“anno bisesto…  ”

Un commento ad una poesia, ad un testo in prosa, ad un racconto…a tutto quello che volete Voi, dovrebbe sempre portare ad una conseguenza…leggere con più attenzione – e con qualche astuzia in più – il brano nella sua nudità. Senza note, senza orpelli, spiegazioni o altro. Solo il testo. Se invece il “comento” si dilunga troppo, arzigogola sulle parole, si gongola su parafrasi e omoteleuti… fa scappare la voglia. Per cui la facciamo breve e, ad ulteriore benemerenza della nostra Marina Elettra (1), diciamo che il suo non è solo un testo…è una guida per qualche regista d’avanguardia, capace di creare ambienti soffusi, basati su giochi di sguardi, su ammiccamenti e  movimenti di mani e corpi interi, un cortometraggio, di quelli “giusti”, che potrebbe far bella mostra in un concorso cinematografico. Si tratta di un racconto breve con un  retrogusto da primi anni Sessanta dello scorso secolo, con qualche “Topolino” con le paratie in legno sullo sfondo, con le immancabili biciclette, i preti, le suore  e molte famiglie a passeggio con bambini. In quel clima, in quel contesto si muove come una frusta una sintassi veloce, avvolgente, a volte ardita, fatta di lunghe frasi o di proposizioni minime, soggetto, verbo, complemento. In voluto contrasto fra loro. In quella cornice va a delinearsi, con tratti sempre diversi ma sostanzialmente riconoscibili, la figura femminile “very shy” della protagonista, con il suo incedere  aggraziato e con la “figura” elegante presa, ma poi nemmeno tanto, nel vortice ormonale. Una passione che ha un innesco lento ma inesorabile, che matura col tempo e che non si arresta mai, fino ai settant’anni delle ultime inquadrature , quelle appena prima dei titoli di coda , sovrapposte a immagini nostre contemporanee. Una bella cavalcata nel tempo, una bella esperienza vissuta in punta di penna.

…Non resta che leggere… per dar modo alla “voce di dentro”  – che pervade il racconto – di accompagnarVi  dall’inizio alla fine.

 

“anno bisesto…  ” 

 

Per farla breve, era andata di nuovo a sbattere contro un albero.

O aveva messo i piedi su un vespaio come da piccola, al fiume tra le colline, quando ancora esistevano acque limpide e profonde, e i bagni erano belli come quelli al mare ma diversi, e tutti i giorni ci si andava attraversando i campi e i gelsi e i frutteti verso sera, e ci si rivestiva dietro ai salici, e si faceva cena con formaggio e vino … e uno sciame di vespe  arrabbiate le aveva ricoperto il corpicino, e se non era morta quella volta vuol dire che non era destino. O che erano morte le vespe.

Fatto sta che non sapendo definire l’amore e i suoi derivati, e non avendoci mai capito nulla viste le pessime prove che aveva dato nella vita, cercava di aiutarsi da sola.

Oltre a odiare l’ambiguità, non  poteva resistere all’imperativo di esprimersi e di esporsi, a partire dalla prima manifestazione d’insofferenza che ricordasse, all’età di sette anni.

Ai quei tempi non ci si sottraeva alla prima comunione. Terminata la scuola la maestra conduceva la scolaresca, tutta femminile, all’inesorabile appuntamento col catechismo nella navata destra della chiesa vicina alla scuola. Il parroco, detto “Pio Pio” da sua madre, che a preti e suore non perdonava nulla per essere stata segregata in collegio fino ai diciott’anni, era vestito proprio da prete con la tonaca lunga lunga piena di bottoni. La catechista era così brutta che nemmeno Dio l’avrebbe voluta nella schiera delle sue spose terrene e se dovevi dire “brutta come il peccato” avresti pensato a lei per tutta la vita.

E’ dura spiegare i comandamenti a bambini così piccoli, tanto più se in mezzo a loro c’è una bambina che non s’accontenta di favolette preconfezionate. E’ il sesto comandamento il punto critico. Oggi si dice “non commettere atti impuri”, che già ci s’arrampica sui muri a spiegarlo. Che sono gli atti “impuri”? Non si sono lavati la mattina?A quel tempo, peggio del peggio, era scritto “non fornicare” e alla bambina veniva in mente un esercito di formiche con un errore ortografico.

