Spesso e volentieri, a sinistra e non solo a sinistra, si preferisce di un evento negativo o di un fenomeno inspiegabile e inafferrabile, che contraddice dogmi e certezze radicate nei comportamenti e nelle credenze, rimuoverne gli accaduti e porli in una immaginaria soffitta dove possano essere silenziosamente esorcizzati. Ma questo atteggiamento risulta essere negativo , cancella alcune problematiche che debbono essere analizzate, che debbono costringere una organizzazione ad indagare il reale e ad adattarvisi per meglio perseguire i propri obiettivi strategici di fondo. Credo che questo sia il caso lampante del rifiuto della vaccinazione covid negli anni 2020 e 2021. Il movimento che ha contrastato in maniera decisa e astiosa la necessità di superare la malattia con forti campagne vaccinali, movimento detto No Vax, che è risultato composito e sostenuto da forze in vario grado organizzate e di opposto orientamento politico, a parere di chi scrive, è il risultato di un fenomeno che sarebbe sciocco demonizzare e derubricare a semplice pazzia del momento. La società si è spaccata fra favorevoli e contrari alla vaccinazione, fino a determinare una incomunicabilità fra gli opposti fronti; questione che in certi casi ha spaccato famiglie, paesi, forze politiche e determinato divisioni nel posto di lavoro, e ha denotato uno scollamento fra i vertici delle istituzioni e il sentire di vasti strati della popolazione. Le ragioni del movimento anti-vaccinale avevano certo motivazioni evidenti e giustificate nella critica della poca trasparenza con cui i grandi potentati farmaceutici impongono prezzi e cure ai poteri pubblici; mi sento altresì di affermare che vi è stata da parte dei governi poca sensibilità verso un rilancio del sistema sanitario pubblico, che avrebbe consentito un intervento meno invasivo rispetto alla libertà di mobilità generale. Si sono avanzate tesi, da parte del movimento, spesso e volentieri o peregrine o poco informate sulle tecniche mediche, si è sparsa in più direzioni una cultura del complotto e del supposto dominio totale sulle vite di poteri tanto pervasivi quanto invincibili. Da parte delle istituzioni e dei grandi giornali vi è stata una risposta che ha demonizzato ogni critica, ci si è lanciati da parte di questi in una caccia alle streghe, tanto impegnativa quanto scarsa nei risultati, e non si è avuta la sensibilità di aprire un dialogo con le parti più dialoganti del dissenso, a partire dalla ammissione che si poneva sul terreno un dissidio fra il diritto alla cura e la violazione del diritto, anche esso sancito costituzionalmente, alla mobilità individuale e collettiva. Tuttavia il punto mi pare questo, che cosa ha dato origine ad una esplosione di sentimenti così forti, contrari al principio di condivisione collettiva delle responsabilità in un momento di pericolo sociale? Io credo che la risposta risieda in un piccolo saggio, scritto qualche anno fa da Giorgio Agamben, peraltro intellettuale coinvolto non marginalmente nelle dinamiche del movimento su citato. Il titolo del libro è questo ‘Il mistero del male, Benedetto XVI e la fine dei tempi’, edito da Laterza nel 2013. In tale volumetto veniva analizzata tutta la portata storica e dottrinale del gesto di Papa Benedetto XVI che si era dimesso con così tanto clamore. Lasciando da parte le considerazioni sulla Chiesa che sono contenute nel breve ma intenso saggio di Agamben, ciò che a noi interessa è la disamina che il filosofo fa della crisi di autorevolezza che investe la Chiesa e anche le istituzioni laiche, ovvero lo Stato e le istituzioni culturali e di impresa. Si è determinato, nell’arco di quattro decenni o poco più, un vistoso scollamento fra i ceti sociali alti, le relative istituzioni, e la base sociale che non trova più in queste una guida, una risposta ai propri problemi, uno strumento per agire nel reale e elevare la propria condizione sociale. Il potere ha perso autorevolezza, ci dice Agamben, e dunque legittimità. Non si tratta di stigmatizzare la corruzione del potere, non è un problema di legalità, come spesso hanno pensato i Cinque Stelle e molti altri prima di loro; si tratta del fatto che vaste masse non credono che il potere attuale debba esercitare tale forza perché non