Chi ha vinto e perso in Siria? E ci sono vincitori e vinti tra gli attori esterni?
L’improvvisa caduta di Bashar al-Assad pone fine a più di 60 anni di governo in Siria da parte del partito Ba’ath – socialisti arabi, sostenitori dell’unità araba, almeno nella loro prima configurazione. L’appartenenza della famiglia Assad agli “Alawiti” (una minoranza nazionale e religiosa in un paese a maggioranza sunnita) quindi il fatto che a governare fosse un “gruppo minoritario” non era un’eccezione. Un tempo nella Repubblica di Assad -padre c’erano persino dirigenti politici di alto rango appartenenti alla mitica etnia curda .
La Siria nel suo insieme è stato (ed è) un paese multinazionale e multireligioso, i cui confini furono stabiliti dopo il crollo dell’Impero Ottomano, cioè cento anni fa. Istituita da inglesi e francesi, con una lunga sudditanza coloniale e post coloniale con Parigi. La sua indipendenza risale a poco meno di 80 anni fa (le truppe francesi si ritirarono nel 1946) e, specie nei primi quarant’anni di vita democratica indipendente, primeggiò nel complesso mondo arabo come elemento di punta sul piano politico, scientifico e tecnico. Ottenendo il massimo rispetto in sede di Conferenza della lega Araba. Ma qualcosa, ad un certo punto, si ruppe e i destini di altre Nazioni, Giordania, Egitto post Nasser, Arabia Saudita, Paesi del Golfo, fu diversa. .
I confini della Siria, come del resto degli Stati della regione, sono arbitrari (spesso caratterizzati da linee “tirate” a tavolino). Le ex province dell’Impero turco erano state stabilite, negli anni Venti del XX secolo, in base agli interessi dell’influenza delle potenze coloniali. È così che si sono formati l’Iraq, il Libano, la Siria e gli stati arabi del Golfo Persico. Allo stesso tempo, è stato creato uno stato ebraico sulle terre della Palestina e da allora la regione si è trasformata in una ferita sanguinosa e non più rimarginata.
Ora questa ferita si è aperta in più punti contemporaneamente, e in un modo mai accaduto in tutto il periodo post-ottomano. Gli sconvolgimenti degli ultimi due decenni sono stati solo la preparazione al massimo di tensione a cui stiamo assistendo. .
Dall’invasione americana del 2003 non c’è stato, ad esempio, un Iraq unificato e la politica occidentale è stata sostanzialmente quella del “divide et impera”. Autonomia per i Curdi nel nord Iraq, tensione costante tra sciiti e sunniti nelle altre zone. Il Libano, per parte sua, è al collasso…. paralizzato di fatto dalla metà degli anni Settanta dello scorso secolo anche se le difficoltà di convivenza e organizzazione dell’economia erano già presenti nel Secondo dopoguerra. L’invasione israeliana (si tratta della quinta presenza della Stella di David in territorio libanese dapo il 1948), sta esacerbando i problemi non limitandosi, evidentemente, allo smantellamento delle basi missilistiche di Hezbollah.
Dopo la caduta di Assad, la Siria, che dal 2011 si trova in uno stato di frammentazione, si trova a un bivio, di fronte a una serie di opzioni. Tutte però devono tendere alla riunificazione e alla pacificazione complessiva del territorio siriano, perché l’alternativa sarebbe la disintegrazione dello Stato.
Bene ha fatto l’Autorità democraticamente eletta del Rojava curdo (in assemblee di villaggio sempre molto partecipate) a mettere al primo posto la necessità di mantenere unito il Paese, facendo del crollo del partito baathista il perno su cui articolare una nuova Siria federata. E tutto questo sullo sfondo della sanguinosa operazione senza precedenti di Israele a Gaza – un genocidio vero e proprio che sta fiaccando i Palestinesi, così come gli abitanti della West Bank, pressati da un apparato poliziesco e militare incredibile. A cui si aggiungono le presenze non autorizzate di coloni in cerca di espansione a tutti i costi. Una crisi che sta trasformando la “Terra promessa” in un enorme carcere a cielo aperto. Netanyahu ha approfittato, in modo del tutto coperto e indisturbato, dei disordini in Siria, occupando una zona cuscinetto a est delle alture di Golan conquistate alla Siria mezzo secolo fa e attaccando installazioni militari e magazzini dell’esercito siriano. Con punte di trecento raid aerei ripetuti per tre notti con il risultato dell’annichilimento delle forze di terra e di mare siriane.
