Cosa c’è dietro il ReArm europeo…

 

La falsità del Grande Fratello si può osservare nei quattro Ministeri: nel Ministero della Pace si mira alla guerra, in quello dell’Abbondanza si vuole mantenere in povertà i cittadini, in quello della Verità si falsificano e riscrivevono i documenti per mantenere l’integrità del Partito, infine, nel Ministero dell’Amore vengono torturati i cittadini che non sono d’accordo con il Partito.

“1984”.  George Orwell

C’era da aspettarselo ed uno come l’esperto in materie militari come Carlo Pelanda (1), non poteva essere più chiaro. In realtà si tratta solo del coronamento di una operazione che viene da lontano, dai tempi di Iunio Valerio Borghese e della prima Gladio, praticamente da inizio anni Settanta dello scorso secolo. Per chi non se lo ricordasse era quello il periodo di massimo splendore di Francesco Cossiga, prima prima parlamentare, poi ministro degli Interni e, infine, addirittura Presidente della Repubblica. Era il tempo del primo Berlusconi (tessera 1816 della Sezione propaganda 2, la mitica “P2”). Era quella la fase delicata della strategia della tensione e delle stragi di Stato. In quel clima già covava l’ambizione di RiArmare l’Esercito e tutte le Armi ufficiali e non con ingenti finanziamenti e forte sostegno dell’industria d’avanguardia e della Ricerca. Una chimera allora. Una realtà, oggi, che le votazioni favorevoli al ReArm europeo hanno reso possibile. E qui ci ritroviamo un Pelanda ottantenne, esperto di un po’ di tutto ma soprattutto ben inserito in tutti i salottti che contano.

  1. Anno di svolta

Dal 1989 le “cose” hanno ripresa girare per il verso giusto… Messi a tacere gli operai e calmati a dovere i Sindacati si è operata la “grande rivoluzione”: lavorare senza fabbriche e senza operai o, meglio , dare impiego solo dove non ci possono essere scioperi e i salari sono drasticamente bassi. Operazione pienamente riuscita con il trasferimento in Est Europa di molte lavorazioni, senza tralasciare le opportunità offerte da India, pakista, Stati del Sud America, Cina ecc. Una vera rivoluzione che ha portato al ravvicinarsi dei mercati e a creare le basi della globalizzazione odierna. Restava la Costituzione con il suo art. 11, restavano le restrizioni imposte dalla guerra persa duramente dal Fascismo (e conseguente sconfitta italiana), restava un movimento pacifista ancora forte e influente e, soprattutto, restava un substrato evangelico / cattolico che faceva (e fa, in parte, ancora) dell’Italia, un osso duro per chi vuole speculare sul “militare”.

Chiaramente il mondo dell’industria, grazie al suo patrimonio di conoscenze, tecnologie, capacità produttive e manageriali, rappresentava, in allora (seconda decade del nuovo Millennio) un interlocutore naturale nel processo di definizione di attività strategiche per verificare la fattibilità dei requisiti sul piano tecnologico e delle capacità produttive e per discutere la compatibilità di tempi e costi dei programmi di produzione. Perché queste pianificazioni non si sono mai fermate e i centri studi, molti, hanno sempre reso servizi di supporto ai vari Servizi Segreti, sempre operativi.

Oltretutto, al di là dell’operatività delle Forze Armate, anche altre esigenze entravano in campo come, ad esempio, “la valorizzazione e la crescita delle capacità tecnologiche e delle eccellenze produttive nazionali, la salvaguardia dei livelli di occupazione, l’equilibrio della bilancia commerciale e più in generale il ruolo internazionale dell’Italia in materia di politica estera e di sicurezza”. (2 – cit.)  Cominciando perciò ad  allargare il concetto di finanziamento della “Sicurezza Nazionale” riportando sotto questo ombrello un po’ di tutto. Proprio come nel Re Arm europeo di oggi.

