Crisi Iran-Israele: il confederalismo democratico potrebbe aiutare

Abbiamo avuto l’autorizzazione a scrivere una breve introduzione al pezzo del nostro caro amico giornalista Murat Cinar e ben volentieri segnaliamo alcuni passaggi. Il primo riguarda la critica al Khomeinismo e a ciò che ha provocato a livello interno ed internazionale. Visione chiusa della realtà sociale, imposizione di caratteri distintivi o comportamenti superati da tempo ben stigmatizzate da alcune delle forze di opposizione interne all’Iran. Pur mantenendo, e qui entra la seconda segnalazione, l’approccio caro ad Ocalan e ben riportato dal KCK, un’ “organizzazione ombrello” che si impegna per diffondere la dottrina del Confederalismo Democratico in tutto il Medio Oriente. Tutto da leggere  (n.d.r.)

Titolo orginale: *La posizione di Ankara e dei Curdi sulla nuova guerra fra Iran e Israele

Nelle prime ore del 13 giugno Israele colpisce l’Iran e in poche ore Teheran risponde. In questa nuova guerra, quale posizione prende la Turchia e quali i movimenti di liberazione del popolo curdo?

Secondo il governo israeliano, gli obiettivi colpiti sono le strutture legate alla produzione di armi nucleari. Infatti, tra gli obiettivi israeliani ci sono stati anche dei personaggi chiave in quest’ottica. Sia nell’attacco di Tel Aviv sia in quello dell’Iran, ovviamente, ci sono anche dei civili.

In mezzo a questa nuova guerra, che era prevedibile da anni, Ankara si è espressa con due registri importanti. Il Ministro degli Esteri Hakan Fidan ha dichiarato che il governo è pronto per qualsiasi scenario. Il Presidente della Repubblica di Turchia, invece, ha chiamato il Presidente statunitense Trump chiedendo di tornare alle trattative con l’Iran, che erano in atto da qualche mese e che, dopo l’ultima escalation, sono state sospese. Inoltre, in entrambi i casi si condannano con parole forti le scelte del governo israeliano e si prende di mira in particolare il Primo Ministro Benjamin Netanyahu. Infine, da Ankara finora non è arrivato un vero messaggio di sostegno al regime iraniano ma soltanto di condoglianze.

Contemporaneamente sono stati diffusi tre comunicati di stampa molto importanti.

Il primo arriva dal Partito della Vita Libera del Kurdistan, PJAK, una formazione combattente, definita clandestina in Iran e sorella del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, il PKK, ossia l’organizzazione armata con la quale lo Stato turco è in trattativa da nove mesi.

In questo primo comunicato, abbastanza lungo, la situazione attuale di guerra si definisce come la conseguenza delle scelte del regime iraniano. L’attacco di Israele contro l’Iran viene definito come un “ultimatum finale del sistema di potere globale al regime iraniano”. Nel suo comunicato, il PJAK sostiene che questa nuova guerra durerà fino a quando il regime iraniano non cadrà. Per definire questa nuova fase viene utilizzata la seguente espressione: il progetto del “Nuovo Medio Oriente”.

Inoltre, l’organizzazione sostiene che, a livello popolare, in Iran ci sia una notevole gioia nel vedere l’eventuale caduta del regime, perché erano anni che Teheran portava avanti una politica di repressione e sofferenza.

Infine, il Partito della Vita Libera del Kurdistan ricorda alla popolazione iraniana che non è obbligata a fare una scelta tra la guerra e l’accettazione della dittatura, e la invita a costruire una lotta democratica. Per questa, secondo il PJAK, è necessario “costruire unità e collaborazione tra le forze democratiche, i movimenti per la libertà, le donne, i combattenti nazionali e i movimenti identitari”. L’organizzazione dichiara la propria disponibilità a costruire un Iran democratico, difendere tutti i popoli dell’Iran in questa lotta e porre le basi di un nuovo sistema di autogoverno e di prevenzione dell’infiltrazione di mercenari statali tra la popolazione.

A questo comunicato si aggiunge quello del Partito Democratico del Kurdistan iraniano, PDKI. Si tratta di un’altra realtà armata in conflitto con lo Stato iraniano da circa cinquant’anni.

