Una bocca che disegna parole come l’omino Bialetti ( i meno giovani se lo ricordano, quello della cafettera coi baffi).
Una bocca larga, di consonanti e vocali, una bocca sghemba, da bambino e da vecchio, una bocca che forma una voce inconfondibile, indimenticabile.
Charles Aznavour, dagli occhi di carbone acceso, piccolo grande uomo, ma non da film americano.
Anche lui se ne è andato in un cielo sempre più affollato di uomini buoni, chè sulla terra non si sa più se ce ne sono.
Lui al quale, come a Ella, era da dio donato un “tronco pieno di canto “. E canzoni nelle quali ancora la capacità di sognare ci faceva umani; una Venezia di canali dove l’amore può anche non tornare; una lei che ti sta tradendo mentre ti è seduta accanto, ma già dentro lo sguardo di un altro; un uomo che si dichiara amante di un uomo, senza tanto buttartelo in faccia, ma gentilmente dicendotelo in canto.
Senza dubbio l’infanzia dolorosa di Aznavour ha segnato la sua vita e la sua voce, inseparabili, donandoci un’innocenza mai perduta, ma vissuta dentro il bello e il brutto della vita, dentro gli accidenti che solo i mortali conoscono e che, forse, andandosene con le ali , Charles ci canterà ancora, in sogno.
L’aspetto così, in un bosco, leggero come uno gnomo o appollaiato su un albero, come un piccolo passero.
Solo chi ha saputo trasformare il dolore in amore per la Vita, solo chi ha saputo trasformare i molti no in tanti sì, ha queste capacità carismatiche e si sa che il canto è una di queste.
A’ tout jamais, caro Charles.
Patrizia
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