A Baku (Azerbaijan) la COP delle speranze deluse

Alla fine se ne è arrivati a una…. ma a costo di molte delusioni. Dopo tre notti insonni e interminabili negoziati, domenica 24 novembre, al termine della COP29 a Baku, le “Nazioni Sviluppate” (se si possono ancora definire così) si sono impegnate a garantire maggiori finanziamenti ai paesi poveri minacciati dal cambiamento climatico.

I finanziamenti promessi per il 2035 “sono troppo deboli, troppo tardivi e troppo ambigui“, si è subito rammaricato del keniano Ali Mohamed, parlando a nome del gruppo africano. Il suo omologo del Malawi, che rappresenta i 45 paesi più poveri del pianeta (…e questo lo si può affermare a ragion veduta, dati ONU), Evans Njewa,  ha denunciato un accordo “poco ambizioso”. “L’importo proposto è pietosamente basso”, ha aggiunto il delegato indiano Chandni Raina, criticando la presidenza azera della COP29.

L’impegno finanziario delle Nazioni d’Europa, degli Stati Uniti, del Canada, dell’Australia, del Giappone e della Nuova Zelanda, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, è quello di aumentare dai 100 miliardi di oggi ad “almeno 300 miliardi di dollari” all’anno entro il 2035 i loro prestiti e sovvenzioni allo sviluppo. Risorse per adattarsi alle inondazioni, alle ondate di caldo e alla siccità. Ma anche per investire in energie a basse emissioni di carbonio invece di sviluppare le proprie economie bruciando carbone e petrolio, come hanno fatto i”Paesi del Primo Mondo” (ritornando ad una antica definizione) per più di un secolo.

I punti principali dell’accordo raggiunto al termine della COP29 (con sottotitolo “300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035″

È questa la somma che i 23 Paesi sviluppati e l’Unione Europea – designati nel 1992 come storicamente responsabili del cambiamento climatico – dovranno fornire ogni anno ai Paesi in via di sviluppo. In alcuni casi anche il doppio di quello che chiedevano. Il testo prevede che il contributo dei paesi ricchi provenga dai loro fondi pubblici, integrati da investimenti privati ​​di “sostegno e garanzia” (sic), o da “fonti alternative”, il che significa possibili tasse globali, ancora allo studio (sulle grandi fortune, sui trasporti aerei o marittimi, sulle sigarette e sul combustibile fossile ).

Nessun obbligo per la Cina

Le Nazioni dell’Occidente chiedono un ampliamento della lista degli stati responsabili dei finanziamenti per il clima, con Cina, Singapore e i paesi del Golfo che sono diventati più ricchi da quando la lista è stata stilata nel 1992. Ma la Cina aveva tracciato una red line: non c’era e non c’è stato modo di oltrepassarla o metterla in discussione. Pertanto l’accordo di Baku “invita” i paesi non sviluppati a fornire contributi finanziari, ma questi rimarranno “volontari”. E’ stato scritto e ripetuto più volte.  

Concessioni ai paesi più vulnerabili

I 45 Paesi Meno Sviluppati (PMS) e il gruppo di circa 40 piccoli Stati insulari – che si erano lamentati di non essere stati né ascoltati né consultati – alla fine sono stati convinti a non bloccare l’accordo. Volevano che una parte degli aiuti finanziari fosse loro esplicitamente riservata, contro il parere di altr Nazioni dell’Africa e del Sud America. Infine, l’accordo anticipa al 2030 l’obiettivo di triplicare i finanziamenti, prevalentemente pubblici, prevedendo canali prioritari e garantiti di finanziamenti, come pure delle relative tempistiche e modalità di controllo.

Si prevede inoltre che una tabella di marcia produca un rapporto per la COP30 di Belém (Brasile), nel novembre 2025, su come sfruttare i finanziamenti per il clima. Ciò offrirà loro, tra le altre cose, una nuova opportunità per ottenere più denaro sotto forma di donazioni, mentre oggi il 69% dei finanziamenti per il clima è costituito da prestiti. “Ca va sans dire” che siamo nel politichese più classico, quello che dai lidi nostrani ha intaccato tutto il mondo: “Tu scrivi, scrivi…intanto poi i regolamenti li faremo quando e come vorremo e…forse non li faremo mai”.  Un classico.