Il comunicato inizia con una dichiarazione molto netta: “La situazione attuale in Iran è il risultato delle politiche della Repubblica Islamica”. L’organizzazione definisce il regime iraniano come “terrorista” e lo accusa di non essere disposto né a rispettare gli accordi internazionali, né a riconoscere la sovranità degli altri Stati o la vita dei cittadini iraniani. Anche in questa lettera si accusa il regime iraniano di essere responsabile di tutte le crisi attuali e della catastrofica situazione del Paese.

Anche nel comunicato del PDKI si fa riferimento al fatto che il popolo iraniano abbia provato per numerose volte a sollevarsi e ribellarsi contro l’atrocità del regime, e si ricorda il movimento “Jin, Jiyan, Azadî” (Donna, Vita, Libertà), che era entrato nella quotidianità anche dei Paesi europei negli anni precedenti.

Il messaggio del Partito Democratico del Kurdistan iraniano si conclude con un’analisi molto chiara: “Finché questo regime rimarrà al potere, la situazione non potrà che peggiorare”.

Infine, il terzo messaggio è arrivato dall’Unione delle Comunità del Kurdistan, KCK, un’organizzazione ombrello che si impegna per diffondere la dottrina del Confederalismo Democratico in tutto il Medio Oriente, seguendo gli insegnamenti di Abdullah Öcalan, il leader storico del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, PKK.

Il KCK definisce l’ultima escalation come l’aggravamento di ciò che è iniziato il 7 ottobre 2023, con l’attacco di Hamas a Israele. Dunque, secondo il KCK, il meccanismo delle guerre condotte dagli Stati o contro gli Stati ormai dimostra di non risolvere nessun problema. “Essa provoca soltanto dolore, perdita e devastazione, approfondisce i problemi e li rende insolubili. Vediamo e condanniamo questa guerra, che provoca distruzione, danni e perdite per i popoli, come qualcosa di sbagliato. Tutti dovrebbero ormai comprendere che la guerra non è una soluzione e le politiche belliche devono essere abbandonate”, sono alcuni passaggi della parte iniziale del comunicato stampa.

Quindi, l’organizzazione fa riferimento al suo leader, Abdullah Öcalan, e invita tutte le parti a negoziare e trattare. Inoltre, specifica che la risoluzione dei problemi in Medio Oriente può avvenire solo attraverso la modernità democratica e il concetto di nazione democratica. È abbastanza importante e riassuntivo anche il seguente passaggio per comprendere l’approccio dell’organizzazione nei confronti dell’attuale guerra tra Teheran e Tel Aviv: “È una realtà ormai sufficientemente dimostrata che, con la visione dello Stato-nazione omogeneo tipica della modernità capitalista, spinta dalla sete di potere, dominio ed egemonia, non è stato possibile e non sarà possibile costruire una vita in pace in Medio Oriente, che è una terra di popoli, fedi e culture diverse”.

Infine, il KCK fa riferimento all’appello storico lanciato da Öcalan il 27 febbraio in Turchia, ossia l’Appello per la Pace e la Società Democratica. Quindi, l’organizzazione invita i popoli, le donne e tutte le forze socialiste democratiche a comprendere più profondamente l’appello storico di Önder Apo e, rafforzando la propria organizzazione e le proprie alleanze, a sviluppare una soluzione democratica.

In questi tre messaggi si comprende chiaramente che le forze combattenti per la liberazione del popolo curdo hanno scelto la terza via, ossia quella dell’autodifesa e della costruzione di una società democratica. È chiaro che le forze citate prendono una posizione contro il regime iraniano ma non si schierano con le forze esterne che lo stanno colpendo. L’obiettivo rimane quello di creare alleanze, fronti e cooperazioni con l’intento di superare il meccanismo della guerra, dello Stato-nazione, e costruire un’alternativa utile e positiva per tutti i popoli presenti sul territorio.

In quest’ottica, la posizione che si comunica ricorda decisamente la decisione che si era presa in Rojava, nel nord della Siria, quasi sin dall’inizio della guerra per procura. La linea del Confederalismo Democratico si basa su una serie di principi chiari e netti. Quindi, ancora una volta, il movimento per la liberazione del popolo curdo si propone come un’alternativa per tutti i popoli, e ciò che sta accadendo tra Ankara, Rojava e le montagne di Kandil riguarda anche il futuro dell’Iran.

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