Per consentire il più efficace funzionamento del sistema di individuazione di tecnologie critiche e di attività strategiche, un raccordo tra le esigenze delle Forze Armate e del mondo industriale doveva essere tempestivamente essere raggiunto tramite un vero e proprio rapporto di partenariato con l’industria, superando logiche puramente aziendali e di breve periodo “per proiettarsi in una dimensione più settoriale e di lungo periodo”.  Le parole degli opuscoli promozionali erano quelle e, alla luce dei comportamenti dei politici nostrani di quest’anno, si può affermare che siamo di fronte ad una “onda lunga” ben pianificata.

Non a caso le lamentele del 2012 erano dirette all’industria non in grado di esprimere una visione più generale e strategica e meno corrispondente alla mera capacità industriale, ulteriormente frammentata a livello aziendale, in modo da rendere più efficace l’intero sistema.

Veniva richiesto – nei vari convegni a Cernobbio, a Milano, Roma, Bari ecc – .un cambiamento di approccio, oltre che da parte dell’industria, anche da parte del Governo e delle Amministrazioni interessate, compresa la Difesa. Fin da allora l’ampia partecipazione pubblica al settore industriale della difesa aveva consentito allo Stato il controllo di gran parte delle capacità tecnologiche e industriali. Alle imprese storicamente controllate dall’IRI si sono, infatti, aggiunte nel dopoguerra quelle controllate dalla Finanziaria Ernesto Breda e quelle finite poi nel calderone dell’EFIM. Successivamente  si sono aggiunte quelle abbandonate dai 36 privati, a volte perché in condizioni disastrose, a volte per monetizzare le loro partecipazioni.

Cosa è cambiato nel tempo e come si è arrivati al “Re Arm”

Si stima che circa l’80% delle attività industriali nel 2012 fossero controllate/partecipate dallo Stato, ora sono la metà e forse meno. Anche di questo bisogna tener conto quando si esaminano i possibili cambiamenti della struttura industriale italiana perché trovare investitori privati nazionali nel campo della difesa è stato fino ad ora un esercizio quasi impossibile….ma con il reArm e con la prova di forza  del periodo Covid, si è visto che tutto è possibile . Di qui, molto più probabilmente, deriverà la trasformazione di alcune imprese (le maggiori) in public companies (quando le condizioni del mercato finanziario lo consentiranno) o l’acquisizione di altre (quelle che non hanno una dimensione tale da poter affrontare autonomamente la competizione internazionale) da parte di gruppi esteri o la costituzione di joint-ventures a livello settoriale. “E’ questo il processo di ristrutturazione e riorganizzazione dell’industria che, attraverso una nuova normativa, bisognerà cercare di gestire” (2 – cit.).  E questa “nuova normativa” comprende snellimento delle pratiche, semplificazioni burocratiche, meno controlli e più parcellizzazione sul territorio, spesso con meno garanzie di analisi e controllo.

L’obiettivo della nuova normativa italiana non è, quindi, quello di impedire acquisizioni estere, come semplicisticamente hanno sostenuto alcuni giornali, ma di renderlo possibile, limitando le potenziali conseguenze negative per gli interessi nazionali. I rischi maggiori sono legati alla sicurezza degli approvvigionamenti e ai trasferimenti tecnologici. L’operatività delle Forze Armate dipende dal mantenimento in efficienza e dall’aggiornamento dei mezzi in servizio; la loro efficienza, inoltre, dipende anche dalla capacità di padroneggiare l’evoluzione tecnologica. Quindi la manna del “ReArm” scende come cacio sui maccheroni e  molti, in questi giorni, stanno festeggiando.

E poi c’è la questione della “sovranità”. Un livello minimo di sovranità operativa dipende, dalla possibilità di veder soddisfatte alcune esigenze. In altri termini, il mantenimento di determinate capacità tecnologiche e industriali è un fattore indispensabile per mantenere un minimo di capacità militari. A questo si aggiunge una considerazione che riguarda il livello tecnologico dell’industria nazionale: dopo aver via via perso pezzi importanti nel settore delle tecnologie di punta (informatica, comunicazioni, chimica, farmaceutica, nucleare, etc.), l’aerospazio-sicurezza-difesa resta una delle poche aree ancora presidiate. L’inevitabile processo di ristrutturazione che si sta profilando a livello europeo ed internazionale non deve, quindi, trasformarsi nell’ennesimo arretramento italiano. Per questo le capacità, così faticosamente sviluppate (oltretutto con ingenti finanziamenti pubblici), devono essere mantenute, al di là della loro proprietà.

