Considerazioni a margine del vertice argentino

Il G20 di Buenos Aires si è concluso senza polemiche con un comunicato congiunto nel quale si esprimeva la volontà dei più importanti leader mondiali di superare le complicate divisioni su alcuni importanti temi come il commercio multilaterale definito “non all’altezza” degli “obiettivi di crescita e di occupazione” delle democrazie occidentali. Sono spariti i riferimenti alla” lotta al protezionismo” ed ha sancito un pieno successo della politica trumpiana rispetto allo scorso anno, quando il Presidente Usa era venuto a trovarsi in una condizione di isolamento totale, una svolta a U che oggi permette a Trump di imporsi come punto di riferimento per i nuovi equilibri nell’ambito del commercio internazionale e della riforma del WTO, l’Organizzazione del Commercio Mondiale, bloccata da mesi per il mancato consenso americano alla nomina dei giudici incaricati ad vagliare le controversie tra gli stati aderenti.

Trump ha inoltre rinviato la resa dei conti con la Cina di 90 giorni, un cessate il fuoco finalizzato alla ricerca di accordi commerciali tra le due grandi potenze, trascorsi i quali deciderà se innalzare i dazi dal 10% al 25% su 250 miliardi di dollari per prodotti cinesi importati in America. E’ noto che gli Usa registrano un disavanzo commerciale di ben 570 miliardi di dollari nei confronti della Cina e Xi Jinping ha promesso di accrescere le quote di acquisto dei prodotti agricoli americani e permettere a Trump di presentarsi agli elettori con qualche tangibile successo.  In ogni modo da quel che si è visto ultimamente, Trump punta a modificare sostanzialmente, nel medio termine, alcuni aspetti del commercio mondiale che deve continuare ad essere libero ma anche giusto cioè garantito da regole uguali per tutte le economie che intrattengono rapporti reciproci di import e export. Il punto su cui da sempre insiste il Presidente Usa è che la Cina bara e pratica politiche di dumping manovrando da anni il tasso di cambio a suo piacimento. Finora il Tesoro americano, per evitare crisi internazionali, si è astenuto dall’iscrivere la Cina tra i paesi manipolatori dei cambi e di adottare quelle misure, perfettamente legali, atte a difendere le imprese americane. Attualmente però la pressione sul governo cinese è aumentata nella speranza di raggiungere, con i negoziati bilaterali, il migliore compromesso, come la riforma del dispositivo di formazione dei cambi e la tutela della proprietà intellettuale. Ma per capire quali siano le strategie a cui punti il Presidente americano basta leggersi le clausole dell’USMCA, l’accordo commerciale tra Usa , Messico, e Canada, che manda in soffitta il NAFTA del 1994, che i tre paesi hanno siglato proprio a Buenos Aires nel corso del G20, una vittoria del Presidente Usa che lo ha definito “modello che cambia il panorama del commercio per sempre”. Intanto non rappresenta più un contratto a tre ma il frutto di due accordi bilaterali, questo perché Trump ritiene che gli accordi bilaterali, nei quali può far valere tutto il suo peso negoziale, siano più vantaggiosi per lui. La questione più interessante sono i criteri rivoluzionari su cui si fonda l’USMCA rispetto a quelli vigenti, ad esempio riguardo all’industria automobilistica.  Al fine di non venire colpite dai dazi, le auto prodotte in ciascuno dei tre stati devono essere costruite per il 75% in loco. Di queste almeno il 40-45% devono essere prodotte da imprese i cui lavoratori ricevano compenso orario non inferiore ai 16 dollari a partire dal 2023. Manifattura in loco e clausola sociale sono gli aspetti clamorosi dell’accordo. Questo significa che, alla sua entrata in vigore, non sarà più possibile, spacciare un’auto, quasi totalmente costruita in Cina e completata in uno dei tre stati aderenti all’accordo, per prodotta in loco. Inoltre viene proibito il ribasso dei salari, punto importante che individua la visione di Trump sul commercio equo, quello esistente tra stati in condizioni socio-economico parificabili come avviene tra le democrazie occidentali. Tra queste non si può mettere certo la Cina che non può certo garantire salari analoghi considerato che Pil pro capite cinese vale ora 9000 dollari annui contro i 60000 degli Usa e degli altri paesi occidentali.

Stando a queste premesse, la riscrittura delle regole del commercio mondiale restringerebbe gli scambi commerciali Usa limitati alla sfera delle economie ricche cioè tra Stati Uniti, Europa, Giappone, Australia e pochi altri. La clausola sociale costituisce una stategia da tempo invocata dall’America per rendere meno insidiosa la concorrenza della manodopera straniera, ma con il governo Trump si sale ad un livello superiore, in quanto viene resa alternativa all’imposizione di dazi. Tra gli analisti però si fa strada un’altra ipotesi che avrebbe una valenza strategica, la questione dei dazi farebbe parte di un piano rivolto al medio-lungo termine, non solo funzionale alla riduzione del deficit commerciale Usa, ma con l’obiettivo di scollegare la Cina dalla globalizzazione e isolarla, colpendone le ambizioni ad elevarsi a concorrente della superpotenza americana.

A Buenos Aires, rappresentata dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk, era presente anche l’Europa che non ha trovato partner per un giro di tango. Ha avanzato le proposte europee circa la riforma del WTO, ed ha insistito nel ribadire la formula della collaborazione multilaterale a sostegno dei mercati aperti.  Ma è noto che Trump, incontrastato protagonista del G20, da tempo ha ripudiato il multilateralismo come metodo di risoluzione dei problemi. La Ue attraversa un periodo di crisi difficili al suo interno e paventa di essere coinvolta nella guerra dei dazi in quanto potenza esportatrice. Trump ha minacciato dazi sulle auto europee, un grosso guaio soprattutto per Berlino che ha già registrato un vistoso calo di produzione per l’omesso puntuale adeguamento sulle norme circa le emanazioni di gas inquinanti. I dazi sui veicoli importati dall’Europa verrebbero elevati dal 2,5% al 25% con un’aspettativa di calo delle esportazioni del 2% e relativa riduzione del tasso di crescita dall’1,6% all’1,2%. Ricordiamo però che la Ue impone sull’import di auto Usa dazi del 10%. Purtroppo i leader della Ue sanno che l’Europa non potrà fare a meno dell’America.  Anche se detestano Trump, è importante preservare l’alleanza atlantica in tempi difficili come questi, per evitare situazioni fosche come le attuali nell’Ucraina, inoltre gli attacchi di Trump all’Opec fanno comodo anche a noi visto che una vampata dell’inflazione è l’ultima delle cose di cui l’Europa in questo momento ha bisogno.

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