Il Papa si affaccia al balcone da Roma come rappresentante di tutte le chiese cattoliche
nel nostro caso quelle di Alessandria
ma prima cominciamo dalla chiesa delle chiese
Il duomo intestato ai S.S. Pietro e Paolo
Esterno
Interno
La cattedrale antica
È travagliata la storia della cattedrale di Alessandria.
Le prime notizie risalgono alla seconda metà del XII secolo, quando fu edificata, tra il 1170 ed il 1175, una prima chiesa cattedrale, dedicata a san Pietro apostolo.
La chiesa risultò ben presto troppo piccola così si procedette, verso la fine del secolo XIII, a sostanziali interventi di ingrandimento e adattamento ad opera del faber et architectus Ruffino Bottino da Casale.
L’antica cattedrale resistette fino agli inizi dell’Ottocento, quando fu demolita per ordine di Napoleone tra il febbraio e il luglio del 1803 nel quadro della riorganizzazione funzionale urbana della città voluta dall’Imperatore francese.
Disegno di Luigi Visconti
Rappresentazione grafica raffigurante il tessuto urbano di piazza Reale di Alessandria (in seguito piazza della Libertà) verso la metà del secolo XVIII. In evidenza, al centro, l’antica Cattedrale
Ora, procediamo con le chiese dei 4 spalti spalti di Marengo, Rovereto, Gamondio e Borgoglio su cui si fece grande Alessandria:
Prima di tutte, Santa Maria di Castello
Antonella Perin e Carla Solarino
Santa Maria di Castello, in “Chiese, conventi e luoghi pii della città di Alessandria”, BCA Studi e ricerche, n. 7, Alessandria, s. d.
La chiesa di Santa Maria di Castello può essere considerata un simbolo della storia urbana di Alessandria. Viene indicata, infatti, come luogo più antico della città in assenza visiva del polo religioso per eccellenza, l’antico duomo. In occasione di interventi di restauro effettuati nel 1887 e di scavi archeologici databili tra il 1970 e il 1971, sono state rinvenute tracce di un edificio preromanico ad aula absidata, ascrivibile al periodo tra l’VIII e il IX secolo. La scoperta conforterebbe il legame storico con l’antico insediamento di Rovereto, documentato sin dall’VIII secolo e ricordato come “curtis regia” del tardo IX secolo. La fase costruttiva romanica, preesistente a quella attuale, iniziò nell’XI e terminò nel XII secolo con la realizzazione del transetto e fu resa possibile grazie alle donazioni di fondi da parte di famiglie alessandrine (conti Canefri).
L’edificazione della chiesa va posta in relazione con le dinamiche dell’insediamento e del popolamento del Borgo Rovereto, sede di mercato, presso il ponte sul Tanaro, difeso dal “castrum” fortificato. All’interno di questo primo nucleo e del suo polo religioso si incrociarono privilegi reali, pretese di gruppi nobiliari e diritti di diocesi vicine.
Parte centrale della chiesa
Riguardo al castello associato al nome della chiesa (scrive Claudio Zarri), “non esiste documentazione iconografica attendibile, ma solo tarde immagini convenzionali con schematiche visioni di edificio turrito”. All’epoca i castelli consistevano, per lo più, in rozze cerchie difensive ed è verosimile che la chiesa fosse compresa in un’area protetta da terrapieni e palizzate.
I religiosi che nella prima fase officiarono a Santa Maria furono probabilmente legati ai canonici di Santa Croce di Mortara (1082). Dopo una fase di decadenza, sia per l’Ordine che per le strutture edificate, si registrò un periodo di rinascita intorno alla metà del XV secolo con il passaggio ai canonici regolari di Sant’Agostino, i Lateranensi detti anche Rocchettini, che nel 1449 incorporarono i canonici di Mortara (bolla di Papa Nicolò V).
In questo periodo alcune famiglie emergenti del quartiere di Rovereto, quali i Bianchi, i Dal Pozzo, i Panizzoni e gli Inviziati, diedero vita alla fase più fiorente della storia della chiesa sotto il profilo architettonico e artistico. Nel periodo 1449-1540 si verificò, infatti, una fase di sostanziale riprogettazione dell’edificio, ossia il rifacimento del campanile, la costruzione dell’abside, della cappella maggiore, delle navate laterali e del chiostro, accompagnata da significativi interventi sul piano della decorazione e della dotazione di dipinti, sculture e arredi.