Non esiste in Italia una tradizione in questo campo e non sarà, quindi, facile sviluppare un approccio pragmatico (basato su competenze economiche e industriali), evitando le trappole del formalismo giuridico e della burocratizzazione dei processi decisionali.”   Esattamente quello che sta succedendo da inizio Millennio, con continuità, spregiudicatezza, decisione.     Gli esempi per questa operazione di restyling potranno venire dall’esperienza inglese e americana, ma bisognerà adattarli al nostro sistema giuridico e amministrativo. E ancora, sempre dal documento della Rivista Italiana Militarebisognerà monitorare nel tempo gli impegni sottoscritti dagli investitori, verificando che non restino sulla carta e dimostrando che all’identificazione delle attività strategiche corrisponde un reale interesse al loro mantenimento e sviluppo. Le strutture preposte dovranno, quindi, essere capaci di esercitare un controllo sistematico e prolungato nel tempo.” Il passo finale del sostegno al reArm ne è la conseguenza logica.

Cosa sta cambiando nell’Unione Europea…

A partire dal febbraio 2022 (…non chiedeteci il perché) le nazioni dell’Ue mostrano di non voler cedere sovranità oltre una data soglia ad un’Ue confederale. Questo dato di realtà, piaccia o non piaccia, configura l’architettura politica tendenzialmente duratura dell’Eu come “meno di un’unione, ma più di un’alleanza tra Nazioni”, per esempio con il rafforzamento del “mercato” e della moneta unica europea.

Tuttavia, c’è uno spazio di convenienza per tutte le euronazioni ad aumentare la loro collaborazione sul piano dell’alleanza tra Nazioni per progetti selettivi seguendo il modello ”meno di un’unione, ma stringendo un’alleanza sempre più forte”.

Tale spazio non è generato da una volontà europeista idealistica, ma da molteplici necessità di interesse nazionale. Quelle economiche sono chiare anche se per renderle convergenti ci vorrà tempo. Ma va annotata una nuova priorità per l’interesse comune degli europei: la sicurezza non più fornita gratuitamente dagli Stati Uniti. Quindi la novità è che le Nazioni europee dovranno spendere più per sicurezza militare e sistemica. Ciò stimola (non usiamo “si pensa che stimoli” perché è così, la “trascina” proprio) la ricerca di quali “programmi militari e di sicurezza dovranno e potranno essere europeizzati e di quali resteranno solo nazionali pur integrabili via standard Nato di interoperabilità.” Questa volta le parole sono dell’ex premier Rutte, attuale plenipotenziario Nato. (3)

Di concerto con i molti centri studi legati al comparto militare (uno è stato citato sopra) sono stati individuati due programmi necessariamente europei/integrati per dare loro efficacia, utilità economica e sociale:

  1. a) Eurodome, cioè una cupola di difesa aerea simile allo Iron Dome (cupola di ferro) israeliano, ma con raggio più esteso nello spazio verticale ed orizzontale;
  2. b) Cognitive Power (Potere cognitivo) per fornire a governi ed alla popolazione l’in formazione necessaria per gestire molteplici problemi di sicurezza .

 

Eurodome va immaginato in un orizzonte temporale di 15 anni – con realizzazione completa nel 2040 – ma con passi evolutivi. Il primo è l’organizzazione di (euro)comando militare comune, sperabilmente entro il 2027, che generi la collaborazione Nato con la cupola di difesa aerea e spaziale statunitense e definisca i protocolli operativi nonché il fabbisogno tecnologico. Per una parte di questo sistema gli europei sono più evoluti di quanto si pensi – per esempio sul piano degli antimissile a breve distanza – ma per altra parte hanno bisogno di tecnologia statunitense (e israeliana) per poter ottenere una prima versione di Eurodome di almeno minima efficacia entro poco tempo, con enfasi sulla difesa contro missili a ipervelocità ed elevata manovrabilità, tecnologia russa in diffusione.

