Dopo l’Iraq, la Libia e la Siria è l’ora del Venezuela, preso di mira da Trump, con minacce di intervento armato da parte degli USA, non tanto per i brogli elettore di Meduro, ma in quanto paese ricco di petrolio e di Coltan, le famose terre rare da cui si estrae il “tantalio”.
La scoperta dei giacimenti di Coltan venne annunciata al popolo per la prima volta nel 2009, da Hugo Chàvez. Gli esperti del Ministero delle Industrie e delle Miniere ne avevano trovato in abbondanza nell’Arco Minero dell’Orinoco. Una zona montuosa benedette da dio: occupa il 12,2 per cento della superficie dell’intero Paese, attraversa tre Stati (Bolivar, Amazonas e Delta Amacuro) e, secondo alcune stime, tra miniere d’oro, diamanti, bauxite, ferro e rame, ha un potenziale minerario da 2 mila miliardi di dollari. Senza considerare che lì vicino ci sono i vasti giacimenti petroliferi dell’Orinoco, il cui potenziale è talmente vasto da essere tuttora ritenuto non quantificabile (le ultime stime valutano in 300 miliardi di barili di greggio. Prime riserve al mondo, superiori a quelle saudite.)
Ma, mentre il prezzo di oro e petrolio è sempre più instabile, quello del Coltan è in continua crescita.
Il Coltan è una specie di sabbiolina grossolana, leggermente radioattiva. A un primo sguardo potrebbe sembrare del comune terriccio (noto anche come “Terre rare”), invece è una delle materie prime tra le più ambite e ricercate del pianeta. Perché dal Coltan si estrae il “Tantalio” un metallo rarissimo di colore azzurrino che presenta due caratteristiche: è molto resistente ed è un grande conduttore di calore ed elettricità. Per questo è considerato ormai indispensabile nell’industria elettronica: Smartphone, videocamere, pc, giocattoli, apparecchiature sanitarie, televisori, console per videogiochi, razzi, satelliti, missili, robot. Praticamente l’intero panorama del nostro quotidiano contiene “tantalio”.
Prima di tale scoperta in Venezuela, l’80% del Coltan veniva estratto in Congo. Il restante 20% da altre zone del mondo come l’Australia, il Canada e Thailandia.
Dopo varie ricerche ed esplorazioni, nel 2010 venne annunciata all’Assemblea nazionale venezuelana che le riserve di oro blu (così definite per il colore della materia trasformata) sono nell’ordine di 100 miliardi di dollari, stime preliminari per difetto.
Nel 2012 vengono ufficializzati nuovi accordi con i cinesi interessati sia all’acquisto di petrolio, ma soprattutto all’estrazione e trasformazione del Coltan. La Cina, peraltro, era già presente in Venezuela con accordi e contratti commerciali, da oltre un decennio.
Un bilancio approssimativo stilato nel dicembre del 2018, valuta i prestiti cinesi in favore dei venezuelani per 60 miliardi di dollari, finalizzati a promuovere quasi 800 progetti sociali su scala nazionale. Di questi 60 miliardi solo 30 sono stati restituiti tramite forniture di petrolio, oro e non meglio precisati “materiali strategici”. Gli investimenti cinesi in Venezuela continuano ad espandersi con malcelata insofferenza degli Stati Uniti. Ecco perché il 23 gennaio scorso Donald Trump si è affrettato a riconoscere Juan Guaidò, uomo di estrema destra. Presidente della Camere dei deputati, come presidente della Repubblica Venezuelana. I presunti brogli elettorali di Nicolàs Meduro non sono che un pretesto. Tra i punti chiave della vicenda che più hanno fatto irritare Trump sono due tappe recenti. La prima è un accordo – l’ennesimo – firmato a luglio del 2017 nel quale, in cambio di 580 milioni di dollari, la Cina veniva incaricata di “riformare l’attività venezuelana dello sfruttamento delle risorse dell’Arco Minero” con particolare riferimento ai minerali strategici. La seconda è un viaggio fatto nel settembre del 2018 da Meduro a Pechino, durante il quale il presidente chiavista ha ottenuto la promessa di un imminente ulteriore rafforzamento degli accordi sino-venezuelani in corso, nell’ambito del programma di sviluppo Belt and road, noto anche come la Nuova via della seta, ovvero il colossale piano di investimenti all’estero, già definito “ostile” e “contrario agli interessi americani” dall’amministrazione Trump.
Così si spiega l’aggressività scatenata dagli Stati Uniti contro il Venezuela con minacce che non hanno escluso l’uso della forza. L’Unione Europea ha cercato di rimediare riportando lo scontro all’interno di ambiti diplomatici. Il Governo italiano in questo caso si è fatto sentire sostenendo una linea meno subalterna agli USA. Posizione questa seguita anche da parecchi paesi dell’America latina. Il Vaticano a sua volta, sollecitato dal Governo venezuelano, sta cercando una soluzione pacifica che solo la diplomazia può garantire.
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