“Se socialdemocrazia è una malaparola”

Il professore Massimo L. Salvadori in una agile (pag. 88) “Saggine” dell’editore Donzelli: “Se socialdemocrazia è una malaparola“, analizza le sei Caporetto della sinistra italiana: nel 1919-1922, ad opera del fascismo; nell’aprile 1948, la sconfitta che inaugurò il lungo regno della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati; nel 1994, la vittoria di Berlusconi e l’inizio del suo ventennio al potere; nel 2013 e nel 2018, per l’affermarsi del Movimento 5 Stelle e della Lega; nel 2022 con la clamorosa sconfitta che ha consegnato le redini del potere ad una Destra di matrice neofascista. La riflessione di Salvadori parte da un interrogativo: una sinistra intesa a perseguire i valori, i principi e gli obiettivi della democrazia, della rappresentanza politica e della difesa sociale del mondo del lavoro in Italia ha ancora storicamente senso e un possibile avvenire? E se si su quali basi? Nella lunga storia di occasioni mancate il professore emerito dell’Università di Torino ravvisa una costante: la “separazione” della Sinistra dalla maggioranza degli italiani che, nei momenti di crisi dei sistemi politici, ne hanno rigettato gli orientamenti, schierandosi a favore di correnti politiche e sociali, di volta in volta, di centro, populistiche o addirittura di destra. Arrivando all’oggi l’analisi si tinge di qualche speranza, qualora il PD di Elly Schlein, come ha dimostrato alle elezioni europee del 2024, si riveli capace di superare la distanza del partito dai ceti soprattutto popolari che non si sentono più da esso rappresentati. Ma, ammonisce Salvadori, le ricette dei supposti “salvatori” della Sinistra, che periodicamente si sono presentati al suo capezzale, non hanno funzionato perchè il partito dei “democratici e progressisti” ha rinunciato ad essere ciò che una Sinistra moderna e credibile non può non essere: socialdemocratica. Di conseguenza il PD solo assumendo la fisionomia di una forza autenticamente socialdemocratica potrà superare la condizione di separatezza, di estraneità dal corpo sociale e scongiurare nuove Caporetto”.

Renzo Penna

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