Lo spaccone (1961)

Ho visto recentemente, e per l’ennesima volta, un film cult della mia giovinezza.

Lo spaccone, un film che decretò l’immediato successo come attore di Paul Newman, che seguiva i miti degli anni ‘50, Marlon Brando e James Dean.

Il protagonista è Eddy, un grande specialista del biliardo, che vuole salire le classifiche nel mondo di questo gioco, che si effettua in grandissime sale piene di fumo e di whisky.

Eddy ha un mito, il vecchio, panciuto ed apparentemente indisturbabile Minnesota Fats (Jackie Gleason), che è il re rispettato da tutti.

Ma Eddy non ha soldi e deve appoggiarsi a qualcuno che lo finanzi, e questo qualcuno ha il volto scolpito nella pietra di Bert (George C. Scott), il futuro Patton.

Bert è un vecchio lupo di periferia e intravede nel giovane Eddy un campione, che gli permetterà di farsi un sacco di soldi, sulla base del rapporto: 25% per il giocatore, 75% per il manager.

Di città in città, di bar in bar, i due si amano e si odiano, mentre proseguono in una ininterrotta serie di vittorie.

Ma prima di questo sogno dorato, Eddy deve affrontare il re, il vecchio Minnesota Fats, che inizia con lui una sfida in cui sembra che il giovane possa battere il vecchio leone.

Ma non è solo questione di riflessi pronti, di giovinezza e di occhio acuto, bisogna sapersi mantenere saldi di fronte alla difficoltà, agli improvvisi cali.

Il biliardo è una metafora della vita.

E, allora, anche il rampante Eddy, dopo una serie strepitosa di vittorie, cadrà vittima di una overdose di emozioni e il vecchio re vincerà ancora una volta.

Di questa vicenda molto americana di vittorie, sconfitte e dollari, interviene un’attrice molto famosa allora, Piper Laurie, nel ruolo di Sarah, che nel film, pur essendo menomata, zoppa, si innamora e viene amata da Eddy.

Ma il biliardo si porta via tutto, nulla resiste al fascino del gioco e dei dollari.

Il giovane sbandato, così sicuro di sé sul tavolo verde, non lo è nella vita reale e il suo manager, ostentatamente, gli ruberà soldi, successo ed infine la ragazza.

Il cinema dell’epoca prevede drammi intensi, alla Tennessee Williams.

Ma quando Sarah muore, il giovane prende coscienza del suo fallimento nella vita, comprende che il suo successo nel biliardo rappresenta un completo insuccesso nel rapporto con gli altri.

Nell’ultima scena, il giovane Eddy riappare di fronte al grande campione e al suo vecchio manager-aguzzino; stavolta nessuno può fermarlo, batterà il vecchio Minnesota Fats e non pagherà il suo manager, poiché nella sala fumosa ombreggia la figura di Sarah.

È un film classico degli anni ’60, in cui si descrivono giovani pieni di grinta, ma sfortunati, come accade sovente nel terzetto James Dean, Marlon Brando, Paul Newman.

Ma ne Lo spaccone c’è qualcosa in più.

Un senso di desolazione, una ripresa di autocoscienza, un sentire chiaramente la differenza fra il bene e il male, che non è solo manichea, ma molto moderna, molto attuale.

Il rabbioso giocatore di biliardo, pronto a tutto per arrivare in alto, si accorge a un certo punto che ci sono dei limiti invalicabili, come quello di giocare con la vita della ragazza zoppa, che è l’unica ad amarlo veramente, l’unica a rispettarlo.

Per gli altri, per il manager è solo un paio di mani abili al gioco, abili a raccattare denaro, ma sono mani che possono essere spezzate se la mente non esegue gli ordini.

Un amaro spaccato della vita americana all’epoca dei Kennedy, una triste ballata alla Johnny Cash, l’inizio del mito di Paul Newman, come attore un po’ oltre le righe, ma intenso e drammatico; una Piper Laurie desolata nella sua impossibilità di essere normale, sconsolata ed amorevole, pronta al grande ultimo gesto; un George C. Scott miserabile nella sua rappresentazione di un uomo che è il concentrato del successo americano, gelido, attaccato al dollaro senza pietà; ed infine Jackie Gleason in una parte tutta sua, quella del giocatore professionista, che non si lascia scuotere dagli eventi intorno a sé.

Un piccolo gioiello nella filmografia di Robert Rossen, un regista forse dimenticato, ma che in quegli anni seppe cogliere i bagliori di un’America divisa fra passato e futuro, piena di rancori e di speranze, in una parola l’America dei Kennedy, prima dei colpi fatali di Dallas.

Giganteggia comunque un Paul Newman, che gioca amaramente sulla sua gioventù, ma che diviene maturo quando la vita lo pone di fronte alla tragedia.

Uno spaccone, precisamente.

Giorgio Penzo

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*