“Cosa vuol dire non fornicare?”, insisteva la bambina.

Silenzio.

Allora la vocina, amplificata dall’eco delle altissime navate, si era propagata nel vuoto e nella testa della povera catechista, orbata d’una spiegazione plausibile. Era passata subito al settimo “non rubare”. Ma la bambina testarda aveva ripetuto la domanda, dritta in piedi, per esigere una risposta.

“Fornicare significa fornicare e basta. Fattelo spiegare da tua madre”.

Da quel momento la bambina l’avrebbe odiata e il catechismo se lo studiava a casa a memoria, tanto era lo stesso, e alla confessione con Pio Pio, che le pareva alto come un campanile, proprio non sapeva dire altro che qualche sera aveva dimenticato l’esame di coscienza, che desiderava tanto un gelato e che per questo non aveva fatto l’elemosina per comprarselo con i suoi soldini.  Ma quella risposta non le era stata fornita nemmeno dalla mamma, e allora aveva pensato ad un vero e proprio mistero inspiegabile se la sua mamma non era stata in grado di dire nulla.

Giunta a diciotto anni, con tutto un bagaglio portato dietro intatto, la curiosità le aveva rivelato quanto poi non fosse un granché, che gli uomini sono esseri strani, con tutto quel da fare che si danno, una gran fatica da farle preferire una bella sigaretta e un bel sonno ristoratore in vece di quel rito da sopportare quotidianamente di cui nessuno le aveva detto. Era d’una ignoranza smisurata rispetto alle coetanee, ipocrite dall’aria virginale, ma solo quella. Presto aveva rifiutato e rinunciato al sesso.

Anni e anni erano trascorsi prima che la bambina adulta scoprisse quanto bello fosse. E lì, con tutto il tempo sprecato senza sapere, era stato come rivelarsi l’essenza della vita. Un fiore del deserto chiuso per proteggersi dal calore e dalla siccità che al sopraggiungere della stagione delle piogge si era aperto alle prime gocce, rivelando i colori dei petali inturgiditi di nuova linfa. Ci aveva provato testarda a scoprire quel mistero, mai convinta delle risposte distratte che aveva ricevuto. Non era possibile che di tutta la letteratura di cui s’era imbevuta, della poesia, della musica permeata di sensualità vissuta come un amplesso, la realtà si riducesse a quella poca cosa ripetitiva e già vista. Fino a  quando si erano conosciuti.

Avviene di rado, ma quando accade  è così che deve essere. L’incredulità è quella che inganna. Non è vero. E’ un’altra illusione. E tante manine tengono chiuso il coperchio … e se non basta ci metti le pietre sopra che si fanno montagna. E fai le cose di tutti i giorni col sorriso stampato. E ti pare tanto bene smettere di sognare.

Invece, dopo un incontro casuale e mesi di corrispondenza,  e telefonate che si facevano via via più torbide e appassionate, non c’era stato più nulla da fare.

Lei era ammalata di parole, le giravano per la testa in continuazione e nulla di più l’affascinava d’una comunicazione emotiva condivisa. Era tra loro come un ricamo intessuto di fili di seta dove si scoprivano amanti delle stesse cose, increduli d’essere davvero fatti l’uno per l’altra. Mancava ancora una conoscenza, quella più esaltante, se così si fosse rivelata. Lei, senza sapere come sarebbe stato tra loro, aveva puntato tutto sul rosso passione, prendendo il treno che se va bene passa una sola volta.

Quando era scesa non l’aveva riconosciuto. Lui s’era accorto di lei perché era la sola ad indossare un buffo cappello fiorito. S’erano guardati a lungo, talmente emozionati da non vedere nemmeno un bar dove bere il caffè, né avere voglia di mangiare, né riuscire a parlare, ma solo osservarsi  con un’emozione da straziare la gola, né sapere come essere arrivati davanti al portone di casa e trovarsi aggrovigliati in un bacio in cui si divoravano a vicenda. Erano vent’anni che lei subiva quella privazione: solo una volta ne aveva percepito l’essenza, un ricordo lontano e rimosso per non dover cercare più.

