Brevemente, come si addice ad un “editoriale” cercherò di fornire alcune idee sull’importanza, spesso dimenticata, della giornata del Primo Maggio. “Festa del Lavoro” prima che dei lavoratori, come si evince dalle note storiche successive, occasione di riflessione sul legame tra lavoro e dignità della vita, della persona, delle comunità. Non a caso la Repubblica Italiana trova il suo fondamento nel lavoro, fin dal primo articolo della Costituzione. Una attività a cui bisogna prepararsi in modo adeguato, seguendo le proprie inclinazioni con l’aiuto di un sistema scolastico ed universitario pronto a fornire gli strumenti e a rafforzare le scelte che, poi, caratterizzeranno un’intera vita. E, vi assicuro, le considerazioni precedenti non vogliono avere nulla, ma proprio nulla , di ironico.
“Festa del Lavoro” , quindi, e non festa del diritto alla sopravvivenza alias “cittadinanza”. Una condizione, questa, che può essere accettabile per brevi fasi della vita, ma che non può rappresentare la condizione normale di vita. Perciò diamo il massimo sostegno ad una ricorrenza tutt’altro che formale, su cui – invece – scommettere per un futuro di lavoro e non di semplice “cittadinanza”.
Ricordo ancora un “Primo Maggio” di molti anni fa, esattamente del 1977, in cui mi trovai ad essere parte del “servizio d’ordine” della CGIL di allora, durante la grande manifestazione per il lavoro con comizio finale del segretario generale Luciano Lama. Anche in quella lontana giornata le parole d’ordine erano più lavoro, più opportunità per i giovani, più democrazia con una attenzione particolare alle scorciatoie (assolutamente criminali) offerte dal terrorismo e dal paraterrorismo . Quella manifestazione fu caratterizzata da un brutto confronto “a sinistra” con una contestazione a base di bulloni e monetine che, purtroppo, riguardo’ anche me. Lama, infatti, richiamava alla ragione, non incendiava le folle per sterile populismo, semplicemente diceva come stavano realmente le cose. Nonostante il tentativo di interrompere l’oratore , l’ “ordine” era di “tenere stretto il cordone di sicurezza” e, nonostante le bastonate di qualche teppistello, reggemmo all’urto. Altri tempi e fine dell’ amarcord personale. Ora dobbiamo tenere conto di condizioni nuove e di una mondializzazione profonda che porterà nuovi lavori ma ne farà perdere altri. Un problema evidente per tutti, per i giovani e i meno giovani… E in tema di “lavoro” come in pochi altri ambiti di pari rilevanza è opportuno farsi un’idea anche di cosa afferma la “controparte”. E di qui cominciamo.
Per esempio può essere interessante ricordare ciò che ci suggerisce “Confindustria Giovani” impegnata sulle tematiche dei nuovi lavori in diversi recenti convegni. E’ il presidente Alessio Rossi a ricordarci che, per la prima volta, l’età media dell’assemblea di Montecitorio è sotto i 45 anni. Pertanto, in modo convinto, ci comunica che : ”E’ arrivato il momento di agire insieme. Reti a banda ultralarga, e-skill e PA digitale, cioè quelli che saranno i settori chiave su cui investire. Pronti a fare la nostra parte . Un patto generazionale con la politica per fare l’Italia 4.0. “. Bene; messaggio ricevuto. Ma il “nostro” Alessio va oltre…
A una classe che vede l’età media a Montecitorio di circa 44 anni e con la più giovane assemblea della storia, per la prima volta sotto i 45 anni, con 243 deputati under 40, Rossi chiede se non sia “arrivato il momento di allearci, imprenditori e parlamentari, per costruire insieme il futuro di questo Paese?”. “Sono di più le cose che ci accomunano, rispetto a quelle che ci dividono. Stringiamo un patto generazionale” quasi un vero e proprio appello del presidente dei giovani imprenditori. Arriva anche a proporre un’agenda fatta di sei punti complementari: tre che possono mettere in atto gli imprenditori e tre che – invece – vengono chiesti alla classe politica. Con dichiarazioni nette, accompagnate da profluvi di slides e coffe-break, i Giovani imprenditori di Confindustria si propongono di assumere davanti al Paese e al nuovo governo impegni su lavoro, l’efficienza energetica e la digitalizzazione. Richieste che è bene conoscere, specie in questo giorno non solo celebrativo.
Il primo di questi impegni riguarda il lavoro: riassumibile nello slogan giovani che assumono i giovani. Solidarietà generazionale significa – secondo i nostri confindustriali/young – che i Giovani imprenditori hanno il dovere morale di assumere più giovani. Di fatto under 40 che si impegnano ad assumere under 40 con cuneo fiscale zero. Questo dovrebbe essere il vero reddito di cittadinanza, sempre secondo il “young-pensiero”. E tutto ciò dovrebbe offrire lavoro a chi fornisce lavoro vero.
