“Tutti quelli che in questo paese dicono di essere garantisti pensano soltanto a garantire i diritti dei delinquenti. Ne sentissi uno che pensa di garantire i diritti delle persone perbene!”
Ieri sera nell’intervista su LA 7, Piercamillo Davigo, Presidente della II Sezione Penale della Corte di Cassazione , ha argomentato considerazioni analoghe a quelle che da qualche tempo esprimo su FB. La microcriminalità non è un fatto statistico, che genera conforto quando cala, o quando si fa la gara insensata per stabilire se i delinquenti siano in maggioranza italiani o stranieri. La cosiddetta microcriminalità non è affatto micro per chi subisce un furto, uno scippo, una truffa. Davigo ha sottolineato la gravità di questi reati, che violano la vita privata delle persone, soprattutto se anziane: non si riprenderanno più dallo shock e dall’umiliazione subiti, accelerando la propria senescenza. Per esempio, dice Davigo, i reati di truffa finiscono sempre in prescrizione (la quale cancella il reato, lasciando immacolato il delinquente), mentre all’estero sono puniti con rigore. Se non è possibile prevenirli, il cittadino vorrebbe che i colpevoli fossero almeno puniti. Invece non accade, la scampano quasi sempre. La concessione delle attenuanti, la mancata applicazione delle aggravanti (anche quando il soggetto si è ripetuto decine di volte), la derubricazione dei reati, il loro spezzettamento, la reiterazione ignorata, l’abuso del patteggiamento la cui concessione è facoltà del giudice, il differimento della pena: se inferiore ai 4 anni il delinquente non va in carcere e la sconta in ludiche (talvolta pure retribuite) attività alternative per redimersi ecc.
Davigo sostiene che “In Italia violare la legge conviene” (titolo del suo ultimo libro). Mi sembra che i magistrati, soffocati dalla montagna dei processi e dal sovraffollamento delle carceri, frustrati dalla permanenza e dal dimezzamento dei tempi della prescrizione (la legge Cirielli ha favorito Berlusconi e ha annullato decine di migliaia di processi, anche per fatti gravi), abbiano collocato tali reati in una routine notturna, in cui “tutte le vacche sono nere”, e non si accendono le luci.
Dal 1994 Berlusconi e i suoi sodali, ultimo Salvini, hanno fatto dell’ordine pubblico un’arma per le proprie campagne elettorali, accusando gli avversari di buonismo e perdonismo, sino alla connivenza. Ricorderò un solo episodio. Nell’aprile 2008 Alemanno, candidato sindaco di Roma, vinse il ballottaggio con Rutelli, ottenendo il 53,65 % dei voti, pur essendosi trovato indietro al primo turno. Al suo successo contribuì l’insistenza sull’ordine pubblico: pochi giorni prima alla Storta (periferia nord della città) una ragazza fu stuprata e accoltellata. Cittadini indignati e spaventati, intervistati a iosa dalle TV della Finivest e non solo, che si chiudevano in casa, sbarrando la porta ecc. Nei cinque anni del mandato Alemanno, per sua e nostra sfortuna, Roma fu attraversata da un notevole incremento di omicidi, rapine, estorsioni. L’ennesima prova che non basta la condanna verbale reiterata e urlata a fermare la criminalità.
Da sempre sostengo che le elezioni politiche vengono vinte in Italia da chi possiede/gestisce le TV e da chi ottiene il consueto plebiscito in Sicilia (non si spiegherebbe altrimenti il relativo successo di una candidata “inesistente” come la Meloni, sovraesposta in tutte le TV, anche LA 7, e non si comprende perché). Le due vittorie di Prodi, risicate, risultarono di 10 punti inferiori alle previsioni.
La mancata considerazione del tema della sicurezza e dell’ordine pubblico, anzi l’averlo addirittura snobbato, fu un grave errore di coloro oggi sono (o fingono di essere, come spiegò in modo convincente Corrado Stajano nel suo diario di senatore: “Promemoria” Garzanti, 1997) all’opposizione, da non ripetere.
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