Nel 1545, la chiesa e il cimitero adiacente vennero consacrati e l’alto rilievo in pietra policroma della “Madonna della Salve” venne collocato nell’ottava cappella interna. Una successiva fase abbraccia circa tre secoli e mezzo di storia in cui si consolida la struttura del complesso conventuale che nel 1629 ottenne il riconoscimento di abbazia dei Canonici Lateranensi da parte di Papa Urbano VIII.
Nel 1798 il monastero venne soppresso e la chiesa ebbe esclusivamente funzione di parrocchia. Quindi la struttura conventuale venne utilizzata come ospedale militare e caserma. Nel 1824 venne ceduta ai Padri Somaschi e, in seguito, all’Opera Pia De Rossi; nel 1834 le suore di Carità aprirono nel chiostro una scuola femminile per indigenti. Negli anni delle guerre di Indipendenza l’amministrazione militare riprese possesso del convento.
In quanto a sculture, dipinti e arredi della chiesa è già stato menzionato il gruppo della Madonna della Salve che veniva indicata, a detta di alcuni storici, come “Madonna dello Spasimo” e solo successivamente Madonna della Salve. Il culto popolare trovò nelle iniziali della parola Salve una sintesi di devozione alla Madonna, facendo sorgere l’espressione “Sempre Alessandria La Vergine Esaudisce.”
Altro documento straordinario è la lapide sepolcrale di Federico Dal Pozzo del 1380, posta nella prima cappella a destra; sullo stesso lato, l’affresco della “Madonna con il Bambino tra i santi Onofrio e Giovanni Battista” del XVI secolo, attribuito a Giorgio Soleri. E, ancora, il monumento funebre di Vespasiano Aulari (1592), nonché il gruppo in terracotta policroma del Cristo deposto nel sepolcro (XVI secolo). In corrispondenza dell’arco trionfale si trova il crocifisso ligneo policromo attribuito a Baldino di Surso (1480). Gli stalli lignei del coro risalgono alla fine del XVI secolo. Merita un cenno il pregevolissimo affresco della sala capitolare, all’interno del chiostro, che rappresenta la grande “scena” della crocifissione. Fu scoperto solo nel 1923, sovrapposto a un altro di precedente fattura.
ARCO DI TRIONFO
costruito dagli alessandrini per ringraziare e festeggiare la
vittoria de
La battaglia di Alessandria
(Testo di Filippo Orlando)
Via san Giacomo della Vittoria ad Alessandria è una strada lunga e stretta affondata nel centro storico, nell’incastro di vie delimitanti il vecchio ‘recetto’ medievale della città. Al centro circa del percorso viario, addossata alle altre case di antico segno gentilizio, la chiesa di san Giacomo, costruita per onore della vittoria militare degli alessandrini a danno degli angioini, avvenuta nell’anno 1391. Di tutto questo gli alessandrini ormai hanno perso memoria. Bisogna, infatti, tornare alla fase finale del basso medioevo italiano, nel XIV secolo, quando il conflitto mai sopito fra impero e papato dilaniava le signorie del nord Italia, signorie che erano troppo economicamente floride per essere pienamente soggiogate dai grandi poteri ‘universali’, in lotta ormai secolare e troppo militarmente deboli per non schierarsi a favore di uno dei contendenti dominanti la scena.
L’Italia del Basso Medioevo è dominata dallo scontro fra papato e impero, fra guelfi e ghibellini, scontro che dilania il tessuto sociale delle città e prepara l’età delle signorie e delle compagnie di ventura. E’ in tale contesto che matura lo scontro militare detto ‘Battaglia di Alessandria’. La lotta fra guelfi e ghibellini farà da sfondo alla lotta, ormai molto accesa a fine trecento, per il dominio del nord d’Italia.
