Alla sinistra servono idee

Si conviene da più parti (giornalisti, intellettuali, leader politici, esponenti autorevoli della cosiddetta società civile ecc.) che l’obiettivo prioritario della sinistra, dei suoi diversi segmenti, deve essere quello di unirsi attorno ad un programma condiviso. Difficile, però, è proprio riuscire a darsi un programma se contestualmente non si hanno anche idee-forza capaci di indicare una grande prospettiva. Le varie occasioni di mobilitazione degli ultimi tempi, la manifestazione unitaria dei sindacati a Roma, quella antirazzista di Milano dell’altro ieri se, da un lato, hanno documentato una confortante ‘esistenza in vita’ della sinistra, dall’altro hanno espresso proprio un bisogno non soddisfatto di orizzonti ampi, di analisi davvero capaci di uscire dal formulario rassicurante delle alchimie politiche, di una messa a fuoco convincente della specificità e dell’anima più profonda di questo Paese.

Purtroppo bisogna ammettere che la sinistra non è in condizione ancora di dare di più avendo una eredità pesante di inadeguatezza culturale accumulata nel corso di lunghi decenni. Ha proprio ragione chi con spirito laico ha affermato che <<non siamo stati mai così deboli, non tanto sul piano del consenso quanto sul piano delle idee>>.

Non bisogna stancarsi allora di ribadire che la vera sconfitta della sinistra non è stata tanto politica quanto culturale e che, pertanto, gli strumenti da attivare sono quelli che solo un retroterra di solide analisi, di approfondimenti cognitivi, di rinvii ad una identità precisa può fornire.  La povertà di proposte e di idee della sinistra per cercare di tirarsi su dopo lo sconquasso del 4 marzo è evidente. Non è stata messa a punto nessuna strategia convincente e si rischia di procedere su una analisi palesemente sbagliata.

Anche gli intellettuali di sinistra più autorevoli e noti danno l’impressione di avere il fiato molto corto. Marco Revelli, per esempio, in una sua recente intervista, sostiene che una delle ragioni non secondarie della  crisi della sinistra sarebbe il fatto che essa <<è antropologicamente diversa dal popolo che vorrebbe rappresentare in quanto oggi non c’è un solo leader della sinistra che emerge dal contesto sociale a cui vorrebbe far riferimento>>. Per Revelli, insomma, si può essere rappresentante credibile degli operai e dei contadini solo se si è stato operaio o contadino. C’è, qui, come è evidente una difficoltà di proposta e di pensiero: non risulta da nessuna parte, infatti, che Marx, o Togliatti, o Berlinguer siano mai stati metalmeccanici o braccianti agricoli. Mario Tronti, dal canto suo, nel libro-intervista uscito in questi giorni, rimprovera alla sinistra di avere una cultura di elitè e non “di popolo” e che per questo non se la sente <<di stare con quelli che alle nove di sera entrano all’Auditorium contro quelli che alle sei di mattina escono di casa>>. Di fronte a queste affermazioni, si può dire solo che ci dispiace per lui perché non avrà modo di incontrare il giovane Gramsci che la sera, proprio alle 21, si reca a teatro e, subito dopo, nella redazione dell’ “Avanti!” per scrivere la recensione dello spettacolo appena visto.

E’ allora inevitabile che l’inadeguatezza analitica della sinistra renda fragile e confusa anche la sua proposta politica. Non pare solida, infatti, quella della ricerca di una intesa tra sinistra e M5S. Per Art. Uno, Arturo Scotto dichiara espressamente che<< l’obiettivo principale di breve periodo deve essere quello di sbarrare le porte di Palazzo Chigi a Salvini>>. Si tratta senz’altro di un impegno condivisibile, ma per come è formulato appare chiaro che dietro c’è l’errore di ritenere il M5S in qualche modo di sinistra. Non ci si rende conto , insomma , che per cultura politica, per l’idea di Stato che hanno, per l’attacco concentrico e combinato che stanno conducendo contro i capisaldi della democrazia, Lega e 5S difficilmente sono distinguibili. L’oltraggio compiuto dai grillini con la loro recente consultazione digitale contro il parlamento è di una gravità inaudita. Le elezioni in Abruzzo e in Sardegna provano come gran parte del l’elettorato perso dai grillini sia andato non a sinistra ma proprio alla Lega di Salvini e che l’ipotesi di una intesa fra sinistra e 5S sia del tutto priva di consistenza politica e di valore simbolico

La sinistra non deve tardare ulteriormente a rendersi conto che non esistono scorciatoie e che in questa fase il tatticismo politico serve a poco. Si vince contro la destra e contro Salvini solo se si ha una strategia di lungo periodo  e, come bene ha scritto qualcuno, contendendo proprio al M5S il ruolo di secondo campo nei rapporti di forza reali.

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