Pentastellati all’Opposizione e “campagna elettorale” ufficialmente iniziata.

C’è una grave responsabilità nella débacle grillina dell’altroieri 7 agosto 2019 che non può essere sottovalutata: insistere fino alla morte sul  più intransigente “no TAV” ha portato all’ avvitamento il  M5S e, alla lunga , ricompattando “sulla concretezza”  altre forze politiche. Gli ultimi sei mesi sarebbero dovuti essere un banco di prova per Di Maio e co….Mi spiego.  Prima di tutto (*) per dimostrare di saper fare politica cercando di provocare scompiglio nelle file avversarie, poi per sfatare una serie di luoghi comuni sulla presunta competenza dei cinque Stelle. Invece, come già fece Annibale a Capua, si è aspettato non si sa bene che. Con questo approccio, oltre che perdere consenso e credibilità con il proprio elettorato (intorno al 14 per cento, oggi), stanno giustificando  chi ha fatto della loro “incompetenza” un assioma. Una ricerca puntuale e pressante di errori che ha trovato nei tentennamenti di Roma e Torino le prime avvisaglie e che, alla fine, è esplosa nelle Camere maggiori. Il 33 per cento  del peso parlamentare doveva essere speso in altro modo; i M5S sono praticamente assenti nei circuiti importanti della comunicazione, sia cartacea che video, marginali e autoreferenziali nell’uso del web in tutte le sue forme, poco aggiornati sulle nuove prospettive di commercio e industria, legati ad un’Italietta che non esiste più. Perennemente sotto esame senza la capacità – e la forza – di rispondere agli attacchi provenienti dagli “alleati” di Governo e dalle variegate opposizioni. Sono serviti, di fatto,  per giustificare quanto andava sbandierando negli anni Novanta Umberto Bossi, teorico della Lega (e i suoi fratelli) unici protagonisti, sia al centro che a destra e sinistra, dell’agone politico nostrano e, soprattutto, hanno permesso alla Lega di proporre leggi pericolose per la democrazia ed il vivere civile.

Sono stati poco incisivi – e contraddittori – nell’azione di Governo, anche in presenza di personalità competenti (come il Ministro Costa all’Ambiente o lo stesso Conte) perché mancanti di una linea politica di fondo, di un collante che sapesse tenere insieme un partito-non-partito.  D’altra parte il “Movimento” faceva  (e fa ancora) della democrazia diretta (?), la sua forza maggiore. “Facciamo esprimere il popolo”, ma il popolo, (il loro popolo) sulle piattaforme web  si esprime – ormai – in modo limitato ed esiguo. Oltre tutto su “quesiti” spesso malposti o artatamente costruiti per avere già un sì od un no. Il giochino ha funzionato per un po’, ha permesso di “stare a guardare”, di “consumare gli ozii di Capua” ma, alla lunga, si è dimostrato letale.

Ora siamo alla resa dei conti. Il Ministro Toninelli già sei mesi fa avrebbe dovuto far sue le proposte ufficializzate a più riprese (la prima volta nel 2007) da parte di Rete  Ferroviaria Italiana; sarebbe stata una buona operazione tattica e di “movimento”. Non si trattava altro che di  inserire la fine-lavori dei due trafori verso Francia e Liguria in un più ampio piano di riassetto dell’area nord-ovest del Paese, partendo da una Logistica vera, ben distribuita , da un rilancio delle reti locali, da un utilizzo esclusivo a fini di mobilità degli incentivi via via previsti e da un passaggio autentico del traffico da gomma a rotaia. Obiettivi non particolarmente complessi da realizzare, già portati a termine in diverse nazioni confinanti e, sicuramente, intesi da sostenitori e avversari come “logici” e conseguenti ad una responsabile attività di Governo. Solo a titolo esemplificativo, sugli undici milioni messi a disposizione per opere non direttamente collegate alla viabilità ferroviaria riguardanti il c.d. “Terzo valico”, il Movimento non si è mai espresso, manifestando conoscenze approssimative degli atti e degli attori. Allo stesso modo Toninelli non ha contestato le modalità di impiego delle compensazioni sulla “Torino-Lione”, affidandosi ai pareri dell’ANCI e alle Comunità Locali. Senza proporre nulla di veramente innovativo. Con l’aggravante di aver pubblicato un dossier negativo sull’opera, in un quadro complessivo di evidente ostilità e isolamento. Paradossalmente, alla fine il “documento Ponti” si è dimostrato più un impaccio che altro. Proprio perché fare politica non significa fare indagini di polizia per inchiodare – con documenti il più possibile oggettivi – presunti colpevoli. Nel caso specifico tutta una classe politica, quella originaria del CAF della Prima Repubblica, più di recente il Partito Democratico, il mondo dell’Industria della Finanza, gli stessi Sindacati, si sono sentiti sul banco degli imputati, reagendo di conseguenza. “Non avete coinvolto abbastanza gli organismi scientifici competenti”, “avete favorito questo o quello negli appalti”, “l’opera è partita vecchia, costa molta ed è motivo di interesse della malavita” “economicamente e logisticamente non serve” eccetera… Tutti argomenti importanti e in parte condivisibili ma più adatti ad un inchiesta della procura che ad un confronto finalizzato ad una decisione condivisa. Un lavoro accurato sulle reti ferroviarie locali avrebbe creato nuove  alleanze e aperto  spiragli all’ (eventuale) iniziativa pentastellata, allargando il campo di azione e, probabilmente, arrivando a favorire/costruire “grandi opere” ben più significative delle TAV medesime.

Così non è stato. Così come si è operato in modo contraddittorio all’indomani del crollo del ponte Morandi, prima vera prova del nove della possibile capacità di manovra del Movimento in chiave governativa. Inizialmente la voce grossa, impegni su tempi e risarcimenti degni  della ex DDR,  poi – via via – una serie di ritirate strategiche, non ultima quella dell’ “affaire Atlantia”.

Ora non resta che accettare – a ciò che resta della falange pentastellata –  la sfida leghista gestendo al meglio i mesi che ci separano dalle elezioni. Ci potevano essere sicuramente due altre strade per impegnare diversamente, in questo anno e mezzo di lavoro parlamentare, la numerosa compagine pentastellata: o un accordo forte con il PD, cambiando pero’ in fretta il M5S in un partito serio o qualcosa di simile, oppure – semplicemente – restare all’opposizione, anche se partito di maggioranza relativa. Probabilmente ci sarebbe stato un governo di centro-destra-lega e si sarebbe anticipato di una decina di mesi ciò che sta succedendo ora. Oppure, ancora meglio, si sarebbe passati subito a nuove elezioni. Ora il M5S si muove con una “P” in fronte, proprio come coloro che nel Purgatorio dantesco si avviano lentamente a scontare i loro peccati. Un peccato originale difficilmente emendabile che potrebbe trovare in due azioni forti – da fare subito –  un primo lenimento: un congresso degli iscritti (veri) degno di questo nome con confronti e scelte fatte alla luce del sole e, secondo (ma fondamentale),  una maggior caratterizzazione dei pentastellati come partito della “giustizia” e dei “diritti”, secondo quanto richiesto da milioni di elettori soprattutto centro-meridionali e di ceto medio-basso, stufi di quarant’anni di angherie e prese in giro. Sarà questo il taglio della loro “campagna elettorale”? Ne saranno capaci?

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