Che c’è di nuovo ? In margine ad un contributo di “Democratici e Riformisti”

 

Con il 1996, a metà della esperienza  di “consigliere comunale capogruppo” dei Verdi nella ridente città di Alessandria, terminò la mia carriera (?) politica attiva. Ho messo il punto interrogativo perchè in realtà – nella mia testa – era già finita prima, anzi non era mai cominciata. Ero (e sostanzialmente sono ancora) sostenitore della funzione di “prestato alla politica attiva”, portando il mio contributo di competenze e di voglia di capire in quelle delle aule consiliari più o meno buie, più o meno simpatiche. Ho avuto la fortuna di avere un lavoro certo, che mi piace, e di ciò sono più che contento, senza bisogno della “politica”. A quella realtà (ostica) “davo una mano”, giusto qualche idea per provare a migliorare le cose e per fare in modo che   i principi del nostro agire politico si basessero su principi forti.  Sulla giustizia economica, su quella  sociale, sulla giustizia razziale, di genere  e su quella  ambientale. Belle parole vero? Andandovi a leggere il resoconto di quanto comincia a dire il candidato Sanders in vista delle elezioni presidenziali americane ci troverete qualche “somiglianza”. Ma continuo, con un po’ di nostalgia, ripensando a quegli anni. Si era sempre pronti ad un impegno che descriva – seriamente – i “potenti interessi”, gli interessi veri di chi controlla la vita politica, sociale ed economica. Che non abbia timore a raccontare delle vicende delle Borse italiane, europee e mondiali, di quelle che verranno definite poi le “troike”.  Come pure riesca a raccontare (senza timori) dell’avidità del sistema locale e internazionale,   della classe dei miliardari che ne ha beneficiato e che, spesso, è arrivata in modo discutibile ad accumulare fortune. Quell’avidità che ha avuto come conseguenza, qui da noi, nella nostra  Italietta, una grande disparità di reddito più di ogni altra area sulla terra. E ciò deve finire.

Sempre “belle parole” vero?…. Queste erano le parole d’ordine dei Verdi degli anni Novanta, Questi erano i principi che ci portavano a “fare la rotazione” a metà mandato. Perchè l’importante è (era) il programma, avere chiaro il percorso che si vuole seguire, capire chi può essere alleato duraturo, chi un semplice compagno di percorso per un determnato tratto, chi un avversario. Mai un nemico.

Di lì interminabili discussioni, studi, approfondimenti, voglia di fare, spese – anche personali – per ottenere quanto si riteneva utile.  Eravamo soliti avere semplici parole d’ordine.  Attenzione ai diritti, attenzione alle fasce più svantaggiate, attenzione all’ambiente…eccetera. “Noi non saremo più indifferenti al fatto che tre famiglie in questa Italia, posseggano più ricchezze della metà degli strati più bassi della popolazione di tutto il Paese:”  Not too bad , isn’t it?  Tutte frasi dette e ridette cento volte , che ci fa piacere ritrovare, praticamente uguali, nel testo segnalatoci dagli amici di “Democratici & Riformisti”, con la lodevole intenzione di sostenere un candidato alla presidenza americana Sanders che pare convinto di quel che dice e che, addirittura, cita un mito degli anni Settanta come il senatore McGovern.

Parole semplici e dirette, le sue, così come devono essere quelle di chi vuol provare a vincere, di chi vuol dare nuova spinta ad una America sempre più chiusa nella dottrina Trump, tentando l’impossibile… Partire dalle elezioni americane per un cambio di indirizzo generale a livello mondiale che dimostri quanto sono inadeguati, superati e pericolosi i vari sovranismi emersi in questi anni un po’ qui e un po’ là.   Bravo. Clap, clap.

Belle le parole di Sanders, che possono dare la carica giusta. E qui l’applauso deve essere sincero. Belle soprattutto perchè trattano di responsabilità, di impegno in prima persona, di ideali comuni, di attenzione a diritti e doveri di tutti senza differenze (e diffidenze) di sorta.

