Il colonialismo monetario nell’africa orientale italiana

Quando l’Italia si affacciò sulle coste del mar Rosso e del Corno d’Africa, avviando la sua espansione coloniale, dovette combattere non solo gli abissini, i mahdisti, gli anglo-egiziani e i francesi, ma anche un avversario molto forte in loco: il tallero di Maria Teresa.

Questa grossa moneta d’argento, coniata sotto il regno di quella imperatrice, non solo nella zecca di Vienna ma anche in quelle di altre città europee, fra cui Venezia, Milano e Firenze, era diventata strumento di pagamento e di tesaurizzazione nell’area comprendente Sudan, Abissinia e Somalia.

Il tallero di Maria Teresa era diventato il principale mezzo di pagamento nei commerci fra impero ottomano e stati europei, soppiantando il non meno famoso tallero per il Levante veneziano.

Secondo alcuni esperti, il successo del tallero in Oriente e successivamente in Africa era dovuto non solo al suo intrinseco (833/1000 di argento), ma anche alle caratteristiche estetiche: la figura dell’imperatrice ivi raffigurata andava incontro ai canoni estetici femminili di quelle genti, inoltre la presenza di una spilla all’ altezza della spalla destra permetteva di controllare, toccandola con il pollice, il grado di usura della moneta e quanto quindi fosse calante di peso.

Il tallero si diffuse prima nell’impero ottomano, poi, portato dai pellegrini verso La Mecca, nella penisola arabica e quindi, grazie ai commerci fra le due sponde del mar Rosso, sulla costa africana.

Quando nacque la colonia Eritrea (1890), il governo italiano, non potendo battere direttamente il tallero, ancora emesso dalla zecca di Vienna su commissione di privati, decise di coniare un proprio tallero d’argento (1891), del valore di 5 lire, suddiviso nei seguenti sottomultipli sempre della stessa lega,4/10, 2/10 e 1/10, e di bronzo, 2 e 1 centesimo.

Era una moneta superiore a quella di Maria Teresa (28 grammi e 855/1000 di argento) e al diritto riportava l’effigie coronata di Umberto I, era una bella moneta, ma non ebbe successo.

Già nel 1898 vennero demonetizzati i sottomultipli d’argento e progressivamente scomparvero anche i talleri, sia perché ritirati dalla circolazione, sia perché dirottati verso mercati dell’argento più favorevoli.

Non migliore fortuna ebbe il tallero eritreo, battuto nel 1918, sempre del valore di 5 lire, che pur essendo dello stesso peso del primo era di una lega inferiore (800/1000).

Questa moneta, dopo un breve periodo di circolazione, venne ritirata, dando spazio al sempre verde tallero di Maria Teresa.

Nell’impero etiopico, o meglio nell’area di Addis Abeba, circolava il tallero di Menelik, una bella moneta d’argento, di buona lega, con l’immagine del negus Menelik II, ma la sua circolazione era vietata in Eritrea. Si poteva accettare il predominio di una moneta straniera europea non certo africana, tanto più che l’Italia tendeva ad egemonizzare l’Abissinia.

Nel 1934, la zecca di Roma stipulò un accordo con quella di Vienna che le consentì di gestire per 25 anni i coni del tallero di Maria Teresa e quindi di batterlo.

Ciò permise di finanziare la imminente guerra di Etiopia (1935/36) e di dare successivamente una spinta economica in quella che era diventata l’Africa Orientale Italiana.

Nella nuova colonia, pur essendo stata dichiarata valuta legale la lira, si continuò a far circolare talleri coniati a Roma fino al 1939(più di 19 milion di pezzi).

Con la perdita dell’impero, dopo il secondo conflitto mondiale, il nostro paese perse il diritto di battere tale moneta, che comunque continuò a circolare nell’area somalo-etiopica almeno fino al 1950.

Nel 1908 nacque la seconda colonia italiana, la Somalia. Nel 1909, per sostituire i talleri di Maria Teresa, le rupie indiane e le bese di bronzo di Zanzibar, Muscat e Mombasa, il governo italiano autorizzò l’emissione di bese, con un rapporto di 150 per tallero.

Nel 1910 venne introdotta la rupia italiana d’argento con i relativi sottomultipli da mezza e da un quarto, sempre della stessa lega.

La moneta era divisa in 100 bese, valeva 8 lire del regno d’Italia ed era agganciata al sistema monetario inglese introdotto in Uganda e in Africa orientale.

La rupia italiana doveva sostituire il circolante precedente, ma le quantità battute risultarono sempre insufficienti alle esigenze della colonia, tanto che nel 1911 venne prorogato il corso legale del tallero di Maria Teresa, che comunque avrebbe continuato ad essere usato dai nativi anche dopo, nonostante i divieti.

La debolezza dell’economia italiana e le conseguenze economiche della prima guerra mondiale portarono al progressivo ritiro delle rupie, sostituite da monete da 5 e 10 lire d’argento (835/1000), del peso rispettivamente di 6 e 12 grammi.

Nel 1936 la Somalia entrerà a far parte dell’Africa orientale italiana con le relative conseguenze anche dal punto monetario.

Egidio Lapenta

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*