Di per sé, l’idea di evitare la proliferazione eccessiva di impianti per la raccolta e il trattamento dei rifiuti è condivisibile. Pertanto, la decisione di non procedere alla realizzazione di termovalorizzatori nella “Terra dei Fuochi” andrà misurata sugli effetti pratici che produrrà, senza sommari processi preventivi. Alcune cose tuttavia vanno sottolineate. La prima: questo tipo di decisione deve essere accompagnata da una rapida e rigorosa attivazione del sistema della raccolta differenziata e del riciclo, nonché degli impianti, dei mezzi di raccolta e di comportamenti corretti di famiglie e aziende. E qui c’è un primo elemento che legittima un po’ di scetticismo. In molte parti del Nord e anche del Sud si sono realizzati ottimi risultati su questo fronte. Ma in altrettante, se non più numerose realtà, il sistema ha incontrato dure resistenze, diventando, come ad Alessandria, oggetto di contesa politica, costato la testa a più di un sindaco. Qualcuno ricorderà che proprio l’avvio della differenziata fu uno dei cavalli utilizzati dalle destre, Lega in testa, per battere Mara Scagni. Forse, se quel programma fosse andato a buon fine, oggi Alessandria non avrebbe i problemi che ha su quel fronte. Il secondo elemento problematico è legato, in derivazione dal primo, al non semplice passaggio di un contesto segnato dall’infestante presenza di una criminalità molto infiltrata nei gangli della società e della PA all’adozione corale di un modello che deve funzionare alla perfezione e in assoluta trasparenza per poter fare centro e non trasformarsi in nuova emergenza. L’altro aspetto delicato, solo in apparenza secondario, è la propensione dei cittadini a respingere anche la realizzazione degli impianti destinati invece al riciclo, che costituiscono invece l’altra gamba, altrettanto essenziale, ai fini della salvaguardia ambientale. Di questo rigetto abbiamo prove anche sul nostro territorio, che vede molto spesso comitati e altre iniziative, legittime ma opinabili, sorgere indifferentemente quando si tratta di realizzare impianti per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, così come quando si tratta di impianti destinati al riciclo e, quindi, al contenimento. Infine, un’ultima ma cruciale questione riguarda il rispetto rigoroso di un principio per il quale ogni territorio deve farsi carico di provvedere da sé, in questo campo. La decisione di non realizzare termovalorizzatori (che in altre parti d’Italia sono stati realizzati con tecnologie d’avanguardia e che quindi non vanno neppure loro demonizzati) non può essere disgiunta dall’obiettivo ravvicinatissimo dell’autosufficienza. Non può essere, insomma, il giochino delle tre carte scaricato sugli impianti di altre parti d’Italia. In questo caso, la solidarietà nazionale verso il Mezzogiorno c’entra pochissimo. E anzi questa può essere un’occasione di riscatto per quella parte del Sud. Perché allora, mi domando provocatoriamente ma non troppo, non legare l’attivazione del “reddito di cittadinanza” (se e quando ci sarà) a un progetto di formazione full immersion e a un impiego legato all’avvio di un nuovo sistema di funzionamento del ciclo dei rifiuti nella Terra dei fuochi?
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