Nel giro di pochi decenni si succedono varie guerre e battaglie. In tali conflitti, nel nord Italia prende il sopravvento il signore di Milano Gian Galeazzo Visconti. Quest’ultimo si allea, nel 1387, con il signore di Padova Francesco Novello di Carrara, al fine di conquistare le città del veneto e Verona stessa, dominata da Antonio della Scala. L’alleanza con Francesco Novello avrebbe dovuto portare Verona ai Visconti e Vicenza al Novello, ma Gian Galeazzo, approfittando della sua superiorità militare, spodesta le città degli Scala e le città del Novello rompendo con quest’ultimo ogni alleanza. Il gioco spregiudicato porta in dote ai Visconti Padova, Belluno e Feltre, cedendo Treviso alla Repubblica di Venezia.
Gian Galeazzo Visconti
Ormai Gian Galeazzo Visconti è il più importante sovrano del nord della penisola italiana. Nasce così una lega contro il Visconti che tiene insieme Novello di Carrara, la Repubblica di Firenze, Stefano III di Baviera e Giovanni III D’Armagnac. Il Visconti risponde a questa nuova lega, nata per contrastare le sue mire di espansione, chiedendo a Carlo VI di Francia l’arbitrato sulle contese italiane. Le ostilità si aprono nel 1389 con la lega anti-viscontea, guidata dal mercenario inglese Giovanni Acuto che, partendo da Padova, muove alla conquista della Lombardia. Dalla Francia il Conte D’Armagnac, attraversando le Alpi, entra nella pianura piemontese conquistando vari castelli. E’, tuttavia, a Castellazzo che le truppe del D’Armagnac vengono respinte da un contrattacco degli occupanti, causando alle truppe francesi la perdita di numerosi cavalli e tende da campo. Nel frattempo Gian Galeazzo Visconti, per organizzare un esercito efficiente
l’avanzata nemica, è costretto a vendere Serravalle Scrivia per 22000 ducati alla Repubblica di Genova.
Il capitano di ventura assoldato dal Visconti è Jacopo Dal Verme, nato a Verona nel 1350 e passato al soldo e ai servigi della Repubblica di Venezia e dei signori di Saluzzo, degli Scaligeri e dei Visconti. Morirà poi, dopo aver rotto con i Visconti di Milano, appena ritornato ai servigi militari della repubblica di Venezia, colto da malore nel proprio letto nell’anno 1409.
Torniamo adesso alla battaglia: il conte D’Armagnac giunge alle porte di Alessandria e la pone sotto assedio. Alcuni cittadini alessandrini, avuta notizia dell’arrivo delle truppe viscontee del Dal Verme, vanno incontro al condottiero per informarlo dell’esatta posizione delle truppe francesi asserragliate presso Alessandria. Giovanni III D’Armagnac conta su un’avanguardia di mille cavalieri, molto stanchi per le precedenti scaramucce, e sul valore di capitani d’arme come Rinaldo Gianfigliazzi, Giovanni Ricci, Aimery di Severac, Giovanni Dudain, Mottino della Pezza e François d’Albret.
Le truppe viscontee del Dal Verme sono organizzate con almeno 2000 cavalieri, 4000 fanti e numerosi balestrieri. Vi sono valorosi condottieri e nobili, come Ugolotto Biancardo, Brandolino Brandolini, Leonardo Malaspina, Ceccolo Broglia, Anderlino Trotti, Calcino Tornielli, Benzio Buffazzi, Tommaso Ghilini, Paolo Savelli, Antonio Balestrazzo, Filippo da Pisa.
Lo scontro decisivo avviene nei pressi di Castellazzo il 25 giugno del 1391. La battaglia dura complessivamente tre ore, nelle quali la cavalleria del duca D’Armagnac si difende dagli attacchi in maniera valorosa, cercando più volte di non farsi accerchiare dalle soverchianti truppe nemiche. Ma la stanchezza dovuta alle scaramucce militari dei giorni precedenti e le capacità di direzione del Dal Verme, oltre che la disparità enorme delle forze in campo e la bravura inesorabile dei balestrieri, (ai tempi arma micidiale contro la cavalleria), hanno ragione delle forze francesi che sono letteralmente sgominate. Cade, sotto un colpo che lo porterà alla morte, pure Giovanni III D’Armagnac. La disfatta militare è netta, ma non decisiva per le sorti dell’intero conflitto. Certamente il Visconti impedisce agli angioini e al duca di Baviera di invadere il proprio territorio, ma non riesce a ottenere una vittoria definitiva per la primazia sull’Italia e su Firenze in particolare. Essa giungerà solo negli anni successivi.