Il secondo impegno è relativo all’efficienza energetica. Rossi – a nome di tutto il comparto industriale, non solo dei giovani – ha sottolineato (nel caso specifico a Stresa la settimana scorsa) che non c’è un pianeta B: per cui bisogna impegnarsi a fare scelte industriali che salvaguardino le risorse energetiche, idriche, ambientali anche sfruttando le potenzialità della tecnologia. Quelli in efficienza sono investimenti di lungo periodo con un ritorno nei bilanci aziendali e in quelli sociali. E noi, in modo obiettivo, dobbiamo abituarci a queste terminologie e a questi punti di vista “imprenditoriali” perché il futuro del lavoro sarà lì, si strutturerà partendo da quei parametri, anche se quelli che abbiamo difeso ai tempi di Luciano Lama erano diversi per contenuto e prospettive.
Infine, tornando a Confindustria, l’impegno sull’alfalbetizzazione digitale. Per Rossi, digitalizzazione e intelligenza artificiale trasformeranno l’occupazione. Non sanno – in dettaglio – come, ma è certo che investendo in competenze digitali il tessuto produttivo si dovrà adeguare ai cambiamenti. Il “non sanno” è un “non sappiamo “ registrato a Cernobbio nel novembre scorso… può anche far sorridere…ma così stanno le cose.
In particolare Rossi, ripreso poi dal Presidente di Confindustria, ribadisce che da subito sono a disposizione del Ministero dell’Istruzione su Its e Università 4.0 per costruire insieme programmi di studio che siano una assicurazione sul futuro nostro e dei lavoratori. Anche quest’ultima affermazione (registrata a Stresa il martedi’ prima di Pasqua) merita più di una attenzione ma, come tutti sanno, i programmi scolastici sono da anni sotto la pressa più o meno ben tarata dei governi nazionali.
Inoltre, riprendendo di nuovo il filo del discorso “young”, gli altri tre sono impegni che il mondo industriale chiede alla classe politica sono i seguenti: “Costruire un welfare sostenibile. Pubblica amministrazione 4.0 e infrastrutture sostenibili “. Per Rossi, infatti, serve un welfare dedicato alla nostra generazione, quella che è costretta ad appoggiarsi alle garanzie dei genitori è – correttamente – ritenuta “insostenibile”. Un welfare – quindi – che sostenga le donne lavoratrici, che per oltre la metà abbandona il lavoro dopo il primo figlio.
“Allo sforzo che le imprese hanno compiuto in questi due ultimi anni per modernizzare i propri processi produttivi, grazie al Piano-Industria 4.0, deve ora seguire quello della Pubblica Amministrazione per aumentare la competitività di tutto il sistema Paese”. Parole chiare, semplici, dirette, che ci presentano un quadro del mondo del lavoro dinamico e in continua evoluzione, anche nei settori apparentemente meno permeaibili all’innovazione: l’agricoltura, la zootecnia, il mondo dell’artigianato locale e di qualità. Parole, aggiungo io, “vuote” se non inverate da impegni chiari e condivisi. Comunque, continuiamo nell’esame de’le proposte…
Fra queste non manca l’immancabile riferimento alle infrastrutture; “senza infrastrutture non c’è sviluppo: né insostenibile, né sostenibile”. Per questo servono infrastrutture materiali ma anche immateriali, per connettere “le nostre imprese a quelle del mondo e rendere #Smart le città, la mobilità, l’interazione tra le persone”. In ultima analisi, e lo ribadisce più volte Rossi con d’accordo il presidente Boccia, “sono uno strumento di inclusione”. Sostanzialmente questo significa che le persone e le merci, lontane dalle connessioni umane o commerciali, sono fuori dalla società e dal mercato. E come dare loro torto?….Sempre a parole.
Le proposte del Sindacato
E qual è la proposta che, invece, viene dal mondo sindacale? “Mondo” che il Segretario CGIL Landini ha definito “un intermediario sociale di cui non si deve e non si può fare a meno”, rispondendo così al Ministro del Lavoro e delle politiche Sociali (on. Di Maio) e al Presidente Boccia di Confindustria. Con la Festa del Primo Maggio 2019 le organizzazioni sindacali intendono puntare i riflettori sul tema del lavoro, che continua ad essere un’emergenza un po’ ovumque registrando un tasso di disoccupazione comunque alto, sui diritti e la difesa dello stato sociale, insieme alle rivendicazioni nei confronti del Governo, che sono state alla base della grande mobilitazione del 9 febbraio “#FUTUROALLAVORO “.
