“Cahier de doleance”
C’era una volta Alessandria.
Un gioiello di Teatro lirico, parte del palazzo comunale, distrutto dai bombardamenti insieme alla passione musicale degli Alessandrini, nota e apprezzata ovunque dai cultori del Melodramma.
Altrove, la ricostruzione del Teatro fu il primo atto di rinascita della comunità affamata di “Bellezza”, dopo gli orrori della guerra, quasi più del cibo. Non fu così per noi. Tralascio per indulgenza la triste storia dei teatri “a venire”, ricordando ancora una volta con stupore e indignazione l’atto omicida dell’elegante teatro Liberty “Virginia Marini”, che sorgeva al posto dell’edificio sconsolato e agonizzante che vediamo oggi. Tra non molto ne sarà definitivamente cancellata la memoria.
I giardini pubblici del Sindaco Basile negli anni cinquanta, i prati come tappeti, i cani al guinzaglio, i bambini che imparavano il rispetto delle cose comuni… che se non erano i genitori erano i vigili urbani a staccare multe persuasive se mettevi anche un solo piedino a calpestare l’erba; il grande orologio di fiori, sempre esatto, che accoglieva i viaggiatori, appena imboccato il tragitto più breve verso la stazione; la “mezzaluna”, spazio semicircolare delimitato da una siepe curatissima e da un’elegante recinzione, dove si tenevano i concerti della banda e i bambini potevano inventare giochi.
I lampioni antichi di piazza Garibaldi… nati con essa e prematuramente scomparsi .
I bei palazzi d’epoca sostituiti qua e là da fatiscenti edifici anni sessanta e settanta, sorti come bubboni nelle vie e nelle piazze storiche.
Le sale cinematografiche in centro e quelle all’aperto dove trascorrere le sere estive. Ora le multisale periferiche e le nuove tecnologie, che consentono di collegarsi per via telematica a qualsiasi cosa, hanno ammazzato le belle abitudini di recarsi al cinema dopo la passeggiata nel Corso, palcoscenico di eleganza, la sosta ai caffè e la scelta dell’orario più gradita.
L’antico Ponte Cittadella, il nostro “Ponte Vecchio”, che a Firenze se lo tengono stretto e noi no. Abbattuto a ferragosto nella città deserta dagli stessi che “abbellirono la città”, snaturando la pavimentazione del centro con materiali scadenti e già fatiscenti; l’armonia di Piazza Marconi funestata da aiuole pensili, gelsi inspiegabili e granitici sedili, ricettacolo di sporcizia dove nessuno può sedere. E mi fermo qui perché, e so di ripetermi, “l’ignoranza non possiede memoria”.
La malinconia del bel Palazzo di Città, che se lo guardi dalle vetrate del bar più elegante, appena inaugurato, ti strugge il cuore a vederlo sfregiato dall’incuria come fosse lo specchio di anni di sciatteria amministrativa.
E c’era la ciminiera della Borsalino, la nostra Tour Eiffel, esempio di architettura industriale e simbolo della città. Piansi il giorno del suo abbattimento, per rabbia e per impotenza, insieme ai pochi che assistettero a quell’esecuzione in un silenzio surreale.
Ma la Borsalino c’è ancora, agonizzante ma c’è, come le belle vetrine del negozio in centro che, da un indagine condotta dalla “Stampa” anni fa, furono giudicate le più belle d’Italia. E lo ricordo con orgoglio a chi lo avesse dimenticato o lo ignorasse.
Un filo di speranza mi sostiene se all’inaugurazione della mostra “Save Borsalino”, a Palazzo Cuttica, c’era una folla di persone solidali che hanno condiviso rimpianto e speranza perché non sia ridotto in cenere questo patrimonio, Storia e futuro della nostra città.
Rileggendo m’accorgo, con un po’ di malinconica consapevolezza, d’essere anch’io Storia e ancor “di poco futuro…” in questa città.
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