Tutto questo accadeva in un anno bisestile, come tutte le cose più significative della sua vita.

Come fossero saliti alla fine della scala non ricordava. L’immagine di quel pomeriggio era la sua, abbandonata a metà sul letto, la  sottoveste sollevata e le calze come una ballerina di Lautrec, inconsapevolmente teatrale, mai immaginando di esibirsi a quel modo trasognata di fantasie di carezze attraverso la seta, mentre lo aspettava. La musica … ecco … ora la musica la raggiungeva dal fondo della casa, il romanticismo struggente della “Patetica” di Tchaikovsky.

L’apertura tumultuosa della sinfonia corrispondeva a lei quando lui la raggiunse. L’aveva sollevata in un abbraccio come una bambola per baciarla e baciarla come mai in nessun sogno, e adagiarla a suo piacere sul letto da poterla sfiorare con le labbra e accarezzare senza spogliarla, seguendo il distendersi della musica che s’era fatta lieve e lenta da rabbrividire come i loro gesti, per prendere poi  il tempo d’un valzer che modulava i sensi di entrambi, l’eccitazione di lui nel sentirla danzare tra le  mani. Non gli importava che di lei, di vederla trasalire e tremare, tendersi e rilassarsi e poi ricominciare fino all’adagio lamentoso del finale del quarto movimento, a concludere la loro armonia.

Non c’era più la testa, né la parola, né il corpo per lei dopo che Alfredo, così lo chiamava come la Traviata, le aveva rivelato il mistero nel quale era entrata come fanciulla.

Se le avessero chiesto particolari della casa non avrebbe saputo rispondere. In quei  giorni erano impegnati solo a guardarsi ed amarsi come fosse la vita. Lei non aveva voluto passare le notti con lui. Voleva entrare nel loro sentiero consumandone la conoscenza come un calice di vino pregiato, così come lui aveva continuato a coglierla in ogni suo attimo solo con lo sguardo per condurla a desiderarlo oltre se stessa. Lui sapeva aspettare.

Il suo corpo intanto stava subendo una trasformazione inspiegabile.

Gli occhi, ingranditi, luccicavano di sguardi e meraviglia.

Il seno s’era inturgidito e il sesso, roseo e lievitato come un dolce appena sfornato, manteneva il suo tepore umido così da essere assaporato al meglio in qualsiasi momento. Era sorprendente per lei sentirsi a quel modo anche quando era sola, come se la parte del corpo risorta dalla sepoltura reclamasse il diritto ad essere il centro della sua vita. Quando camminava per strada, con quell’aria un po’ retrò che la distingueva, si compiaceva di rilevare il contrasto tra l’impudicizia del suo costante calore e la compostezza apparente. Si sentiva ridere dentro e fosse stata una puledra si sarebbe messa a correre e nitrire con la criniera al vento.

Come Alfredo aveva sperato, fu lei a cedere appena poco prima di lui. Quando gli sussurrò portami a casa a dormire con te per conoscermi come nemmeno mi conosco, per il desiderio insostenibile da mancarmi la percezione di esistere, per i miei sensi stravolti e le parole sconosciute da dirti.

Di nuovo la sua mente avrebbe conservato immagini e cancellato altre, perché il ricordo non si perdesse oltre l’essenziale.

Tutta la sua vita precedente se n’era andata in un soffio. Nulla, solo loro due, nemmeno la musica in lontananza, questa volta, presi com’erano dalla loro sinfonia. Erano così eccitati da aver tralasciato le carezze mentre, senza staccarsi dalle labbra, si toglievano gli abiti per  dimenticarsi in un abbraccio infinito. Fu allora che si smarrì in lei trovandola, dopo tutti i suoi anni perduti, di nuovo ragazza.

Poi ricominciarono, con una dolcezza senza tempo, lui e lei … e lei e lui. E ancora lei che si scioglieva nel suo fiume lento e inarrestabile per tutta la notte e fino al primo mattino, come il giorno della creazione.