Poi Eurodome dovrebbe conquistare sia più capacità di difesa orizzontale oltre i confini dell’Ue, a copertura dello intero Mediterraneo e oltre, sia verticale come controllo dell’orbita e dell’ambiente sottomarino. Un calcolo preliminare ipotizza che in dieci anni possano essere generate più di 500 nuove tecnologie poi trasferibili pur degradate all’industria civile (robotica di presidio ed intervento oltre che per le produzioni industriali, sistemi di osservazione, cibernetica evoluta, sistemi spaziali, ingegneria adattiva, ecc.). In sintesi, un controllo del cielo e dello spazio ad elevata sicurezza che diventerebbe un moltiplicatore della fiducia economica e finanziaria e dell’innovazione industriale. Eurodome è il sistema militare da cui si potrà estrarre più «burro dai cannoni» trasformandone la spesa da costo a rischio improduttivo ad investimento produttivo.

CognitivePower. Anche paneuropeo dovrebbe essere un programma educativo continuo per mettere in grado la popolazione di gestire emergenze: dagli incendi alle alluvioni, dagli attentati terroristici agli attacchi militari, ecc. Tale evoluzione della competenza di massa implica centrali operative che diffondono l’informazione ed i mezzi di gestione. Implica anche la creazione in ogni nazione, con coordinamento europeo, di una riserva di personale specializzato che sul territorio possa guidare organizzazioni locali di contingenza. Sul piano tecnologico ogni cittadino dovrebbe avere uno strumento portatile di comunicazione dove ricevere allerte, indicazioni di cosa fare e dove andare nonché comunicare una situazione di pericolo personale. Bastano i telefonini?

No, sarebbe necessaria una nuova tecnologia Tcd (Strumenti di connettività totale).

I Paesi nordici stanno già sperimentando forme iniziali di sistemi di difesa ad alta partecipazione popolare. Gli studenti? I programmi scolastici dovrebbero essere modificati per l’insegnamento pur basico di capacità di gestione delle emergenze. Tali insegnamenti dovrebbero includere un incremento forte della competenza generale dei discenti, da saper accendere un fuoco a curare un ferito, da organizzare un rifugio per terremotati ad interagire con un robot dotato di sensori biochimici. Eccetera.

E per gli altri sistemi militari? Possono restare nazionali ed integrabili in caso di necessità secondo gli standard Nato. Le quantità? Dipenderanno dalle scelte (geo)politiche nazionali. Per esempio, se l’Italia vuole sostenere il suo export con accordi politici, dovrà mostrare la capacità di fornire sicurezza marittima, sottomarina, spaziale, cyber ed aerea entro diversi formati di alleanza con capacità nazionali forti. Ma contro chi? La risposta  è lapidaria. Tutte le Entità militari, pubbliche e private  non stanno pensando solo ai conflitti in atto, ma prefigurano una linea probabilistica a 15 anni dove vi sarà il problema di sostituzione, per motivi naturali o altro, dei leader dei regimi autoritari.” (3).  In questi la sostituzione delle élite non è regolata da elezioni ma da conflitto tra cordate: potranno emergere leader pacifici come estremi. In conclusione, c’è una varietà di regimi instabili nel mondo che non permette di rendere realistica una pur sperata pace globale duratura e condivisa. Quindi la sicurezza resta una priorità così come il suo collegamento alla produttività economica. 