E questo è ancor più importante in un momento in cui, pare, ci sia un ritorno al classico. Alla centralità delle strutture organizzate di partito, non tanto alla ritualità di quel mondo, quanto piuttosto al meglio che ha espresso nel corso degli ultimi settant’anni. Esattamente quello che si chiedeva, nel 1996, al gruppo provinciale e cittadino dei Verdi: coordinamento, supporto di studio e di “fronteggiamento” (perchè gli “avversari” non scherzano) e, soprattutto, non far la figura dei cialtroni  e/o di chi dice sempre e solo “no”. Purtroppo non si riuscì a costitutire quello che sarebbe potuto essere un movimento veramente innovativo, responsabile nelle scelte e competente nelle prese di posizione. Prevalse la “teoria dell’agglutinazione”, quella del “ti sono amico per cui ti vengo dietro e qualcosa si farà” o, peggio, “ho amici in Fondazione o nel tale ambiente e – tranquillo – qualcosa verrà fuori”. Cioè un profilo basso che ha portato poca freschezza e, soprattutto, a far domandare ad una città intera… “E allora…che c’è di nuovo?”.

Si è visto l’esito. Per due volte ha vinto la  Lega Nord (con la dott.ssa Calvo), non riuescendo nemmeno a fare una opposizione seria e competente. Poi si è provato a invertire la rotta, prima con la Mara Scagni, poi con la Rita Rossa ma il risultato è stato lo stesso. Distacco dal “sentire” popolare. Ostilità. Incapacità di comprendere la realtà in cambiamento. Con la conseguenza di prevedibili fiaschi,  al momento della possibile rielezione. Evidentemente qualcosa non ha funzikonato. Quelle che sembravano  proposte ragionevoli,  “parole sante” tanto ovvie quanto semplici da comunicare (e che non vorremmo fossero l’ennesimo autoinganno per chi vuole cambiare davvero, come il nostro Sanders) evidentemente non bastavano più.

L’approccio deve essere diverso e, prababilmente, il ritorno dei partiti può essere utile proprio per far capire a cosa si va incontro, che la “politica non è una passeggiata” e che il tutto deve essere coordinato e ben indirizzato (in modo condiviso). Termini blasfemi fno a  qualche anno fa ma che, per fortuna, tornano di attualità.

Anche a casa dei “gialloverdi”,  d’altra parte, l’approccio sta cambiando, continuando quello che il PD ha dimostrato di voler fare con le Primarie: indicazioni di un leader espressione non di se stesso ma di una linea, di un gruppo , con gli altri aspiranti leader a sostenerlo nonostante la posizione minoritaria; tutti impegnati – insieme – nel far arrivare proposte, programmi e obiettivi ai cittadini elettori.

I cinque Stelle, d’altronde, non sono da meno. Beppe Grillo non è più il leader dell’associazione M5S costituitasi il 20 dicembre 2017 da Davide Casaleggio e da Luigi Di Maio; al massimo, il Beppe nazionale, ne sarà il garante. Termina la fase eroica del grillismo con l’idea, espressa in modo chiaro dai due dirigenti pentastellati, di un “direttorio”, di fatto un coordinamento nazionale dei coordinatori regionali (simile a quello già sperimentato da Forza Italia). Il tutto inserito in puzzle caratterizzato da regole interne che definiscono ogni minima procedura, ogni passo, ogni proposta e – soprattutto – ogni messa in discussione di scelte operate al vertice.  Un’archiviazione, perciò, di tutto l’armamentario classico del “grillismo”, dai “vaffa day”, ai “meet up”, fino ai “blog” spaccamontagne,… ora diventati “legittima espressione personale”  (sic nel documento vcitato del 2017)  e, sia chiaro, nient’altro. Un ritorno al dettato costituzionale che prevedeva per i partiti caratteri e funzioni ben delineate (1)  . Stessa musica per la Lega, che si è segnalata in questo primo periodo di governo per la sua “affidabilità istituzionale”, il suo dirigismo, la sua compattezza. A breve, portata a casa la “nazionalizzazione” del nome “Lega” a fronte della divisiva dizione “Lega nord”, si procederà (è lo stesso ministro Salvini a comunicarcelo) ad una revisione dei “fondamentali” del movimento ex padano, con eliminazione di ogni traccia di intenzione separatista e di fuga solitaria per il “nord” (concetto tratto da uno dei suoi comizi recenti in Abruzzo).

Quindi, con gli auguri – non di rito ma di cuore – a Bernie Sanders, ci attendiamo che si arrivi al concreto, che si abbia la capacità di comunicare come stanno le cose veramente, come sia diventato un insopportabile nodo scorsoio la pressione della “finanza” locale e internazionale, di come sia complesso e tutto da analizzare il mondo delle attività bancarie, dell’accesso ai finanziamenti, degli investimenti e di come saranno investiti i nostri depositi (piccoli o grandi). Non dimenticando di far capire quanto la “politica”sia diventata insignificante, quasi un orpello ad una macchina che comunque funziona da sola e che si serve della “politica” – al massimo – come filtro per oppositori o contestatori più o meno informati. E mi fermo qui. Lasciando la parola a Bernie Sanders… sperando che qualcuno lo ascolti.

