I numismatici quando acquistano una moneta, dovendo scegliere, prediligono i pezzi in stato di conservazione elevato. I motivi sono diversi, o perché belle a vedersi o perché spesso quando una moneta è come nuova vale di più.
Se da una parte il fior di conio valorizza una moneta, dall’altra, la patina e un velo di consunzione le conferiscono un fascino unico: chissà quante mani l’hanno stretta, in quante e quali lingue è stata indicata e quante epoche ha attraversato.
Eh sì, perché oggi quando si dice moneta corrente si pensa ad un determinato periodo di circolazione oltre che ad una precisa autorità di emissione. Ma in passato non è sempre stato così.
Attualmente, con i moderni mezzi di comunicazione e l’efficiente organizzazione amministrativa, quando una moneta è dichiarata fuori corso lo si sa in tempo reale e in tempi brevi viene ritirata dalla circolazione.
Le monete di oggi poi sono monete segno e non pezzi garantiti dal loro intrinseco (il metallo nobile contenuto nella lega).
In passato, quando l’autorità ordinava di coniare monete di lega inferiore a quella precedente, prima che gli effetti si sentissero (aumento dei prezzi, rivalutazione della moneta precedente) passava un po’ di tempo, durante il quale il signore o il comune approfittavano del momentaneo vantaggio in termini di maggiori disponibilità di denaro (prodotto dalla fusione delle monete buone).
Nell’antichità e nel Medio Evo la circolazione monetaria era eterogenea, tanto che contemporaneamente potevano girare monete dei sovrani del momento, di quelli passati e di paesi stranieri, l’importante che fossero di buon peso e buona lega. Addirittura nei secoli XVI/XVIII le autorità emanavano gride con le quali fissavano in moneta locale il valore di quelle straniere o dei periodi antecedenti, permettendone così la circolazione.
I controlli riguardavano soprattutto la moneta aurea e quelle d’argento di grosso modulo(diametro), mente i pezzi di mistura (bassa lega d’argento) erano accettati senza grossi problemi anche per venire incontro alle necessità di piccolo circolante dei mercati. La moneta di rame invece raramente usciva dai limiti dell’ambito locale, anche se certi pezzi romani di questo metallo hanno continuato a circolare nel regno di Napoli ancora fino alla metà del XIX secolo.
Alcune monete straniere si sono imposte in vaste aree anche lontane dal loro paese di emissione proprio grazie alle qualità di peso e lega e alla gradevolezza estetica.
Si pensi al tallero di Maria Teresa che ha circolato indiscusso nell’ area compresa fra penisola arabica e Corno d’Africa fin verso gli inizi degli anni Cinquanta del XX secolo, quando ormai l’impero asburgico non esisteva più da decenni.
Gli esperti affermano che l’effigie di Maria Teresa (1717-1780) rispecchiasse i canoni estetici femminili di quelle popolazioni e che il monile che portava all’altezza della spalla permettesse di valutare il grado di usura dei pezzi.
E che dire del reale da otto spagnolo? Ha dato addirittura il nome alle valute di vari paesi del Golfo (ryal iraniano o del Qatar, ad esempio).
La moneta però nella storia ha svolto anche funzioni curiose. Nel museo “Guatelli” di Ozzano Taro, in provincia di Parma, sono conservati migliaia di pezzi della civiltà contadina. Fra questi non mancano le speronelle, o speroni da pasta, i tipici arnesi usati ancora oggi da molte massaie per realizzare tagliatelle e altri tipi di pasta dopo aver steso la sfoglia.
Ma cosa c’entrano le speronelle con le monete? C’entrano, perché alcuni esemplari sono stati realizzati con monete fuori corso, per la precisione, 5 baiocchi di Pio IX, 10 tornesi di Francesco I di Borbone, 5 tornesi di Ferdinando II, suo successore, e 10 centesimi di Umberto I, secondo re d’Italia.
L’unica cosa certa è che queste quattro speronelle provengono da località della provincia di Parma. Però, mentre sul pezzo da 10 centesimi non c’è molto da dire, visto che circolava in tutta Italia, sulle altre monete ogni ipotesi è buona. Certo la moneta di Pio IX può essere giunta nel ducato di Parma dalla vicina Romagna, territorio pontificio fino al 1859. Ma le monete borboniche? Forse sulla scia delle guerre del Risorgimento? O forse no, magari furono usate da qualche mercante che, battendo le campagne da nord a sud, le dava di resto all’andata e le riprendeva in pagamento al ritorno.
Il commerciante poi non è più tornato, per i più svariati motivi, e le monete sono rimaste inutilizzate nei cassetti, insieme ad altre cianfrusaglie, fino a quando non c’è stata la necessità di una speronella nuova o di donarne una particolare ad una sposa, sempre meglio che comprarla.
In che epoca furono realizzati questi arnesi non è facile definirlo, anche se si può ipotizzare un periodo fra il 1870 e il 1940.
Egidio Lapenta
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