La situazione attuale è molto più pericolosa di qualsiasi situazione durante la Guerra Fredda e forse qualcuno fa finta di dimenticarselo. Allora gli Stati Uniti e l’URSS avevano una seria influenza sui loro alleati nella regione, e questi stessi Stati erano uniti e forti. Ora tutto è andato in pezzi. Tutto quello che sta accadendo è una conseguenza degli errori e dei crimini accumulati da attori esterni negli ultimi cento anni, ma soprattutto dopo l’attacco americano all’Iraq nel 2003. Un Iraq unito è stato l’elemento più importante dell’intero Medio Oriente per decenni. La sua distruzione insensata (e vantaggiosa solo per Israele) ha avviato processi di caos e disintegrazione nella regione. Proprio questa instabilità è diventato uno dei motivi più importanti della “primavera araba”, dell’inizio della guerra civile in Siria e dell’emergere dell’ISIS* (Islamic State of Iraq and Syria o, se si preferisce “Califfato islamico”). Si aveva l’impressione di poter cambiare le cose con qualche manifestazione ma, in realtà la questione era (ed è) molto più complessa. Con interessi economici e strategici locali e mondiali.
Dieci anni fa è stato fermato con difficoltà (proprio con l’aiuto con delle armate russe) il completo collasso della Siria, ma una parte del Paese continuava a sfuggire al controllo di Assad. I Curdi di fatto fortemente autonomi (con una presenza militare americana), le aree filo-turche tollerate nel nord e gli islamisti a Idlib. Ora gli islamisti, che, dopo la crisi dell’ISIS hanno preso le distanze dal “Califfato Islamico”, sono saliti al potere a Damasco. Mohammed al Shaar (già Al Jolani) capo del gruppo Hayat Tahrir al Sham, con passate frequentazioni “dubbie” e un anno di prigionia sotto controllo americano nel centro di detenzione di Al Bukkha, ne è diventato “califfo”.
Per il momento non si sono ancora registrate violente vendette o rese dei conti di rilievo nei confronti delle precedenti articolazioni statali ma si ha l’impressione che la tempesta sia lì lì per scoppiare…. E avrà tre linee di sviluppo. La prima tutta interna alle forze ora vincenti, divise praticamente su tutto, sul peso che dovrà avere la religione, sulle modalità di costruzione e gestione del nuovo Stato e, soprattutto, sulla collocazione internazionale della Nuova Siria. Alla fine di sicuro vincerà qualcuno, ma non sappiamo a cosa andremo incontro . L’epilogo del conflitto in Afghanistan è lì a ricordarcelo. Secondariamente l’obiettivo sarà l’Iran e tutto quanto riconducibile alla religione sciita e agli interessi persiani. Già bloccati – almeno ufficialmente – i passaggi di pasdaran con razzi e quant’altro possibile attraverso la Siria per arrivare in Libano, già rinsaldati, o almeno annunciati, nuovi rapporti nei confronti dell’Occidente, degli USA in particolare e anche di Israele definito dal neo “premier” Al Jolani “non necessariamente un nemico”. Per finire, come terza mossa, complice la Turchia di Erdogan, la riconquista dei territori curdi del nord, delle loro preziose risorse petrolifere (ben trecentrenta pozzi censiti ufficialmente) oltre al forte ridimensionamento – se non azzeramento – dell’autonomia curda, costata migliaia di vittime.
Ma per essere vincitori veri bisogna saper governare…
Ora in Occidente si sentono forti voci di trionfo sul fatto che l’Iran e la Russia hanno perso, e anche che questa “sconfitta storica” dovrebbe diventare un ulteriore incentivo per aumentare il sostegno all’Ucraina nella lotta contro la Russia, che “ha mancato il colpo”. E sarebbe bello se tali dichiarazioni venissero fatte semplicemente come parte di una guerra di propaganda, in realtà il messaggio è passato ed è ripetuto ad ogni occasione, specie nei media occidentali. Non tenendo conto che, azzardiamo, la Russia da questo disimpegno (forse voluto) sta ricavando nuove forze da concentrare nel Donbass. Nonostante tutto ciò, l’influenza dell’Europa e persino degli Stati Uniti su ciò che sta accadendo in Siria non è così grande: ora dipende molto di più dalla Turchia.
Finora Ankara si è mantenuta con un profilo basso, studiando le mosse migliori per ottenere più benefici possibile. La soddisfazione per la caduta di Assad non sarà completa per i Turchi fino a quando verrà sradicata qualsiasi idea di un Kurdistan indipendente. Oltretutto il nuovo governo islamico a Damasco, divenuto apparentemente più forte, rivolgerà la sua attenzione alle regioni settentrionali del paese controllate dai pro -Gruppi turchi creando una alleanza inedita fra gruppi già etichettati come “terroristici” dal Pentagono e ora in continuo contatto per trovare soluzioni di convivenza e spartizione del potere. In linea di principio, non potrebbe esserci un regime filo-turco a Damasco, ma quanto sarà amichevole nei confronti della Turchia dipende dal comportamento di Erdogan e dalla capacità dei nuovi governanti siriani di fermarne le ambizioni espansionistiche.
