(1) Con esasperante ciclicità, ritorna nella politica italiana il tormentone del “centro”: verrebbe voglia di lasciar perdere queste discussioni e pensare ad altro. Ma si può affrontare il tema in modo più preciso e produttivo. Proviamo a mettere un po’ d’ordine sulla questione e mettere alcuni punti fermi.
Primo: un sistema di partiti assume un suo formato sulla base di una variabile decisiva, ossia il sistema elettorale. E quindi:
a) un sistema proporzionale consente una distribuzione e articolazione delle forze politiche lungo un asse destra-centro-sinistra e quindi crea lo spazio per un partito autonomo di centro. Era così in Italia, nella Prima Repubblica; accade così, oggi, ad esempio, in Germania, con il partito liberale. Solo con un sistema proporzionale ha senso parlare di un “centro” che non sta “né con la destra né con la sinistra” (salvo poi allearsi o con l’una o con l’altra)
b) con un sistema maggioritario, o comunque con sistemi ibridi come quello attuale in Italia, che costringono alla formazione di coalizioni preventive, si crea invece un fortissimo incentivo ad una struttura bipolare. Non esiste uno spazio autonomo per il “centro”: chi ci prova, è la storia a dimostrarlo, si condanna all’irrilevanza.
Secondo punto, “assetto bipolare” non significa necessariamente “assetto bipartitico”. È stata questa la grande illusione di una stagione della politica italiana, quando si teorizzò la “vocazione maggioritaria” del nuovo PD, opposto al “Popolo delle libertà” berlusconiano. Non ha proprio funzionato, è evidente. Altra cosa è pensare ad un’articolazione di ciascuna coalizione, con componenti più o meno di sinistra e destra o moderate. In questo caso, un “centro” ha un senso e uno spazio se, da un lato, sceglie di ancorarsi saldamente ad una parte e, dall’altro lato, si caratterizza per una complessiva attitudine moderata o pragmatica, come dir si voglia, ma senza alcuna ambiguità, e senza trasformismi. L’esempio è quello della Forza Italia di Tajani, che si è ritagliato un suo spazio “moderato”, ma non abbandona certo gli oltranzismi di Meloni e Salvini
Terzo punto: ad accrescere la confusione, in molti discorsi si sovrappone il tema dei “cattolici”; ma anche qui si può facilmente sgombrare il campo dagli equivoci. Posto che è improponibile ed anacronistica ogni ipotesi di ricostituzione dell’unità politica dei cattolici, e men che meno che questa unità si collochi “al centro”, la questione è semplice, persino banale: i cattolici democratici e di sinistra stanno con il PD e altre forze di sinistra; i cattolici moderati (e alternativi a questa destra), stanno con l’(eventuale) forza moderata alleata alla sinistra; i cattolici moderati di destra stanno con l’ala moderata della destra; i cattolici reazionari e clericali (come già accade) stanno con Meloni e Salvini. Punto. E non è affatto detto che, in tal modo, i “cattolici” si condannino all’irrilevanza: anzi, il loro contributo politico e culturale può essere prezioso, di fatto in molti casi è molto più avanzato e maturo rispetto ai molti vuoti della cultura politica della sinistra o del pensiero liberal-democratico. Si pensi, da ultimo, all’intervento del Cardinale Zuppi (in occasione del 60° anniversario del discorso di Pio XII, per il Natale del 1944, nel pieno della II guerra mondiale), su popolo, élites e democrazia, pace e guerra.
Dunque, oggi, di quale “centro” parliamo a proposito della possibile coalizione alternativa alla destra?
Stare al centro per guardare a sinistra
Giorni fa, i giornali hanno riferito queste parole di Romano Prodi, nel corso di un importante convegno tenutosi in Vaticano: “Per la verità, io ho sempre pensato che fosse meglio una coalizione per tenere insieme culture diverse. Il ritorno a un ‘mono-partito’ che punti da solo alla maggioranza degli elettori potrebbe anche essere un pio desiderio, ma ormai non esiste in nessuna parte d’Europa. Come fai a pensarlo?”. Ora si potrebbe, polemicamente e amichevolmente, affermare: “Alla buon’ora, caro Prodi! come mai allora, a suo tempo, è stato avvalorato il progetto del nuovo PD come partito a “vocazione maggioritaria”, “erede” dell’Ulivo? Ma l’Ulivo, appunto, era una coalizione, non un “mono-partito”!
Queste parole di Prodi segnalano un nodo strategico ancora irrisolto nel PD: la prassi e le scelte che sta facendo Elly Schlein stanno ridefinendo la posizione del PD come di un partito di sinistra, ma questa prassi e queste scelte non vengono apertamente teorizzate e motivate, chiarite e discusse. E così, pochi giorni fa, capita di leggere un’intervista a “Domani” di Pina Picierno, vice-presidente del Parlamento Europeo, in cui si ripropone ancora una volta, pari pari, il vecchio discorso sulla “vocazione maggioritaria” del PD, palesando peraltro la propria aperta diffidenza verso l’ipotesi di una “gamba moderata” del centro-sinistra (col trattino): “il Pd non deve appaltare all’esterno il dialogo con i moderati. È la vecchia idea di D’Alema, oggi di Bettini. Ma è sbagliata. Il Pd ha una vocazione maggioritaria, è nato per tenere insieme culture diverse. Oggi abbiamo una leader che “copre” benissimo a sinistra, ma non è sufficiente: è necessario dare voce anche a chi ha un pensiero diverso e complementare: tutti insieme siamo il PD”.
Era opportuno riportare per esteso queste parole, perché sono, per molti versi, esemplari degli equivoci che ancora si trascinano e di come ci si ostini a non prendere atto delle lezioni della storia. “Tenere insieme culture diverse”: certo, era questa la missione del PD, ma in che senso? Si dovevano unire culture democratiche e di sinistra, con le radici nella tradizione socialista e comunista italiana, nel cattolicesimo democratico e sociale, nella tradizione laica-azionista, e poi le nuove culture dell’ambientalismo e del femminismo. Ma tutte, comunque, culture della sinistra del nostro tempo. Non un partito in cui dovessero convivere (malamente, come i fatti dimostrano) un “centro moderato” e una sinistra esangue e pacificata… Il Pd è entrato in crisi perché voleva recitare tutte le parti in commedia: ma non ha funzionato, non ha parlato al centro, e ha perso a sinistra. E se ora si sta riprendendo è solo perché sta riconquistando un profilo più netto di sinistra. E quando Elly Schlein si muove con spirito unitario, senza l’arroganza dell’autosufficienza (e il PD viene premiato elettoralmente anche per questo) lo fa nel solco delle megliori tradizioni della sinistra italiana. Per questo, ben venga una nuova aggregazione di “centro” che guardi e sia ancorata a sinistra; il problema è chi e come possa riuscirci a metterla su. Ma questa è un’altra storia.
Io mi meraviglio sempre di certe uscite da “grilli parlanti” alla Floridia o altri. Fare chiarezza nel PD è matematicamente e fisicamente impossibile perché il PD è nato programmaticamente per essere ambiguo. Un partito che con la “tradizione della sinistra” evocata da Floridia non ha nulla a che vedere fin dal nome, eppure tanti più o meno bene intenzionati grilli parlanti, a rischio di essere presi a martellate da Pinocchio, tornano costantemente ad alimentare la falsa speranza che un cammello di centro possa diventare un bellissimo puledro di sinistra.