è, appunto, legittimo. Scrive Agamben a pagina 18 del saggio: ‘… il problema della legittimità, … viene liquidato sul piano delle norme che vietano e puniscono, salvo a dover poi constatare che la bipartizione del corpo sociale diventa ogni giorno più profonda. Nella prospettiva dell’ideologia liberista oggi dominante, il paradigma del mercato autoregolantesi si è sostituito a quello della giustizia e si finge di poter governare una società sempre più ingovernabile secondo criteri esclusivamente tecnici’. Ecco, questo mi pare il punto; una società governata da un potere che riduce la politica a mera tecnica della gestione dell’agone del mercato, che, invece, dovrebbe contenere in sé principi di giustizia, sociale e morale, per essere democratica in senso moderno, non può che suscitare rifiuto del potere, forse di ogni potere istituzionale. Appare, inoltre, che la nostra società, nel quale ha dominato dagli anni novanta una concezione neoliberale e tecnocratica del potere politico, abbia causato a livello di vasti strati sociali, una oscillazione fra il desiderio di riempire questo ‘vuoto tecnocratico’ con la riscoperta di un assoluto religioso a cui affidare il fondamento spirituale di un potere collettivo legittimo, e il ricorrere all’ego individuale di una società atomizzata e senza grandi punti di riferimento, per cui tutti siamo sapienti e possiamo contestare tutto. In questa ultima accezione vi è un profilarsi patologico di un orizzontalità del principio di autorità, che consente a tutti di sentirsi medici, architetti, costituzionalisti e legislatori, senza però sentire la necessità di approfondire i temi e di accettare un confronto con tesi opposte. Ormai, con il delirio del Web, ognuno si sente in grado di emettere sentenze ma al riparo da ogni verifica logico fattuale. Il discutere democratico, del resto, si basa sulla necessità che gli interlocutori siano padroni del logos per interloquire fra loro, e che sia chiara la possibilità, attraverso il logos stesso, di definire il vero. Senza metodi di discussione razionali non vi può essere una discussione democratica e una ricomposizione sociale dentro i confini di un potere collettivo. Siamo, dunque, di fronte a un manifestarsi della crisi sociale e culturale che mina le basi del vivere democratico. L’idea della disintermediazione sociale, concetto che era molto caro ad un politico fiorentino un po’ di tempo fa, provoca l’isolamento del potere ristretto in un vertice, rispetto ad una società atomizzata che tuttavia percepisce ogni manifestazione della autorità come espressione di un dominio senza legittimità, come argomentavamo prima con Agamben. Sono fuori uso, completamente, i poteri intermedi, intesi come quei corpi sociali, partitici e associazionistici, che erano in grado di assorbire spinte contestative e di consentire la partecipazione alla vita democratica, educando al confronto e alla discussione democratica. Un vertice sempre più lontano e in preda a deliri di onnipotenza, una base sociale inquieta e percorsa da pulsioni atomistiche e da un individualismo infantile, e dalla necessità di riscoprire legami sociali che crede di poter trovare solo nella funzione dell’elemento etnico e religioso. In mezzo agli strati dell’alto e del basso della società, un vuoto di partecipazione e discussione democratica di massa che lascia spazio ad una crisi di legittimità del potere democratico che corrode e infragilisce le istituzioni. Questo è il vivere sociale di oggi, come è stata rilevato dalle polemiche forti e dalle contrapposizioni insanabili giunte alla superficie con gli eventi della pandemia da Covid 19. Ne risulta che non sarà la demonizzazione dei vari populismi che servirà a un qualche cosa, semmai ci si potrebbe domandare se la cultura liberale e tecnocratica di cui sopra abbia gli strumenti per affrontare questi temi. E se è stato vero segno di saggezza credere che scomparse le grandi organizzazioni di massa dei partiti e dei sindacati, si potesse rafforzare la democrazia e liberare nuove forze sociali. Il quadro che ne è risultato è desolante e preoccupante per non dire di peggio. Non si può che aggiungere che vi è molto da riflettere.
Alessandria 15-10-2024
Filippo Orlando
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