Altro tema caldo – proposto in questa occasione – è quello legato alla salute e la sicurezza di lavoratrici e lavoratori: un dramma vergognoso e inaccettabile, basti pensare che da inizio 2019 ad oggi in Italia sono oltre 200 le vittime di incidenti mortali sul luogo di lavoro, tre i lavoratori che hanno perso la vita sul nostro territorio alessandrino da inizio anno; ancora troppo alto il numero di infortuni (che coinvolgono molto spesso i più giovan!),senza dimenticare il dramma legato all’uso di #amianto e le vittime di molte altre malattie professionali. Pertanto, andando a rileggere il documento nazionale di promozione della giornata del Primo Maggio, la festa dei lavoratori è l’occasione per riportare l’attenzione sui rider, una delle categorie più maltrattate del mercato. Il segretario confederale Tania Scacchetti ha criticato duramente il governo suquesto argomento specifico: “Inaccettabili sei mesi di silenzio dall’ultimo incontro al ministero del Lavoro. Gli annunci del ministro Di Maio sono sempre meno credibili: vanno subito garantiti diritti e tutele ai rider. Per questo condividiamo le ragioni della mobilitazione annunciata dai lavoratori del food delivery per il Primo Maggio, una protesta che chiede in primis alle imprese di tenere conto delle loro ragioni. Saremo in piazza anche per i loro diritti”.
Secondo la dirigente sindacale, “non è più rinviabile la definizione di regole attraverso le quali migliorare la qualità del lavoro dei ciclofattorini, assicurando loro un salario giusto, il diritto alla malattia, alle ferie, al riposo, le tutele previdenziali e contro gli infortuni, i diritti alla privacy e alla trasparenza nell’uso degli algoritmi”. La via principale per regolare tutti gli aspetti del rapporto di lavoro, conclude Scacchetti, “è quella di rimandare ai ccnl, a partire da quello della logistica”. E qui, trovandosi indirettamente a rispondere a quanto argomentava Rossi dei Giovani Confindustria, “eventuali norme legislative, che amplino le tutele per i lavoratori dell’economia digitale, dovrebbero impedire sfruttamento, lavoro a cottimo e contrastare l’assenza delle più minime tutele, pratiche purtroppo molto diffuse”. Che costituiscono l’altra faccia della medaglia, quella meno presentabile, della “modernizzazione in atto”.
Sta di fatto che, a fronte di uno stravolgimento di tutti i modi di operare, dal più “ piccolo “ al “più grande”, si sta creando una classe lavorativa con nuove sensibilità ed una particolare attenzione ai diritti personali e di categoria, non più “di classe” ma in categorie nuove e tutte da comprendere e, se si vuole avere una positiva funzione sindacale, da organizzare.
Per finire un po’ di storia
Come è noto la Festa del Primo Maggio è tradizionalmente una giornata di festa ma anche di celebrazione delle lotte dei lavoratori, promossa in modo ufficiale dalla II Internazionale per ricordare il massacro di Haymarket Square (*) e per sottolineare l’importanza dell’importante risultato della “lotta per le otto ore di lavoro giornaliere” . Una festività “nuova” inserita piano piano da quasi tutti i Paesi del mondo a partire dai primi decenni del XX secolo. In effetti si tratta del compimento di un lungo percorso iniziato intorno agli anni Ottanta del 1800 quando, per primi, i sindacati dei lavoratori americani chiesero alle società proprietarie delle più grandi fabbriche statunitensi di arrivare ad una settimana lavorativa non superiore alle 48 ore, con giornate lavorative di massimo otto ore. Chiave di questa richiesta era l’utilizzo della prima giornata del mese di maggio, detta “moving day” per ricordare l’importanza di un salario giusto in condizioni di lavoro tollerabili. Il termine “moving day” derivava dal fatto che a fine aprile si iniziavano gli inventari dei guadagni e delle spese delle aziende, che duravano poco più di un giorno in cui i lavoratori non erano tenuti ad essere presenti in fabbrica. A volte coincideva con la fine dei contratti a termine con conseguente mobilità lavorativa. Come si può notare, una data importante per il lavoratore.
E proprio in uno di questi giorni – esattamente il 1* maggio 1886 – avviene qualcosa di impensabile e inatteso. L’astensione dal lavoro si prolunga per diversi giorni, si susseguono, occupazioni, richieste di incontri e assemblee e, alla fine, avviene il fatto di sangue più devastante. Quando ormai, il 4 di maggio non restano che poche centinaia di manifestanti concentrati nel quadrato di Haymarket Square, viene fatta esplodere una bomba rudimentale proprio davanti ai policemen . Si registra immediatamnte un morto fra le forze di polizia, che assommeranno a sette complessivi a fine manifestazione. Per questo scontro evidentemente di proporzioni rilevanti vengono condannati a morte cinque sindacalisti, con pena eseguita per quattro di loro l’11 novembre 1887 (il cosiddetto “black Friday”), nonostante l’esiguità delle prove dirette a loro carico. Il quinto, louis Lingg, verrà trovato suicida in cella prima dell’esecuzione. Altri tre attivisti subiscono invece una condanna all’ergastolo che sconteranno solo in parte. Infatti nel 1893 fu chiarito nel corso di una revisione processuale condotta da un giudice dell’Illinois, che fu il comandante della polizia di Chicago a piazzare la bomba e ad alimentare la tensione successiva.