In effetti, sulla base degli scenari regionali e globali (e non solo delle relazioni bilaterali), la Turchia non è nemmeno interessata a spostare le basi militari russe dalla Siria, così come non è nell’interesse né di Mohammed al Jolani / al Shaar, né del principe saudita né del presidente degli Emirati. La forte presenza della Russia nella regione serve gli interessi delle monarchie del Golfo, che hanno a lungo evitato l’abbraccio definito più volte “mortale” degli Americani (e dell’Occidente in generale). È chiaro che l’Occidente cercherà di giocare la “carta russa” nel gioco con i nuovi governanti della Siria, ad esempio revocando le sanzioni in cambio della rinuncia alle basi, ma qui i leader siriani potrebbero, in risposta, giocare la “carta multivettore”, cioè il voler essere una delle punte avanzate del neo arabismo che trova nelle monarchie del Golfo e nella sunnita Arabia Saudita, i riferimenti più forti.
In questo quadro va inserita l’operazione di “anticipo” prodotta dai governanti attuali del “Rojava” siriano, fascia di più di quattrocento chilometri che copre tutto lo “Stato delle tre stelle” al nord. Vi si parla di riconciliazione possibile, data dalla nuova configurazione politica, di tutela paritaria delle donne, di principi irrinunciabili di libertà di pensiero e movimento, di organizzazione dell’economia in rispetto delle tradizioni locali e della salvaguardia del territorio…Vediamolo in dettaglio.
I 10 punti presentati all’attuale governo siriano per mantenere le aree del Kurdistan ora autonome.
L’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est ha annunciato un’iniziativa di dialogo siriano per costruire la “Nuova Siria”, delineando 10 passi che ha descritto come vitali per il popolo siriano. Ha sottolineato che la cooperazione tra l’Amministrazione autonoma e l’amministrazione politica di Damasco sarebbe nell’interesse di tutti i Siriani. E questa è un’apertura non da poco, tenendo conto dei pregressi attriti fra curdi e membri diretti o indiretti dell’ISIS. In una conferenza stampa speciale tenutasi il 17 XII 2024 davanti alla sua sede nella città di Raqqa, l’Amministrazione autonoma democratica ha presentato l’iniziativa per la costruzione della “Nuova Siria”.
La conferenza stampa, a cui hanno partecipato diversi media, ha visto la lettura dell’iniziativa da parte dei copresidenti del Consiglio esecutivo dell’Amministrazione, Hussein Osman e Avin Sweid, seguita dalle risposte alle domande dei giornalisti. Il titolo era intrigante:*“L’iniziativa di dialogo siriano per costruire la nuova Siria”.*
Con la caduta dell’oppressivo regime baathista, la Siria è entrata in una nuova fase. Per superare con successo questo periodo di transizione, dobbiamo riunirci, unirci e lavorare per tracciare una tabella di marcia comune. Le politiche di esclusione ed emarginazione che hanno devastato la Siria devono finire e tutti gli attori politici devono partecipare alla costruzione della Nuova Siria, anche durante il periodo di transizione. Pertanto, si chiede a tutti i partiti siriani di riconsiderare i loro approcci reciproci e di dare priorità agli interessi nazionali condivisi prima di ogni altra cosa. Sulla base di questo principio, ritengono gli estensori del documento, che la cooperazione tra l’Amministrazione autonoma e l’amministrazione politica di Damasco sarà nell’interesse di tutti i siriani e contribuirà a facilitare un’uscita positiva da questa difficile fase.
Riconoscendo le proprie responsabilità, come Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est, nei confronti del popolo siriano in tutte le sue componenti, e rispondendo ai doveri che ci sono stati affidati dal nostro popolo, si propone questa iniziativa di dialogo intersiriano per costruire la Nuova Siria. Sempre nel documento in oggetto viene apprezzato il ruolo positivo svolto dai Paesi arabi e dai nostri amici (sic…) nel sostenere il popolo siriano in tutte le sue componenti e sottolineiamo la necessità di continuare questo sostegno per costruire la Nuova Siria, che garantisca i diritti di tutti i gruppi e le componenti su basi democratiche. Ciò getterà le basi per l’avvio di un dialogo nazionale siriano inclusivo a cui tutti partecipino.
Su questa base, vengono invitate tutte le forze siriane a lavorare insieme per realizzare i seguenti passi, fondamentali in questa fase:
- Preservare l’unità e la sovranità del territorio siriano e proteggerlo dagli attacchi dello Stato turco e dei suoi mercenari.
