Come al solito si è addormentato sul tavolo, sotto un albero di fico.
Chissà, mi chiedo, se è l’albero che aiuta l’illuminazione o chi ci sta sotto che illumina l’albero ? Ma dato che sappiamo che tutto è relazione, ci vogliono tutti e due. E poi, mi dice svegliandosi all’improvviso come se avesse sentito il mio pensiero, con la foglia di fico Adamo ed Eva si coprirono, dopo aver mangiato il frutto della Conoscenza. Poi si stropiccia un occhio, sposta la sedia e si incammina silenzioso verso il rosso del tramonto.
Il giorno prima era arrivato con una busta di disegni, tre lattine vuote di sardine, qualche cordicina colorata e delle lettere ritagliate dalla scatola dei gelati. Aveva messo tutto sul tavolo e gentilmente aveva iniziato a legare, bucare, tagliare, ritorcere, sogghignare, creare. Il gioco è la vita e la vita è di notte che si sveglia, come i gatti e con i gatti.
Morosolo era una fucina, o meglio, un crogiuolo. Si tingevano sogni, s’allargavano parole, s’intonavano musiche e tutto era steso al sole di quei prati lunghi e verdi, come le lenzuola contadine di un bucato nostrano. I maestri li trovavi negli alberi, nella pentola della frittata, nel silenzio dell’altro, una letteratura silenziosa che s’insinuava nelle meditazioni mattutine come le note di una musica benefica e ristoratrice. La casina delle stelle era un tabernacolo, il piccolo ponte un’iniziazione.
Il tempo, invecchiando, s’infeltrisce come un vecchio maglione lavato troppe volte. Il Puer ha mutandine di cotone bianco, il Senex la maglia di lana.
Riccardo le aveva messe entrambe ieri nella sua valigetta, sopra ai tanti ritagli, forbici, inchiostri e pennini. Mi serviranno.
E mi ha salutata con le parole che gli piacevano del saluto di Panikkar: a per sempre.
di Patrizia Gioia
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