Si fa presto a dire «al voto!». Soprattutto se si appartiene a un partito come la Lega, che in sei anni ha quasi decuplicato i suoi consensi, e c’è un ceto politico che preme dalle retrovie amministrative per conquistarsi un posto in parlamento e spalancare le porte del governo. Dal 4% al 36, se non si va ora all’incasso, quando? Aggiungi che per il leghista doc i Cinquestelle sono il fumo negli occhi. I Padani abituati a tirare la carretta da trent’anni inseguendo il miraggio del separatismo, mentre i grillini riempiono le tasche dei terroni più sfaccendati e bloccano un cantiere dietro l’altro. Avranno pure ragione i sondaggisti, quando registrano che i due elettorati hanno molti stereotipi populisti in comune. Ma su questioni come la crisi di governo, non sono gli elettori a decidere. Ma i militanti. E sono loro che oggi premono, fortissimamente premono sul Capitano perché stacchi la spina a Conte.
Però, mettetevi nei panni di Salvini. È lui l’artefice del miracolo, è lui che ha trasformato un partito agonizzante nella falange web che ha sbaragliato perfino il server cybercratico di Casaleggio. E sa bene, benissimo due cose. Due incognite che lo tormentano. La prima è che la fortuna gli si potrebbe rivoltare contro con la stessa rapidità con cui ha soffiato improvvisa nelle sue vele. Senza bisogno di Machiavelli, basta aver visto il repentino tracollo del suo omonimo del Pd per sapere che, al tempo della democrazia del leader, i consensi vanno e vengono alla velocità della Rete. E ci sono molti fattori che potrebbero capovolgere la buona sorte. Chi garantisce che i sondaggi favorevoli diventerebbero voti sonanti? Soprattutto quelli del Sud, se il governo si dovesse spaccare proprio sulla questione autonomia, e cinquestelle e democratici battessero uniti su questo tasto. Quanti disoccupati meridionali voterebbero per la Lega dei ricchi? E poi, come dovrebbe correre Salvini? Da solo, cercando l’en plein ma al tempo stesso rischiando il capitombolo? O alleandosi con Fratelli d’Italia, col pericolo di farsi crescere una serpe in seno? O riesumando l’alleanza di centrodestra, con l’odore di ritorno al passato che inevitabilmente ne verrebbe? Senza contare l’ipotesi peggiore, qualche cadavere russo che potrebbe sbucare all’improvviso da un armadio, in piena campagna elettorale. Che ne sa veramente Salvini di cosa è successo al Metropol? O forse, sa qualcosa di troppo?
La seconda incognita – ancora più importante – è che è rischioso, estremamente rischioso fare i conti del voto senza l’oste. E l’oste delle elezioni è Mattarella. Davvero, se ci fosse la crisi, il Presidente convocherebbe le urne? Qui, al posto del fantasma di Renzi, c’è quello di Berlusconi. Spodestato da un governo tecnico grazie a una congiura eurocratica. E anche oggi l’Europa può svolgere un ruolo di primissimo piano. Se Salvini dovesse rompere e se poi riuscisse a vincere, avrebbe la nuova Commissione ferocemente schierata contro. Sarebbe lui il primo ministro, toccherebbe a lui mettere in pista una finanziaria lacrime e sangue, e quali sconti potrebbe mai chiedere a una presidente dell’Unione che ha cercato fino all’ultimo di far saltare? E di fronte all’aut-aut di Bruxelles, che farebbe? Nuove elezioni un mese dopo averle celebrate? La carta matta dell’uscita dall’euro? Siamo seri. Dietro Salvini c’è la regione più ricca d’Europa. La Lega delle avventure e delle ampolle appartiene a un’altra era politica.
Durissima nei confronti di Salvini, quella stessa Commissione europea potrebbe offrire molti compromessi a un governo di salute pubblica, trasversale alle altre forze politiche, e che avrebbe l’appoggio di tutti i deputati e i senatori che vedono lo scioglimento anticipato delle Camere come la fine della loro carriera. Certo, mettere nello stesso calderone partiti così profondamente diversi può apparire molto improbabile. Ma basterebbe un esecutivo di tregua. Con il Capitano estromesso dal suo ruolo di deus ex machina. Isolato. Senza più la corazza di Ministro plenipotenziario. Asserragliato nel suo fortino social. Quanto durerebbe la bolla web che lo ha trasformato da segretario di un partitino in capo dei sovranisti europei?
Con tante incognite, un professionista politico di lungo corso come Salvini continuerebbe – pur malvolentieri – a litigare mattina e sera, senza rompere. Ma il suo partito spinge in direzione opposta. E non sarebbe la prima volta che a decidere la partita è lo scontro tra vecchie oligarchie e nuovi leader.
(“Il Mattino”, 22 luglio 2019)
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