Con il titolo “Bernie con la bava alla bocca” primarie Iowa…Si ricomincia. Gli amici di “Democratici & Riformisti” rilanciano quanto sta succedendo al di là dell’Atlantico e che, praticamente, è passato sotto silenzio tombale qui da noi. Ecco l’articolo, che ci è servito per le riflessioni di apertura.


…Oggi lanciamo la nostra campagna, qui in Iowa e siete pronti per la nostra rivoluzione politica?  Questa campagna non è solo fatta per vincere la ‘Democratic Nomination’, non è solo fatta per sconfiggere Donald Trump, il più pericoloso Presidente nella storia moderna americana, ma con il vostro aiuto stiamo per trasformare questo paese con l’intenzione di creare una economia e un governo che lavori per tutti voi e non solo per l’1%. E voglio augurarvi che questa campagna dica ad alta voce e con orgoglio che i principi che rimarcheranno il nostro governo non saranno l’avidità o la cleptocrazia; non saranno né l’odio né la menzogna; non sarà il razzismo, il sessismo, la xenofobia, l’omofobia e l’intolleranza religiosa. Tutto questo è destinato a cessare. I principi del nostro governo si baseranno sulla giustizia: giustizia economica, giustizia sociale, giustizia razziale e giustizia ambientale. Oggi, vi do il benvenuto per una campagna che parli di particolari potenti interessi, di chi controlla in modo così esteso la vita politica, e vi dico che non tollereremo più l’avidità di Wall Street, l’avidità del sistema aziendale americano e della classe dei miliardari, quell’avidità che ha avuto come conseguenza, qui da noi, una grande disparità di reddito più di ogni altro paese sulla terra, e ciò sta per finire. Noi non saremo più indifferenti al fatto che tre famiglie in questo paese posseggano più ricchezze della metà degli strati più bassi della popolazione americana. E queste famiglie hanno più danaro rispetto a quello posseduto da 160 milioni di americani posizionati in fondo alla scala del reddito, mentre il 20% dei nostri bambini vive in povertà, i veterani dormono all’addiaccio nelle strade e gli anziani in Iowa e in Vermont non possono permettersi di comprare le medicine prescritte dai medici. In America non accetteremmo mai più che il 45% del nuovo reddito prodotto vada coloro dell’1% che stanno in cima…” https://www.facebook.com/berniesanders/videos/629125440846254/UzpfSTEwMDAwMDg2MDU1NTc0NDoyMjAyMzQ1ODI5ODA0MDgx/

Questi sono solo i primi tre minuti dei circa cinquanta che riempiono il primo comizio di Bernie Sanders per la corsa delle primarie Democrats nello stato dello Iowa. E’ proprio il solito “vecchio” Bernie, l’idolo di gran parte dei millenials americani. A sentirlo pare un leone in gabbia, ruggisce contro il corrotto sistema politico-economico americano senza mai lasciarsi condizionare un istante da un minimo di gioco diplomatico.

Non c’è dubbio, dice tante verità. Ma è proprio il caso di prendersela con tutti? Il primo fendente lo mena nei confronti dell’establishment Democrats (Obama/Clinton). Con la sua voce roca che tradisce un po’ di risentimento ricorda loro le stizzose critiche a lui rivolte nel 2016, ovvero quello di essere stato “to be radical and extreme”. L’artificio della retorica lo aiuta a infiammare la folla. “Troppo radicali e estremisti?” si domanda. E da lì si scatena la sua furia da comiziante consumato, snocciolando punto per punto le sue precedenti “issues”: il salario minimo a 15$/ora; un piano per il ricondizionamento delle vetuste infrastrutture civili; una maggiore risolutezza per le politiche ambientali; il varo di un sistema sanitario universale; la riforma dell’amministrazione giudiziaria e carceraria, una più moderna legislazione sull’immigrazione; un limite al strabordante potere dei super delegati arbitri nella convention. Nel 2016 molti di loro optarono per la Clinton, e benché non tradissero il mandato statutario, si guardarono ben bene da rispettare la reale proporzionalità del risultato derivante dal campo.

Questa lunga lista di proposte, le quali vennero spregiativamente giudicate dai suoi oppositori come “radical”, lo porta ad affondare la sua lama chiosando sul fatto che ora esse sono argomento di dibattito politico in ogni parte della nazione, Come dire: “We were right and you were wrong”. Chiude la polemica con un augurio che suona però da epitaffio nei confronti dei suoi generici detrattori, i quali, a suo dire, si sono da due decenni svenduti alla potenza del denaro offerto dai “donors” miliardari: “We want more votes than Trump and Clinton combine”.

