La Organizzazione Mondiale della Sanità ha scientificamente definito ‘pandemia’ l’estendersi dell’influenza da Covid 19. Ne deriva che quasi tutti gli organi di stampa sono ormai convinti che sia il Corona Virus la causa della crisi economica e sanitaria che è sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, per osservare bene gli eventi, capita spesso che si debba porsi in lontananza rispetto al luogo o all’evento che si pone sotto attenzione. Lo sguardo troppo intensamente rivolto a guardare gli effetti minuti di un fenomeno, l’avvicinarsi troppo ai singoli episodi sminuzzando il quadro generale degli eventi, ci porta a non cogliere la complessità dei processo sociali e la loro intricata interconnessione.
La crisi economica, il restringersi dei commerci internazionali, lo spezzettarsi dei mercati globali dei prodotti e dei capitali, erano effetti già pienamente in atto lungo l’anno precedente, quando già giravano voci allarmate, pur se lanciate nelle sedi ovattate delle autorità economiche e finanziarie, del sopraggiungere di una nuova recessione produttiva e del sovrapporsi di un tremendo crollo dei mercati borsistici. La crisi sanitaria attuale, indotta dal nuovo venuto nella famiglia dei virus corona, non porta altro che all’aggravarsi ulteriore dei dati economici già molto preoccupanti. Si determina così l’incrociarsi fitto di crisi economica e sanitaria e tutto questo determina, grazie alla reazione delle classi dirigenti neoliberali troppo abituate a ragionare con schemi non più adatti alla fase nuova, il fatto che la crisi è ormai generale. Ovvero, senza scomodare Gramsci e il suo termine di ‘crisi organica’, stiamo rapidamente sperimentando la contemporaneità di almeno quattro crisi: economica, sanitaria, politica, sociale.
In questi giorni, in Italia, si è posto in discussione il contrasto fra libertà individuale e potere dello stato centrale di comprimere autoritariamente tale diritto, e, inoltre, si è individuato il conflitto fra difesa dei profitti privati e la difesa del sacrosanto diritto dei cittadini alle cure adeguate al livello del male contratto. In una parola è in questione il principio stesso del nostro vivere civile. E tutto questo non può lasciare indenne l’equilibrio politico generale fra le classi, il rapporto fra stato e mercato, la nostra concezione della democrazia. Mi ha stupito, ad esempio, come si sia ricercato, da parte degli studiosi di medicina, di dare una dato sulla pericolosità e mortalità del virus in termini assoluti, come se lo stesso agente patogeno avesse la stessa incisività in condizioni sociali affatto diverse. La pericolosità del virus è data anche dalla nostra concezione del vivere sociale, del costo dei morti che riteniamo possibile sopportare, se riteniamo importante una vita umana o se sopravanziamo la centralità del profitto. Boris Johnson è stato ‘autorevolmente’ chiaro nel discorso dell’undici marzo; mettiamo in conto che ‘moriranno prematuramente molti vostri cari’ ma non fermeremo la vostra comoda vita in cui siete liberi di consumare come volete, perché il mercato non può fermarsi. L’Italia e la Cina, con difetti, titubanze, sottovalutazioni iniziali, hanno scelto alla fine di intraprendere un’ altra strada, difficile e rischiosa, perché espone alla rappresaglia dei mercati e del crollo del PIL, che però pone al centro la sicurezza sanitaria come primo dovere di uno stato civile. Si pone, inoltre, anche il tema di come si possa conciliare un ritorno alla crescita economica, quindi, alla uscita dalla crisi, e il rispetto della sicurezza sanitaria. Su questo torneremo più sotto.
Voglio, dunque, sostenere come siano in discussione la egemonia delle vecchie classi dirigenti liberali, e inoltre diventano più inconsistenti le grida scomposte della destra religiosa e nazionalista. Il dominio dei mercati finanziari mondiali, la libertà del commercio su tutti i mari, il libero spostamento delle persone, sono poste in discussione ormai dagli atteggiamenti di coloro che hanno dominato in modo imperiale la fase della globalizzazione, ovvero Stati Uniti e Gran Bretagna. Da questa crisi economica si può uscire facendo pagare la contrazione economica ai ceti deboli al fine di salvare la grande finanza e le banche, oppure scegliendo la via di una nuova espansione economica basata sulla crescita della domanda interna alle nazioni, domanda interna sostenuta dal settore pubblico. Ed ecco il dilemma etico che nasce, aggravando tutte le tensioni sociali e politiche che attraversano i nostri sistemi democratici, dalla emergenza sanitaria: se in una fase di recessione economica e contrazione dei commerci mondiali scegliamo politiche ferocemente deflattive è giocoforza che l’ulteriore crisi sanitaria non possa che essere affrontata sacrificando la salute dei cittadini di fronte alle esigenze della economia e della salvezza dei mercati finanziari. Se, altrimenti, intendiamo superare la crisi economica con politiche espansive, potremo rendere compatibile il rilancio della produzione con la sicurezza socio – sanitaria dei cittadini. Ma per fare questo è indispensabile rilanciare il ruolo dello stato in economia, e ciò è possibile solo nel caso in cui poniamo sotto tutela pubblica la grande finanza speculativa internazionale e ne limitiamo conseguentemente il campo d’azione.
In sostanza, ciò che voglio qui sostenere, ciò che mi pare sia il punto che dobbiamo porre sotto luce, è questo; il Corona virus è solo un grande acceleratore storico di una crisi generale del capitalismo neoliberale che si è affermato a fine secolo scorso. Il vecchio sistema non regge più, l’ America non riesce in alcun modo a essere ancora come in passato la spugna che assorbe il surplus commerciale dei paesi europei e della Cina; in conseguenza non è più possibile far pagare costi sociali e sanitari inaccettabili a larghi strati sociali pur di salvare i debiti creati dalla grande finanza speculativa. Infine, l’immissione di denaro creato dal nulla dalle banche centrali a costo di un abbassamento in territorio negativo dei tassi di interesse che divora i bilanci dei grandi istituti finanziari, è una soluzione che è stata temporanea ma che ora non trova più validità di fronte alla stagnazione degli investimenti e alla agonia dei grandi monopoli. Urge un nuovo stimolo alla economia che può essere dato solo dall’intervento diretto degli investimenti pubblici, ma per fare ciò bisogna slegare il destino della finanza pubblica dal ricatto dei mercati speculativi borsistici. Il conflitto politico del futuro verterà sull’obiettivo che si porranno gli investimenti di stato stessi; se essi tenderanno a privilegiare il lavoro e domande sociali inevase, oppure se si darà priorità a spese militari e a consumi voluttuari.
Il ‘tempo che ci è dato di vivere è questo’, pur se vorremmo viverne un altro, ma dobbiamo affrontarlo, pur se esso ci pone domande etiche angosciose, ci lascia il cuore sgomento di fronte alla incertezza derivata dal cambiamento di ciò che era noto. Proviamo ad affrontare le novità di un ‘mondo grande e terribile’, con la coscienza di chi sceglie lucidamente una parte dello schieramento politico sociale, ( per chi scrive il socialismo e il movimento operaio), e vive le proprie passioni con profonda intensità umana.
14-03-20 Alessandria Filippo Orlando
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