La pace viene firmata l’anno successivo nel 1392 e Gian Galeazzo Visconti restituisce Padova a Francesco Novello da Carrara, ma si assicura il controllo di Bassano, Belluno e Feltre. Nella sostanza la signoria milanese non risulta ridimensionata e continua ad accarezzare il sogno di riunificare sotto di sé l’intera Italia settentrionale. Il primo maggio 1395 il Visconti ottiene, inoltre, dall’imperatore Venceslao IV di Boemia, il titolo di duca di Milano, l’anno successivo quello di conte di Pavia e nel 1397 quello di duca dell’intera Lombardia.
La costruzione della chiesa di san Giacomo della Vittoria
Dopo la brillante vittoria delle truppe viscontee e degli alessandrini guidati da Jacopo dal Verme sui francesi del duca D’Armagnac, grazie al clamore suscitato dall’episodio militare è lo stesso condottiero veneziano a prendere l’iniziativa per la costruzione di una chiesa celebrante l’importante episodio bellico. Ricorrendo al bottino conquistato, il Dal Verme compra alcune case e poi le fa abbattere, recuperando così lo spazio utile alla costruzione del monumento. Il nuovo luogo di culto viene denominato “San Giacomo della Vittoria” per celebrare così il conflitto concluso con successo e il capitano di ventura che aveva guidato le truppe
Chiesa di San Giacomo della Vittoria
Interni
Chiesa di nostra signora del Carmine
esterni
In via Savonarola 17
La costruzione della chiesa di Nostra Signora del Carmine iniziò intorno al 1320, presto sostituita nella seconda metà del secolo con un altro edificio, più grande e con l’aggiunta di un chiostro, per opera dei Padri Carmelitani, che erano presenti sul territorio già alla fine del XII secolo e che con il contributo di alcune ricche famiglie della città restaurarono la struttura. La costruzione fu ampliata a partire dal 1466, con l’aggiunta della cappella maggiore, ma i lavori continuarono fino al XVI secolo, portando alla realizzazione delle navate, delle altre cappelle e della sacrestia (1576).
Nel XVIII secolo la chiesa andò incontro a un periodo di forte degrado, quando dal 1745, al tempo della guerra di successione austriaca, essa fu ridotta a ospedale militare e subì gravi manomissioni. Sul principio del 1800 fu adibita a sede della Guardia Nazionale dal Governo Napoleonico, fino a quando nel 1865 iniziò una fase di restauri che durò fino al 1954, con l’intento di restituirle la sua originaria bellezza gotica. Tuttavia, i restauri hanno modificato l’aspetto originario in nome di una facciata gotica stereotipata, tripartita e conclusa da svettanti pinnacoli e adornata da un portale strombato, in nome dello stile gotico originale.
All’interno la chiesa è suddivisa in tre navate da pilastri cruciformi, che sostengono gli archi e le volte a crociera costolonate. Le navate laterali conducono a cappelle a terminazione piana, mentre quella centrale termina in un’abside poligonale.
Sono diversi i dipinti custoditi nel tempio, opera di artisti di scuola piemontese come Giovanni Martino Spanzotti e Gaudenzio Ferrari, risalenti al periodo 1550-1560. Si ricordano una Madonna del Rosario (secolo XVI), un polittico del XVI secolo con scene della Crocifissione e Santa Lucia tra le Sante Barbara e Chiara d’Assisi.
INTERNI
Chiesa di San Lorenzo
esterni
Chiesa di San Lorenzo
Notizie
Una chiesa col titolo dei Santi Lorenzo e Clemente esisteva in Alessandria già in età prossima alla fondazione della città.
Nel 1347-1350 avviene l’unione della chiesa urbana di San Lorenzo con quella di Santa Maria della Corte di Castellazzo Bormida, per cui i religiosi che officiavano la chiesa di Castellazzo si stabilirono in Alessandria e la chiesa parrocchiale di San Lorenzo fu denominata Collegiata di Santa Maria della Corte. Nel 1565 la visita pastorale segnala l’esistenza di problemi alle strutture dell’edificio (mancanza del pavimento e del tetto), per cui nel 1580 la chiesa viene sottoposta a un parziale intervento di restauro.