Servizio minimo all’uscita dei fossili

Ogni menzione esplicita della “transizione” verso l’uscita dai combustibili fossili, il principale risultato della COP28 di Dubai, è scomparsa nella finalizzazione dei testi principali, riflettendo una “battaglia di tutti i diavoli” con i Paesi produttori (ex OPEC, Cina, Russia e collegati), secondo un negoziatore europeo . Il testo che avrebbe dovuto rafforzarne l’attuazione alla fine non è stato adottato alla chiusura della COP29, dopo una lunga battaglia che lo aveva già in gran parte svuotato della sua sostanza.

Una delle priorità dell’UE, osteggiata dall’Arabia Saudita, era ottenere un monitoraggio annuale degli sforzi per uscire dal petrolio, dal gas e dal carbone. Il risultato corrispondente a zero citazioni e a zero numeri sulla questione specifica ha ben fatto vedere quali siano gli equilibri in campo. E come siano cambiati (in peggio) negli ultimi anni. 

Un “passo importante” per gli Stati Uniti, “deludente” per l’Europa

I piccoli Stati insulari hanno deplorato “la mancanza di volontà di rispondere ai bisogni di “Nazioni in via di sviluppo vulnerabili”, attraverso la voce del samoano Cedric Schuster, ancora una volta deluso da un processo multilaterale al quale si è tuttavia dichiarato legato. Gli occidentali, compresi gli Europei, i principali donatori mondiali di finanziamenti per il clima, non erano pronti ad andare oltre tale importo, in un periodo di restrizioni di bilancio e di sconvolgimenti politici. “Ma credono di aver contribuito a un risultato storico”. L‘ultima frase è del ministro Pichetto Fratin. 

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha salutato l’accordo come un “passo importante” nella lotta contro il riscaldamento globale. E “se alcuni cercano di negare o ritardare la rivoluzione dell’energia pulita (…), nessuno può tornare indietro, nessuno”, ha sottolineato il presidente americano, in evidente riferimento all’atteggiamento scettico sul clima del suo successore, Donald Trump.

Dal punto di vista dei rappresentanti di Francia, Germania e Spagna, il testo è “deludente” e “non all’altezza delle sfide”, come ha sottolineato il ministro francese della Transizione Ecologica, Agnès Pannier-Runacher. Mentre il ministro spagnolo per l’Ambiente Teresa Ribera (con la sua vice, ora nuovo ministro , Agasen) ha sottolineato “l’assenza di leadership da parte della presidenza azera”.

Il commissario europeo responsabile dei negoziati sul clima, Wopke Hoekstra, ha espresso rammarico: gli europei avrebbero “avuto voluto vedere più ambizione” sulla riduzione dei gas serra in tutti i paesi. Rinviare questo dibattito al prossimo anno “è un fallimento”, ha affermato Kévin Magron, ambasciatore francese “pour le Climat”

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha accolto – invece – con favore l’accordo, affermando che “segna una nuova era” nella cooperazione sul clima e nel suo finanziamento. Posizione condivisa da pichetto Fratin e dalla stessa Giorgia Meloni, convinta che consentirà di “stimolare gli investimenti nella transizione energetica e ridurre le emissioni” di gas serra”.

Una “esperienza dolorosa”

Ma l’accordo COP29, siglato durante la seconda notte di prolungamento di una conferenza iniziata l’11 novembre, lascia l’amaro in bocca a molti partecipanti. Le Nazioni più povere del pianeta e le isole del Pacifico, dei Caraibi e dell’Africa ne hanno chiesto il doppio o più. Nulla da fare. Da notare che il testo finale è stato  licenziato quasi alle 3 di notte, dopo estenuanti trattative e colpi di scena.