- Fermare le operazioni militari in tutti i territori siriani per avviare un dialogo nazionale globale e costruttivo.
- Adottare una posizione di tolleranza e abbandonare i discorsi di odio e le accuse di tradimento tra i siriani. La Siria è un Paese ricco di componenti e questa ricchezza e diversità deve essere preservata su una giusta base democratica.
- Convocare una riunione urgente a Damasco con la partecipazione delle forze politiche siriane per unificare le visioni sulla fase di transizione.
- Garantire l’effettiva partecipazione delle donne al processo politico.
- Confermare che la ricchezza e le risorse economiche devono essere equamente distribuite in tutte le regioni siriane, poiché appartengono a tutto il popolo siriano.
- Garantire il ritorno dei residenti originari e di coloro che sono stati sfollati con la forza nelle loro regioni, preservando il loro patrimonio culturale e ponendo fine alle politiche di cambiamento demografico.
- A seguito degli sviluppi in Siria, riaffermare il nostro impegno a combattere il terrorismo per garantire che l’ISIS non ritorni, attraverso la cooperazione congiunta tra le Forze Democratiche Siriane e le forze della Coalizione Internazionale.
- Porre fine allo stato di occupazione e permettere al popolo siriano di determinare il proprio futuro, sostenendo il principio del buon vicinato.
- Accogliere con favore il ruolo costruttivo dei Paesi arabi, delle Nazioni Unite, delle forze della Coalizione internazionale e di tutte le potenze internazionali attive nella questione siriana. Vengono esortati tutti a svolgere un ruolo positivo ed efficace nel fornire consulenza e sostegno al popolo siriano e nel colmare le lacune tra le sue componenti, assicurando il mantenimento della stabilità e della sicurezza e ponendo fine agli interventi stranieri negli affari siriani”.
Il documento si conclude con una post fazione assai significativa: “La Rivoluzione del Rojava, che ha dato vita a un modello di convivenza pacifica, democrazia diretta e autodeterminazione, è oggi in grave pericolo. L’escalation di violenza provocata dall’offensiva dell’Esercito Nazionale Siriano (SNA), con il supporto della Turchia, minaccia l’esistenza stessa di questo progetto di speranza e libertà. Dopo la presa di Aleppo, lo SNA ha occupato Tal Rifaat e Shebah, costringendo circa 200.000 civili a fuggire dalle loro case.
Nonostante sia stato dichiarato un cessate il fuoco, l’SNA ha impedito l’evacuazione dei civili rimasti a Manbij e sta ammassando forze per attaccare Kobane, la città simbolo della resistenza curda contro l’ISIS. La Turchia, con il suo sostegno a queste forze, sta cercando di distruggere non solo la popolazione curda, ma anche i valori di libertà, giustizia e parità che la Rivoluzione del Rojava ha incarnato. La resistenza curda contro l’ISIS è stata un faro di speranza per la Siria e per il mondo intero. Ora, con l’intensificarsi delle violenze, è essenziale non abbassare la guardia. La fine del regime di Bashar al-Assad potrebbe aprire un nuovo capitolo per la Siria, ma affinché si costruisca una Siria inclusiva e democratica, è fondamentale difendere i guadagni della Rivoluzione del Rojava e il diritto dei suoi popoli a partecipare attivamente alla sua rinascita.” Quasi un modo per riequilibrare le affermazioni e le concessioni precedenti. “Hic manebimus optime” sembra sentir dire…ma questa volta le truppe imperiali sono altre e, senza difficoltà – se lo vorranno – stritoleranno da nord e da sud il corridoio di quattro province mitiche della Siria che sono diventate famose grazie ai sacrifici degli “Shaid” (martiri di ella Resistenza) a Kobane e Sere Kanye.
Per poi finire con un accorato appello: “Per questo si invitano tutti gli amici del popolo curdo e della rivoluzione del Rojava a scendere in strada per difendere il modello di democrazia diretta e coesistenza pacifica che ha preso vita in questa regione, e per denunciare l’aggressione in corso. La loro resistenza è stata la nostra speranza, ora la nostra resistenza è la loro speranza: la rivoluzione del Rojava non può essere distrutta.(*)”
Nubi nere si addensano all’orizzonte, e non solo per i curdi dispersi per lo meno in quattro Stati (Turchia, Siria, Iraq, Iran). Un popolo che deve trovare una sua patria o, comunque, avere riconosciuta una propria ampia autonomia. Se ciò non avverrà a breve avremo di nuovo “nostalgici dell’ancien regime baathista” con conseguente perpetuazione dei fatti di guerra, Davvero una brutta situazione.
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(*) – Difendere il Rojava – per una nuova Siria democratica – Presidio – Venerdì 20 Dicembre – Piazza dell’Indipendenza ore 17:00 – Roma*
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