E’ a questo punto che si dovrebbe desistere, incorniciando la Bellezza nell’attimo irripetibile, per lasciarla incontaminata, perché il dopo non potrebbe reggere a lungo il confronto.

 

Il fatto straordinario di questa storia è che entrambi camminavano bellissimi sul filo dei settant’anni. (2)

 

(1) – Note biografiche.

Marina Elettra Maranetto è nata a Silvano d’Orba e vive ad Alessandria.

Ha pubblicato Pedagogia Estrema, il Manifesto dell’Educatore- Saggio Pedagogico Satirico (Premio Speciale romanzo di Satira, S.Margherita Lig.- 2002); L’Importante è l’Incontro, operetta amorale (Premio  Lett.  Maestrale S.Marco, Sestri Levante- 2003), dove col linguaggio della satira ed apparente levità considera due aspetti fondamentali del vivere, quali il percorso educativo e le spinose incognite dell’incontro amoroso, fino ad affrontare in A Meno Che. l’impegno del romanzo (Premio Speciale della Giuria Pegasus, Città di Cattolica- 2010).

Ultima pubblicazione: “Tempo Scaduto- pensieri beffardi sull’inesistenza”, 2016.

Collabora con l’Accademia Urbense di Ovada, cui deve la pubblicazione di Una Storia nella cronaca, la Società Operaia a Silvano d’Orba, 1876 – 1926 (2004), nonché articoli inerenti la storia dell’associazionismo femminile sulla rivista di studi storici URBS .

Collabora con il quotidiano “Cittàfutura on line”- Alessandria . E’ recente la sua partecipazione con letture satiriche ad allestimenti teatrali in musica e letteratura. 

Numerosi i racconti meritevoli di riconoscimento a premi letterari nazionali ed internazionali che  fanno parte di raccolte antologiche o hanno ricevuto l’attenzione della stampa. Tra i più significativi il Premio “Città di Alessandria”- 2003; Premio “Vivere il mare”, S. Margherita Lig. 2004;  Biennale della Satira, Vercelli/  S.Margherita Lig. 2006; Premio “Il Prione”, La Spezia 2010;  Premio Speciale “Ricette e Cultura” S. Margherita Lig. 2014, Premio Città Di Pavia “Caratteri di donna e di  uomo” 2016; Premio assoluto della Giuria e dei lettori on line “Narrativa d’Amore”- A.L.I  Penna d’Autore, Torino 2019.

Partecipa come docente alle molteplici iniziative dell’Unitre di Castellazzo Bormida (AL) con il Laboratorio di Lettura e Scrittura creativa, conseguendo significativo riscontro e collaborazione da parte degli iscritti.                            

(2) –  Ecco la lettera ufficiale:                           “Gentilissima Marina Elettra Maranetto,

con la presente sono molto lieto di comunicarLe che dalla somma dei voti espressi dagli autori iscritti alla mailing list di Penna d’Autore il Suo racconto dal titolo «ANNO BISESTO…» si è classificato al Primo Posto Assoluto nella prima edizione del Concorso Nazionale «Narrativa d’Amore».

Nel complimentarmi vivamente per il risultato raggiunto Le confido di aver condiviso in pieno la scelta dei nostri giurati, che da parte loro hanno collaborato con passione e serietà nella valutazione delle 50 opere finaliste.

Nei prossimi giorni provvederò a inviarLe il premio vinto composto da una splendida Targa Personalizzata (omissis) ; tra l’altro il racconto resterà nell’archivio degli e-book di Penna d’Autore e riportato con il Suo nome nell’ALBO D’ORO.

Nel ringraziarLa per aver partecipato a questa iniziativa Le auguro un sincero “in bocca al lupo” per il prosieguo della Sua attività letteraria, che sono certo raccoglierà altri importanti riconoscimenti.

Un cordiale saluto mio personale e da parte dell’intero staff di Penna d’Autore.

—————————————–

Nicola Maglione

Presidente A.L.I. Penna d’Autore

www.pennadautore.it

</marinamaranetto@libero.it></ali@pennadautore.it>

 

 

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