Quindi del 5% non ci saranno solo investimenti per il comparto “Difesa”…

Nell’1,5% (già messo a disposizione per la “Difesa”)  c’è una parte significativa di investimenti di cui ne beneficeranno (se vogliamo dire così….)  le nostre industrie. La posizione del Commissario europeo Kubilius (5) è conosciuta e può essere così riassunta. “La sinistra in genere e chi si oppone al ReArm in particolare ha posizioni ideologiche che hanno come unico obiettivo di coltivare il proprio orticello elettorale, ma gli uomini di Stato devono guardare al futuro del sistema Paese.”  (5 – cit.) . Quello che ha in mente il Commissario Kubilius è qualcosa di molto legato alla logica da guerra fredda e, d’altra parte, come Lituano ha potuto conoscere direttamente, e dall’interno, caratteristiche e dinamiche del potere vetero socvietico. Forse di li’ viene questo acre livore.

Infatti mette tra i settori strategici del futuro, quello della Difesa. Il refrain è noto. “ Senza sicurezza non c’è benessere”. Quel welfare, modello europeo di cui tanto si parla, è stato possibile – secondo Kubilius, la Von del Leyen e tutti coloro i quali la pensano così,  grazie alla garanzia politico militare della Nato, grazie al fatto che i Paesi europei durante la Guerra Fredda dedicarono una parte significativa del Pil alle spese militari. Questo consentì di creare un perimetro di sicurezza dentro il quale è stato possibile sviluppare ricchezza e stato sociale. Ma nel frattempo è successo qualcosa che fa dire , tramite Agenzia ANSA, a Kubilius che “la Nato, sulla spinta dell’amministrazione Trump ha deciso di aumentare le spese militari anche a causa degli avvenimenti internazionali. C’è il pericolo russo, l’instabilità nel Mediterraneo, nel Medio Oriente”.  E questo ha cambiato le carte in tavola, specie con una popolazione americana sempre più restia a farsi immolare in mezzo mondo per cause dubbie e, soprattutto, con un conteggio di spese sostenute, morti e feriti, che farebbero crollare qualsiasi altro Stato al mondo.

In realtà, ancora una una volta, la questione centrale è quella della supply chain, delle grandi catene di approvvigionamento soggette a instabilità. Per proteggere le fonti di approvvigionamento e le grandi vie di comunicazione, “occorrono strumenti adeguati che sono militari ad alta tecnologia in grado di monitorare e fare da deterrente. Più un Paese ha potere dissuasivo e meno mette a rischio la sua sicurezza e i suoi interessi”.  Parola di Kubilius.

Questa massa di investimenti potrebbe però avvantaggiare altre economie, come quella francese e tedesca , già indirizzate sulla resilienza militare. Il gen. Pelanda su questo è possibilista, tanto da affermare. “Ne beneficerà anche il nostro aerospazio da difesa che in Europa è secondo solo a quello francese. Oggi questo comparto è al vertice strategico dell’industria manifatturiera considerando anche la crisi dell’automotive. “  Insomma, per la seconda o terza volta, dopo il 2017, siamo di fronte a fatti esterni  (“Emergenza Covid”, “Emergenza Riarmo”) che andranno a caratterizzare fortemente l’economia europea dei prossimi venti anni. Di fatto stiamo passando da una economia da “sostegno sanitario emergenziale” ad una a “sostegno militare” sempre “emergenziale”. In pratica il “Covid” e il “ReArm”” sono due “fonti magiche” da cui sgorgano soldi… anche se a prestito e, alla lunga , pesanti per i bilanci.  Tra l’altro Pelanda (6) e i vertici dell’Esercito su questo sono convintissimi:  “Il nostro settore militare è assolutamente competitivo, in grado di competere a livello internazionale, mentre tanti settori della manifattura non lo sono più. Noi saremmo dunque beneficiari di tali investimenti. Si avvantaggeranno, secondo i sostenitori della svolta in grigio verde, non solo colossi quali Leonardo, Fincantieri, MBDA, ELT Group, Avio Aero ma anche tutta la filiera di centinaia piccole e medie imprese, custodi di competenze e tecnologie.

E gli Stati Uniti….

Non solo, si contesta anche il fatto che a beneficiarne saranno soprattutto gli USA… Si ammette che l’industria militare americana sia la più forte e sviluppata, anche grazie a investimenti continui. Evidentemente colossi come Lockheed Martin, Northrop Grumman, Boeing Defence, RTX (nata dalla fusione nel 2020 di United Technologies e Raytheon Company, ndr) avranno incrementi sensibili di bilancio.  Ma ne avranno vantaggi anche l’Europa e l’Italia .

