Di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno e lei tracimava di buone intenzioni.
Si ripeteva quanto fosse meschino volere, volere per sé, volere per conquistare spazi, perdendo la nozione dell’altro. Pretendere d’essere assecondata.
Doveva distrarre l’attenzione dai propri desideri, sospettosamente contaminati d’orgoglio ferito, per capire il malessere d’un pensiero persistente che la distoglieva da tutto il resto. Non restava che rivedersi nella storia per capire cosa ci fosse di sbagliato. Di una cosa era certa: senza di lui quel luogo così amato l’avrebbe resa triste.
Si era compiaciuta della sua galanteria che vivevano entrambi come momento di leggerezza. Lui la stimava per la sensibilità nell’interpretare le fragilità umane e per lo spirito pungente col quale sdrammatizzava le proprie. Tutto questo nel corso di pennellate di parole. Lei d’una sincerità disarmante e lui, così avaro di sé, continuava a incuriosirla. Erano così diversi che potevano solo incontrarsi. Per lei era stato a lungo un esercizio intellettuale, originato da un interesse contenuto nei limiti della civetteria femminile.
Aveva imparato a individuarne le turbolenze nell’espressione accigliata, nei gesti nervosi e nella falcata delle lunghe gambe. Ecco, sembra il gatto dagli stivali, pensava mentre lo vedeva aggirarsi qua e là se qualcosa andava storto . Ma tutto passava come un temporale estivo. Bastava stargli alla larga quel poco per vederlo di nuovo illuminarsi riconciliato col mondo. L’amore per il mare nel quale si perdeva, per la solitudine che riempiva di fantasie, per la musica che lo commuoveva, per l’arte di cui era appassionato, lo identificavano come amante della Bellezza, incluso il modo d’interpretare le donne per le atmosfere che potevano coinvolgerlo emotivamente..
Lei, che di fantasia ne aveva anche troppa, s’era spinta ad immaginare come sarebbe stato tra loro se si fossero ritrovati nell’abbraccio troppe volte evocato. Ma in quel caso sarebbe stata lei a tenerlo in grembo, come la Madre Terra. Lui, abbandonato a Lei, per lasciarla libera nel desiderio, ascoltando il suo corpo reagire alle carezze di baci e di mani di donna, prima di essere Uomo. O stare vicini senza sfiorarsi, a percepire la propria eccitazione per una melodia struggente che li avrebbe stremati di piacere. E poi farlo sognare vestita di seta, perché potesse ritrarla solo col tatto e guardarlo senza perdere un attimo per non dimenticarlo mai più, perché la perfezione si può raggiungere una sola volta. E non desiderare oltre per non guastare tutto. Ma non era successo.
Lui non l’aveva presa per mano nel momento in cui lei era pronta a seguirlo, né le aveva dedicato lo spazio di condivisione più volte promesso come parole al vento, ma era stata lei ad aver desiderato oltre e fuori tempo, guastando tutto.
Qualche mese prima, alla fine dell’estate, erano entrati in una sintonia particolare. Si cercavano, si sfioravano mentre lei resisteva ai propri turbamenti. Lui capiva e si faceva più vicino, ma era uno scambio alla pari, una complicità silenziosa e quieta. Così com’era tra loro avrebbero continuato negli anni, gli diceva credendoci davvero quando lui si faceva più insistente.
Mi sono riempita di rughe, in tutto questo tempo … non vede?
Sei bellissima. E così sussurrando gliene toglieva un po’ ogni volta.
Gli aveva accennato qualcosa del suo passato dominato dall’insoddisfazione e da un’irrequietezza trattenuta, non di aver preso il treno un mattino d’estate, a mani nude, lasciando tutti e tutto nella generale riprovazione, per approdare ad una riva dove scoprire un’esplosione tardiva, sofferta e finita dolorosamente. Poi più nulla, e il muro che aveva alzato le pareva una solida difesa, ma è quando non ti senti in pericolo che lo sei di più. Si chiedeva però se anche a lui fosse successo d’anteporre il sentimento alla ragione almeno una volta.
Avevano iniziato a scambiarsi messaggi nei periodi di lontananza. Lui le inviava immagini e brevi filmati che adorava perché raccontavano molto più di quante parole potesse dirgli nel poco spazio disponibile, anche se gli rispondeva con pensieri curiosi e brevi riflessioni. Ogni volta che il segnale di posta l’avvertiva era un battito di piacere, e quando l’aveva chiamata amore aveva abbassato le ciglia come una fanciulla antica e ancora riletto per convincersi che fosse proprio per lei quella parola.
Fu così che al centro del suo muro di protezione un mattone era stato rimosso e altri ne sarebbero seguiti. E quando aveva trovato la sua fotografia aveva pensato che lui desiderasse essere presente ogni volta che lei ne avesse nostalgia. Era un tepore dolce nel quale rifugiarsi senza chiedere di più. Forse il momento più armonico di questa relazione particolare. Fino a quando, in una sera di novembre, seduti l’uno di fronte all’altra, l’aveva accarezzata d’una carezza impudica, mentre lei parlava e parlava per riempire di vento l’atmosfera che gravava su di loro. Non s’era alzata indignata, come di norma avrebbe fatto, perché insieme all’ultimo mattone era crollato l’intero muro, anche se non era del tutto consapevole.
Il principe aveva baciato la principessa addormentata ma quando la principessa tremante d’emozione aveva aperto gli occhi, il principe aveva girato il cavallo da un’altra parte.
La principessa, allora, s’era accorta d’avere cent’anni.
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