Nel 1765 l’antica chiesa viene riunita alla Collegiata di Santa Maria della Neve, costretta a lasciare il quartiere di Borgoglio in seguito all’edificazione della Cittadella. Da questa unione ha origine la chiesa parrocchiale attuale. Il progetto si deve all’architetto Giuseppe Domenico Trolli e nel 1770 furono ultimati i lavori.
La pianta a croce greca impostata su una base ellittica, con la riduzione del numero degli altari laterali e la compressione dei vani d’angolo, spinse l’architetto Trolli ad adottare il linguaggio barocco.
Nel 1770 il pittore Pietro Antonio Pozzo iniziò la decorazione pittorica degli interni, di cui si ricorda l’Assunta nella volta centrale. La chiesa fu infine consacrata dallo stesso vescovo De Rossi il 26 luglio 1772, col titolo di “Insigne Collegiata di Santa Maria della Corte e della Neve, vulgo San Lorenzo”. L’attenzione del vescovo continuò anche successivamente, come testimonia il dono da lui effettuato del dipinto che raffigura San Francesco in gloria (1775), ancora conservato nella cappella di San Francesco di Sales; e comunque fino agli anni della dominazione francese la chiesa si arricchì continuamente di opere d’arte piemontesi e lombarde.
La cosiddetta “età francese” (1807-1814) non arrecò particolari problemi alla chiesa: San Lorenzo vide conservata la propria funzione.
Alla fine dell’Ottocento fu eseguito un restauro generale dell’edificio.
Chiesa di San Lorenzo
Interni
Chiesa di Santo Stefano
Esterni
Madonna del Suffragio
Via Pacinotti
Interno
ESTERNO
Chiesa di Sant’Alessandro
Notizie
La chiesa di S. Alessandro è una delle migliori espressioni dello stile barocco alessandrino.
La posa della prima pietra risale al 9 settembre 1742, mentre la chiesa viene consacrata il 7 maggio 1758. Inizialmente viene dedicata ai Santi Alessandro e Carlo. Sant’Alessandro si identifica con Alessandro I, papa e martire al tempo dell’imperatore Traiano. L’altro santo si identifica con san Carlo Borromeo, canonizzato nel 1810.
Tornando alla chiesa, essa dal principio è officiata dai regolari di san Paolo, detti Barnabiti entrati in Alessandria intorno al 1641. Soppressi i Barnabiti, nel 1802, la chiesa viene provvisoriamente concessa Al capitolo della cattedrale, mentre si sta procedendo ai lavori di restauro della chiesa di San Marco, fino al 1810.
La chiesa sembra essere stata progettata da Domenico Caselli, realizzata grazie alle elargizioni di due vescovi alessandrini fratelli, Francesco e Gian Mercurino Gattinara.
La facciata parzialmente rifatta nel 1845 dall’architetto Gaetano Giaccheri, con la sistemazione dell’ordine inferiore e ultimata nel 1908, è spartita in due ordini e presenta superfici concave e convesse, cornici aggettanti ed andamento spezzato, colonne litiche e paraste; sull’attico la statua di sant’Alessandro.
L’interno è distribuito in un ampia navata, con quattro cappelle laterali e presbiterio.
Sulla parete sinistra si nota un notevole crocifisso ligneo del Quattrocento. La decorazione, eseguita nel 1903, è in prevalenza opera di Rodolfo Gambini (1855-1928). Gli affreschi della volta sono inseriti in riquadri posti in corrispondenza delle vele delle finestre.
Pregevoli ancora sono il coro ligneo (fine sec. XVI) proveniente dall’antica cattedrale e tre tele dell’abside: al centro il Redentore, del 1786-87, iniziato da Francesco De Laurentis e completato da Saverio De Rosa, quest’ultimo autore del San Carlo Borromeo (a destra) e del Sant’Alessandro papa (a sinistra).
Notevoli la bussola e i confessionali rococò.
Infine nella cantoria è collocato un pregevole organo, risalente al 1842, fabbricato da famoso liutaio pavese Giovanni Battista Lingiardi.