Al proposito viene fatto un esempio: “recentemente l’Italia ha acquistato 25 nuovi caccia Eurofighter il cui valore per il 36% dipende da Leonardo che realizza importanti componenti strutturali e elettronici. Dire che i vantaggi saranno solo per gli americani è un esercizio di retorica. In Italia oggi – secondo il generale pelanda – è in corso un potenziamento della supply chain dello spazio e difesa molto importante e questo dipende dal fatto che ci saranno gli investimenti. “Altrimenti compreremo solo dagli americani”.  

Il direttore della Rivista Italiana Difesa dott. Batacchi ci tiene ad essere ancor più preciso: “Ai colossi americani andranno buona parte delle commesse, vantaggi anche per Iveco, Avio e la nostra filiera delle Pmi”

In questo carnevale planetario permetteteci di dire che stiamo col Papa Leone XIV: ”Che la guerra porti pace è falsa propaganda. I soldi vanno ai mercanti di morte”. Parole sante. Ricordiamo col Pontefice,  che non abbiamo mai visto una guerra fermata da una marcia pacifista (…ma forse ripensando a Gandhi, Martin Luther King e Mandela…qualcosa si è fermato) ma abbiamo difficoltà a ricordarci un riarmo che non sia sfociato in una guerra. D’altra parte,  oggi più di ieri è avvenuto un cambiamento di fondo che lo rende molto più pericoloso: è finita l’idea della difesa, cioè della guerra in caso di attacco o invasione del nemico. Siamo ormai nell’era della guerra preventiva, non è più si vis pacem para bellum, qui siamo al se vuoi la pace scatena la guerra, meglio una guerra oggi che una domani, prevenire è meglio che curare, e distruggere è meglio di preservare. E se vuoi prevenire il nemico di domani, uccidilo oggi che è bambino.

Non solo: non sono stragi, massacri, genocidi, crimini di guerra quelli compiuti nel nome della libertà, della pace e dell’Occidente. Ma operazioni di difesa, di polizia, di prevenzione liberale. Fossero pure contro inermi popolazioni affamate, bambini, donne, vecchi.

E ancora, si può essere considerati belligeranti in virtù della proprietà transitiva: se c’è nel tuo Paese un’organizzazione terroristica che magari ti usa come scudo e ti tiene in ostaggio; o se tu mantieni, anche solo per paura o per salvarti la pelle, un vero o presunto rapporto con loro, sei per la proprietà transitiva ritenuto e trattato come un nemico, anzi un materiale ostile da eliminare. Infine non dimentichiamo che la politica da tempo conta poco rispetto agli affari e al business globale: e se l’industria del riarmo ha bisogno di venderci nuove armi, saranno pochi e deboli gli argini politici per fermarla. Se comandano gli affari sul bene comune, il profitto non guarda in faccia nessuno e non si ferma davanti a niente. Capovolgendo una canzone di Venditti : Roma o non Roma noi arriveremo a bomba .

Il fantasma della P.E.S.C.

Ora, scendiamo nello specifico: avrebbe forse avuto un senso se l’Europa avesse deciso, da tempo, di far nascere una forza armata europea, confluendo le singole forze nazionali in un solo organismo di difesa o quantomeno affiancando gli eserciti nazionali con una forza europea.Avremmo razionalizzato le spese militari, avremmo evi-tato la dispersione in ventisette riarmi nazionali, avremmoottimizzato le risorse belliche, evitando inutili doppio- ni, armi superate o inadeguate?. No, qui siamo alla con-fluenza di due diktat folli: il riarmo europeo proclamato pochi mesi fa contro Putin eun po’ contro Trump, e il riarmo obbligato, imposto dalla Nato e dallo stesso Trump, e a latere dai mercanti d’armi , per accollare sui singoli inquilini del condominio europeo le spese di vigilanza e protezione finora in carico alla Nato made in Usa. Il riarmo nasce da una folle prevenzione: la convinzione, già lanciata ai tempi di Biden , che la Russia di Putin voglia invadere l’Europa e attaccare i Paesi limitrofi (come del resto si dice dell’Iran che teme la guerra perché capisce che sarebbe la sua fine). Dunque, approntiamoci a far la guerra per sventarla, anzi affrettiamoci a far precipitare gli eventi per farla abortire. I riarmi, così concepiti favoriscono le guerre, anziché dissuaderle. Ma certamente servono solo ai venditori di armi, per esempio americani. E noi dovremmo svenarci per questa follia preventiva che non serve affatto a migliorare le condizioni di pace e gli equilibri internazionali ?