Nessun paese ha ottenuto tutto ciò che voleva e lasciamo Baku con una montagna di lavoro da fare, quindi non è il momento di dichiarare vittoria”, ha affermato il capo delle Nazioni Unite per il clima, Simon Stiell.

L’Azerbaijan ha combattuto per vincere la “sede” della conferenza, il più grande evento internazionale organizzato dal Paese, di fatto contro l’Armenia. Oltretutto le dichiarazioni del suo presidente contro la Francia, la Svezia, gli arresti di attivisti ambientali e le vessazioni contro i parlamentari americani (noti per il loro impegno ambientalista e per i diritti civili)  hanno appesantito l’atmosfera di una Baku imbellettata quanto mai. Beninteso…con l’impegno da parte dei congressisti a non abbandonare, per motivi di sicurezza oppure organizzativi, i rigidi percorsi stabiliti dalle Security locali.  Una gestione “chiusa” criticata in più occasioni.  La Germania ne ha trovato la motivazione a causa della  vicinanza a centri petroliferi e di produzione e raffinazioni di gas e derivati. Addirittura si è arrivati all’incidente diplomatico quando i delegati di dozzine di paesi in via di sviluppo hanno sbattuto la porta durante una riunione sabato, dicendo che “non erano stati pienamente consultati, in vista delle decisioni finali”.

Dal Brasile parole preoccupate

L’incontro di Baku è stata una “esperienza dolorosa”, ha detto Marina Silva, ministro dell’Ambiente del Brasile, che ospiterà la prossima COP tra un anno. Ha tra l’altro ricordato che “uno degli altri testi previsti per l’adozione, che avrebbe dovuto approfondire l’uscita dai combustibili fossili lanciata dalla COP28 a Dubai, non ha potuto essere adottato.”  Ma gli organizzatori non si sono spostati di un millimetro.  Molte occasioni collaterali di svago, spettacoli pirotecnici, balletti tradizionali e classici, musiche con direttori d’orchestra di fama mondiale, pure un torneo di calcio a fare da sfondo. “La gente dubitava che l’Azerbaigian potesse avere successo. Dubitava che tutti potessero essere d’accordo. Avevano torto su entrambi i fronti“, ha, infatti,  concluso il presidente della COP29, Mukhtar Babaev, ministro ed ex dirigente della compagnia petrolifera nazionale Socar. Una trappola perfetta in cui le Nazioni del mondo, disorientate dalle contemporanee aree di conflitto in Palestina e Ucraina, non hanno saputo prevedere. 

“Il multilateralismo è vivo”

Lo scenario senza precedenti di questa 29esima COP è stato l’anno 2024, che sarà probabilmente il più caldo mai misurato. E, nove anni dopo l’accordo di Parigi, che mira a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C rispetto all’era preindustriale, l’umanità brucerà ancora più petrolio, gas e carbone rispetto allo scorso anno. In due settimane di incontri in Azerbaigian, le tempeste hanno ucciso le Filippine in Honduras, la Spagna si è leccata le ferite dopo inondazioni mortali, l’Ecuador ha dichiarato un’emergenza nazionale per siccità e incendi.

La delusione era attesa da diversi giorni, ma ciò non ha mitigato le reazioni delle ONG, la maggior parte delle quali sono state molto negative. Infatti…“Il risultato offre false speranze a coloro che già sopportano il peso dei disastri climatici”, ha affermato Harjeet Singh, attivista dell’Iniziativa del Trattato di non proliferazione fossile.

L’accordo di Baku “non è così ambizioso come richiede il momento”, ha stimato Laurence Tubiana, artefice dell’accordo di Parigi, che ha tuttavia notato un motivo di soddisfazione: “Il multilateralismo è vivo e più necessario che mai“. Bisogna solo vedere a chi faccia più favori…A chi vuole cambiare marcia per un riequilibrio globale non più procrastinabile o per chi vuole vendere il “fossile” non ancora piazzato fino all’ultima goccia?

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