeno scardina i vecchi equilibri che probabilmente non torneranno più, guerre o non guerre. Ma gli emergenti che si uniscono nell’alleanza dei BRICS, non rispondono ai vecchi canoni dell’internazionalismo operaio, come sopra notavo, ma rispondono, i loro regimi, ad aspirazioni nazionaliste e imperialiste che riesumano antichi schemi e credenze culturali e di autorità più o meno religiose. Si pensi a riguardo alla Russia che riabilita il passato zarista, alla teocrazia iraniana, all’India di Modi, solo per citare i casi più eclatanti. Per la Cina vale un discorso in parte diverso, e tuttavia, non si può certo sostenere che il PCC vuole rilanciare una nuova internazionale comunista.

Se ciò che vado scrivendo è vero, ovverosia che le lenti con le quali guardavamo il mondo durante la Guerra fredda non sono più adeguate a cogliere i conflitti imperialistici di oggi, allora quali sono i nostri compiti, come si usava un tempo dire fra compagni a sinistra.

La risposta non è facile, e qui provo solo ad abbozzarla brevemente. Mi limiterei a due brevi titoli che proverò succintamente a definire. La cultura delle sinistre socialiste e democratiche debbono accettare di dialogare con un mondo che supera il vecchio colonialismo europeo e americano, rifiutando ogni rigurgito del vecchio suprematismo ‘dell’uomo bianco sulle altre razze’. In oltre le forze del socialismo debbono difendere strenuamente le democrazie antifasciste e sociali nate nel secondo dopoguerra, come battaglie che non possono distinguere il momento della battaglia per la democrazia da quella per il socialismo perché esse sono parte di un medesimo momento, di un processo dialettico e indivisibile. La battaglia per la democrazia è anche la battaglia per i lavoratori, e le questioni del lavoro e della giustizia sociale si tengono insieme. Da queste due premesse sopra esposte, ne deriva che a livello di politica internazionale la sinistra deve spendersi perché si affermi in Europa un nuovo accordo simile a quello stipulato ad Helsinki nel 1975’, e perché si addivenga in conseguenza ad una nuova stagione di dialogo nel mondo, e di legalità nelle relazioni fra stati. Ripristinare il diritto internazionale, sopprimere il dominio ormai fattivo delle armi e della ‘legge del più forte’, significa difendere nel mondo le ragioni dei più deboli, che dovrebbe essere sempre un obiettivo delle sinistre socialiste e democratiche. In una sola frase, per dirla con Pertini, ‘si svuotino gli arsenali, si riempano i granai’.

Sono, quelli indicati, solo criteri generali, ma spero utili, per orientarci nei conflitti di oggi come in quelli del futuro, e che credo che debbano animare non solo uno sforzo per una battaglia per la pace nel mondo, ma che possano essere le ragioni di fondo della costruzione di una vera politica di pacificazione mondiale.

Alessandria 01-06-2025                                                 Filippo Orlando

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