Lo squalo: cinquant’anni

Ricordo benissimo quell’estate del 1975.

Si era fatto un gran parlare di questo film che stava suscitando terrore negli Stati Uniti: era un’attesa spasmodica, e, per quanto ricordo, solo per Psycho, quindici anni prima, c’era stato un tam tam così forte.

Lo squalo era il terzo film di Steven Spielberg, allora il più promettente giovane regista americano, e le sue prime prove Duel (1972) e Sugarland Express (1973) erano state estremamente convincenti e lo sono tutt’ora.

Lo squalo si potrebbe definire una grande avventura di mare, trattata con una passione ed una tecnica stupefacente che rivela le doti del giovane Spielberg, allora neppure trentenne.

Siamo su un’isola sabbiosa dell’Atlantico, non troppo lontani da New York e dagli altri stati del New England: nel villaggio vacanziero dell’isola, molto tipico e sempre in attesa di turisti da spennare, irrompe all’improvviso “la Cosa” e all’inizio non si sa bene cosa sia, tanto rapida e violenta è la morte per chi gli è vicino, sul mare.

La Cosa è appunto un grande squalo bianco, il carcharodon carcharias di Linneo, il più grande squalo che si trova in molti mari, ma non necessariamente in una spiaggia del New England.

Un terzetto di uomini deve affrontare il mostro, lo sceriffo locale, che odia il mare, un oceanologo, Hooper pronto all’avventura, ed infine un vecchio cacciatore di squali, il formidabile Quint.

I tre uomini non si amano, anzi mal si sopportano, ma sono loro a dover cacciare ed uccidere.

Il nome della barca sarà, simbolicamente, Orca, l’unico mammifero in grado di assalire e uccidere gli squali, forse per la sua grande intelligenza .

Le scene della partenza della barca ricordano certi film di avventura, come il bellissimo Moby Dick, di venti prima, diretto da John Huston, con un memorabile ed inavvicinabile Gregory Peck, una volta tanto lontano dai suoi personaggi liberal pieni di empatia.

La caccia inizia con connotazioni quasi tragi-comiche, poiché nessuno sa come in realtà si presenta il nemico.

Saranno i barilotti, arpionati nella viva carne del pesce, a determinarne la forza, la potenza, e dare un carattere al nemico.

Ognuno dei tre vede lo squalo a modo suo, per lo sceriffo di terra è un mostro invincibile, per l’oceanologo è un soggetto da studiare con attenzione, per Quint è il nemico da catturare, da abbattere.

Ma ognuno dei tre sbaglia, poiché il pesce supera ogni definizione, non accetta il suo ruolo di vittima e si mette a sua volta a seguire la barca, con le tre prede a bordo, come nel Moby Dick di John Huston, in cui la balena diventava un messaggero di morte e distruggeva la nave, così qui il pesce misterioso divide gli uomini, li fa lottare l’un contro l’altro fino a che l’Orca rimane ferma, bloccata in mezzo all’oceano, alla mercè del nemico.

Certo, l’uomo è in grado di elaborare piani di difesa ed offesa, ma nessuno di questi va in porto ed alla fine vedremo il povero sceriffo, arroccato sull’albero della barca, mirare alla bocca enorme dello squalo incombente in cui il destino ha voluto inserire una bombola di gas.

È facile capire che nello scontro finale fra l’uomo con la carabina ed il pesce con la sua enorme forza avrà la meglio chi riuscirà a sfruttare le circostanze, ed il “povero” squalo esploderà in mille pezzi.

È un apologo sulla vita e sulla morte, su come un piccolo villaggio tranquillo ed abitudinario possa essere flagellato da qualcosa di inaspettato e violento, su come insomma nella vita ci si può aspettare letteralmente di tutto.

Steven Spielberg ci aveva abituato già alcuni anni prima all’imprevisto e precisamente al gigantesco camion assassino, che impone le sue regole del Duello ad un povero David Mann, rappresentante di commercio.

Attenzione: ricordiamo che Mann in tedesco significa “uomo”, quindi in teoria ogni uomo potrebbe essere costretto ad un impari duello.

In questi primi anni ‘70, il cinema di Spielberg, pur così fortemente legato al suolo americano, ha delle connotazioni universali, futuristiche, ma di un futuro fosco e misterioso, con degli oggetti-soggetti quali il camion di Duel e lo squalo del film, che ti portano letteralmente in una realtà incubica, che vuole smuovere le certezze e dire allo spettatore che la realtà di ogni giorno è una illusione, una pura utopia da cui dovremo risvegliarci amaramente.

Ma, attenzione, Lo squalo è anche un grande film sull’avventura, sul fatto che una parte considerevole dello sforzo umano è rivolta verso l’ignoto, il che significa uscire fuori dagli schemi del quotidiano, del ripetersi diuturno di atti e gesti in favore di un viaggio verso lande sconosciute, che gli italiani del passato conobbero in modo ispirato, come Marco Polo nel suo lunghissimo viaggio verso la Cina, o come Cristoforo Colombo alla ricerca di Cipango, e anche questa breve ma memorabile ronda dei tre uomini alla caccia del mostro fa parte di questa ricerca.

Per alzare il livello culturale, potrei parlare dell’Ulisse dantesco, che è veramente l’emblema dell’Uomo che non si fa fermare da nulla, se non dal proprio destino.

Ma, pragmaticamente, Bruce, lo squalo, è anche qualcosa di estremamente visibile e toccabile negli studi di Burbank in California.

Quindi questo film parla di un mito-non mito, di qualcosa che potrebbe accadere in ogni momento e che stravolge le categorie del pensiero umano.

Giorgio Penzo

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