Bernie nei rimanenti quaranta minuti elenca pedissequamente le linee di condotta del suo progetto di cambiamento. Lo fa con lo spirito dell’agitatore politico accalorando la platea. Alcuni di queste sono già state riportate precedentemente, se si esclude uno dei suoi principali cavalli di battaglia, la “Tuition-free”, ossia la possibilità da parte dei giovani di accedere alle università americane senza addossarsi il pesante gravame dei costi imposti per la loro frequenza scolastica, accollandoli ai bilanci dei singoli Stati.

In effetti, tra i Democrats, in particolare nella componente moderata, c’è molto imbarazzo. Come si può negare l’esistenza di una accresciuta disuguaglianza di reddito all’interno della società americana senza tener conto delle proposte di Sanders. Come si può sopire il malumore che serpeggia tra la gente, e in particolare tra le nuove generazioni di votanti? Parallelamente, come si possono negare proposte come la “Tuition-free” o il “Medicare for All”? Non si può nascondere il fatto che il governo USA decise di salvare nel 2007 un sistema finanziario portato al tracollo da un gruppo di avide e irresponsabili banche di Wall Street, che accumularono un debito privato enorme speculando su derivati o altri strumenti esotici. Il pubblico erario mise a disposizione del mercato una stratosferica cifra che oscillò intorno ai 5 trilioni di $ tra TARP e 3 QE. Circa 1/5 dell’intero PIL americano. Gran parte delle famiglie statunitensi proprietarie del proprio focolare domestico fallirono, mentre i banchieri si percossero il petto distendendosi al sole delle Bermuda, sorseggiando un daiquiri di hemingwayana memoria.

Democrats moderati più noti e autorevoli nicchiano, per non dire che non hanno nessuna intenzione di servire da pasto a quei due leoni newyorkesi affamati, Sanders e Trump. Hillary e il magnate sindaco di New York, Bloomberg “gave up”, Joe Biden è molto indeciso, un eufemismo per dire che non ci pensa affatto.  Poi, dietro loro una fila di giovani promesse ma, in quanto portatori della loro freschezza politica, sono completamente sconosciute all’elettorato americano. Insomma, non c’è tra questi rampolli un novello Barack Obama.

Ci sarebbe una soluzione di compromesso, Elizabeth Warren, una liberal e come la definisce la cronica politica americana: “she is an establishment woman anti establishment”. Un giano bifronte, senatrice del democraticissimo Massachusetts, Boston, East Coast, ma nata nel rude e povero e tradizionalista Midwest, Oklahoma; una brillante accademica di Harvard, ma proveniente da una famiglia di basso ceto.

https://democraticieriformisti.wordpress.com/2018/11/03/mid-term-usa-18-sen-elizabeth-herring-warren-la-democrat-che-fa-impensierire-trump/

La Warren gode di un ampia stima per la sua competenza nelle materie economiche, finanziarie e soprattutto bancarie – anche Obama si dovette inchinare a lei – ma è odiatissima da Wall Street. Ne hanno ben donde gli gnomi di Manhattan: alla Lizzy non si possono far vedere lucciole per lanterne. Non si escludono commenti sarcastici nelle loro affollate trading room del tipo: “meglio un folle socialista come quel matto di Bernie piuttosto che quella cimiciosa rompiscatole della Warren. A Sanders faremo fare la fine di quel suo compagno visionario di McGovern nel 72, quando fu umiliato da Richard Nixon”.

Appunto, George McGovern 72, un disastro. Cerchiamo una soluzione di compromesso. A Bernie va riconosciuto di aver spostato l’asse politico dei democrats a sinistra, ma nel caso prevalesse nelle primarie, difficilmente vincerebbe contro Trump.

Appunto, George McGovern 72, una catastrofe. Quando i giovani al ritorno dalla drammatica esperienza del Vietnam, delusi e amareggiati fecero circolare tra loro uno slogan cinico e arrendevole: “Why change a dick in the middle of a screw. Go for Nixon in nineteen seventy-two.” Non lo traduco, troppo scurrile.

Appunto, George McGovern 72, una resa incondizionata, ci serva da memento. Poiché, se cambia l’America cambia il mondo e non c’è Cina e Germania che tenga, con buona grazia del TAV di Chiamparino e Salvini.

(1)  Articolo 49 . Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale [cfr. artt. 1898 c. 3XII c. 1].

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