A chi invece, dopo aver per una vita deprecato il militarismo nazionalista e fascista, invoca ora la passione eroica e guerriera della destra al servizio del riarmo, vorremmo ricordare una cesura storica di cui fu testimone il più grande scrittore di guerra che fu anche eroe di guerra insignito della più alta onorificenza militare.

Ernst Jünger aveva elogiato la guerra, era profondamente pervaso di etica eroica, guerriera e sovrumanista. Ma dopo aver partecipato con ardore, impeto e assalto, alla prima guerra mondiale, se ne ritirò disgustato, perché vide nella guerra quello che la tecnologia avrebbe prodotto poi nella vita: la sostituzione dell’umano e dunque delle virtù militari, con la macchina, con i materiali bellici, con le disponibilità economiche e gli arsenali di distruzione. Da un verso la leva universale, la coscrizione obbligatoria, dall’ altro la prevalenza dei mezzi sugli uomini, avevano tolto per il guerriero Jünger ogni nobiltà alla guerra.

Junger e la pace universale

E il Guerriero mutò in lui nel Milite del Lavoro, l’Operaio in fabbrica, nel Ribelle, che passa al bosco. Jünger arrivò a sognare perfino uno Stato planetario e una Pace universale. Lui, che era stato il più grande scrittore di guerra nel primo conflitto mondiale, con le sue tempeste d’acciaio… Già, don Chisciotte era considerato pazzo quando combatteva i mulini a vento prendendoli per mostri, ma oggi non potrebbe dar corso nemmeno alla sua romantica follia, perché sarebbe circondato da pale eoliche e il suo cavallo, Ronzinante, non potrebbe avanzare tra pannelli solari al posto degli ulivi…

.1.  Carlo Pelanda. – Nato a Tolmezzo (UD) nel 1951.Laureato in Scienze Politiche, Università di Trieste. Specializzato in: (a) Scenari globali; (b) Politica economica; (c) Studi strategici; (d) Teoria dei sistemi . Professore straordinario di Economia, Facoltà di Economia, Università Guglielmo Marconi, Roma. Co-Cordinatore del Modulo “Geopolitica economica e finanziaria”, Dottorato di ricerca in Scienze politiche e giuridiche, Università Guglielmo Marconi, Roma. Docente presso il Corso di perfezionamento in Intelligence e Sicurezza Nazionale, Università di Firenze

.2. Pietro Batacchi, direttore della Rivista Italiana Difesa [Imagoeconomica] https://www.iai.it/sites/default/files/cemiss_2012.pdf  I data di chiusura della ricerca: dicembre 2012 LE ATTIVITÀ STRATEGICHE CHIAVE: ASPETTI METODOLOGICI, GIURIDICI, INDUSTRIALI E MILITARI      Centro militare studi Strategici.  Anno 2012.  

.3. Mark Rutte. https://www.eunews.it/2025/06/09/nato-rutte-aumento-difese-aeree-400/

.4.https://documenti.camera.it/leg19/resoconti/assemblea/html/sed0388/stenografico.htm

.5. ANSA – Kubilius  –  https://www.pressreader.com/italy/la-verita-790G/20250629/281694030771129?srsltid=AfmBOorG0ZIgd1bK4LAVvjNOrdiI6iabuMDCMw2cQPP4d8nfk7UfAQ2G

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