Esterni
Interni
Chiesa di San Francesco di Assisi in Alessandria
Ora in via Tripoli per motivi di sicurezza
Chiesa di San Francesco dei Cappuccini
In via San Francesco
Interno della chiesa di San Francesco Cappuccino
Chiesa di San Rocco
Vestigia degli Umiliati in Alessandria
Gli Umiliati in città furono presenti in Alessandria dal 1189 al 1571, data dello scioglimento dell’Ordine. Le capacità e le competenze dell’Ordine contribuirono alla crescita dell’economia locale e permisero agli Umiliati di accumulare ricchezze e assumere molte importanti funzioni nell’amministrazione del Comune.
Potremmo pensare che il motto dello stemma della città “Alessandria umilia i superbi ed esalta gli umili” abbia portato fortuna per lungo tempo all’Ordine. Anche la venerazione di san Baudolino fu incoraggiata dagli Umiliati che, secondo alcune fonti, organizzarono il trasporto del corpo del santo dalla chiesa di santa Maria di Foro in una nuova chiesa in città che fu dedicata proprio a san Baudolino.
La fagia (struttura organizzativa formata da diverse case dipendenti da una casa madre) alessandrina introduce nuove tecniche per la lavorazione dei tessuti e diventa fonte di nuove risorse economiche per la città. Così, grazie alla capacità di mediare e convincere le parti cittadine ad operare nell’interesse di tutti, accresce la propria importanza nella vita comune. I contatti commerciali permettono di fondare nuove case tanto che, nel primo quarto del XIII secolo, dipendono dal preposto alessandrino le case di Acqui, Asti, Casale, Tortona, Alba, la chiesa Opificio di Santa Marta e san Germano a Genova e la chiesa di san Donato a Firenze.
Gli Umiliati sono presenti in Alessandria fino allo scioglimento dell’Ordine, avvenuto nel febbraio del 1571 ad opera dell’unico papa alessandrino: san Pio V. L’opportunità viene fornita da un attentato all’arcivescovo di Milano, san Carlo Borromeo. I beni dell’Ordine sono incamerati dalla Chiesa e, pare, anche utilizzati per finanziare la guerra contro i Turchi culminata nella battaglia di Lepanto.
L’importanza dell’Ordine, oltre che dal ruolo nella politica cittadina e dai numerosi possedimenti nel contado, è testimoniata anche dal possesso di sei chiese in città. Tra queste resta la chiesa attualmente dedicata a san Rocco già intitolata a san Giovanni del Cappuccio. La chiesa, danneggiata durante la guerra di successione austriaca, ha subito interventi di ristrutturazione che ne hanno modificato la struttura originale.
Nell’isolato di cui fa parte la chiesa, compreso fra via Lumelli e piazza san Rocco, si trovano i resti dei laboratori medievali e un’ampia sala per le attività manifatturiere nota come Tinaio degli Umiliati. “L’edificio è detto “tinaio” in quanto forse nelle vasche (o tini) avveniva la colorazione dei tessuti “umiliati” che sui mercati europei avevano allora ottimo mercato. Il Tinaio è suddiviso in due navate da pilastri cilindrici con capitelli cubici, smussati alla base, che reggono volte a crociera a spigoli vivi. La struttura risale al secolo XIII e ancora si impone per l’ampiezza di circa 300 mq per la sua solidità e le sue linee severe. Si tratta di un seminterrato, ma con l’inizio a livello strada, a cui si accede da via Lumelli.
In questo locale si svolgeva forse l’operazione della torcitura e, forse, vi erano installate delle “gualchiere” che sfruttando l’energia idrica fornita da una diramazione del canale della Rosta parallela a via Lumelli, eseguivano meccanicamente la follatura dei panni-lana” (da “Alle radici di Alessandria” pubblicato da Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria).
A tutto questo elenco di chiese è necessaria una precisazione
che riguarda il duomo o meglio l’esterno del suo angolo di destra.
Li è visibile la lapide che riguarda la lupa di san Francesco e spiega che la lupa – dopo una notte di preghiera del santo – iniziò a giocare con i bambini che prima voleva mangiare.
La lapide fu esposta dopo un solenne te deum
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