Su una stele del cimitero di Waldheim, nei pressi di Chicago, sono trascritte le ultime parole di uno dei condannati: “Verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più potente dei vostri strilli di oggi”.
Nel 1889, sarà proprio nel corso dei lavori della “II Internazionale” di Parigi che verrà ufficializzata la data del Primo Maggio come Festa del Lavoro (Fete du Travail, in ogininale) in ricordo dei fatti di Chicago di qualche anno prima e per dare più forza alla richiesta delle otto ore massime di lavoro giornaliero.
La prima grande serie di manifestazioni in qualche modo collegate, soprattutto in Europa e America, avverrà nel giorno del 1* maggio del 1890, senza particolari problemi. Sarà invece quello successivo ad essere ricordato, ancora una volta, per gravi fatti di sangue. A Fourmies nella Francia del Nord, in un momento particolarmente concitato delle proteste, dieci persone vengono uccise dalla polizia in assetto di guerra, tra cui due bambini. Fatto che renderà ancor più “sacrale” e importante l’appuntamento annuale della Festa del Lavoro. Fra i primi a recepire le richieste dei lavoratori saranno proprio Francia e Germania (gli Stati Uniti un anno dopo), quando – nel 1919 – ratificheranno in forma di legge l’impegno per tutti i prorpietari di aziende a non usufruire dell’attività delle maestranze per più di otto ore al giorno, tranne casi eccezionali. Nel 1947, infine, allaPortella della ginestra saranno le bande di Salvatore Giuliano ad agire per conto dei proprietari latifondisti siciliani contro quella che venne definita dall’ “Ora” “teppaglia prezzolata”, giustificandone di fatto l’azione proditoria. Undici persone morirono sul colpo, tra cui alcuni adolescenti e una trentina rimasero feriti, dei circa tremila manifestanti riunitisi nella speranza di “terra e lavoro”. Un eccidio su cui si è sempre sorvolato e che, addirittura, ha permesso a Giuliano di ammantarsi di un’aura di mistero e intoccabilità. Eventi simili si verificarono anche in altri periodi dell’anno, fra cui quello dell’incendio della fabbrica tessile del 1911 a New York che provocò più di cento morti, quasi tutte donne, e che diede origine alla tradizione dell’ 8 marzo (**) come “Festa della Donna”. Il legame tra le due date è forte, soprattutto per il fatto che nel marzo del 1911 i turni di lavoro per le operaie erano anche di 14 ore giornaliere ed una delle principali richieste era proprio la riduzione dell’orario di impegno in linea.
E su turni incredibili, su promesse di lavori con contratti indeterminati, su situazioni precarie al limite dell’impossibile si sta di nuovo lentamente tornando. Per cui ben venga, come evidenziato prima, l’interesse del movimento sindacale per i “riders”, tutt’altro che un fenomeno passeggero. Anzi l’avvisaglia, forse più evidente, di come si sta polverizzando il lavoro, …quando c’è.
…
(*) Si chiamavano August Spies, Albert Parsons, Adolph Fischer, George Engel, Louis Lingg, Michael Schwab, Samuel Fielden e Oscar Neebe. Furono tedeschi e americani, socialisti e anarchici. Ma più di tutto lavoratori e uomini liberi, e la storia li ricorda come “martiri di Chicago”. Era a Haymarket Square, il 4 maggio 1886. Lì, in pieno centro di Chicago, si stava svolgendo un presidio di lavoratori in segno di protesta contro le violenze della polizia, che erano seguite agli scioperi dei giorni precedenti. Quel 4 maggio era sabato; e cadeva nel tempo in cui il sabato era ancora un giorno lavorativo come un altro, in fabbrica si restava anche quattordici ore e il diritto sindacale era parola di rivoluzionari. (… il seguito su http://www.ilcorsaro.info/in-piazza/alle-origini-del-primo-maggio-la-storia-dei-martiri-di-chicago.html
(**) Per la verità l’incendio, ormai è certo, si manifesto’ in tutta la sua forza distruttiva il giorno 25 marzo ma, per una serie di convergenze, si è passati alla giornata dell’ 8 marzo come ufficiale “Giornata della Donna”.
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