Democrazia e crescita culturale

Si è celebrata il 15 settembre scorso la “Giornata Internazionale della Democrazia”, istituita nel 2007 da una Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Tuttavia, l’impressione è che da noi tale celebrazione sia passata del tutto inosservata. Eppure essa è stata preceduta e in qualche modo preparata da un discorso di grande spessore pronunciato proprio sull’argomento dal nostro Presidente della Repubblica, in occasione della cerimonia della 50° Settimana Sociale dei “Cattolici in Italia” il 3 luglio, e dall’intervento -sempre nella medesima occasione- di Papa Francesco il 7 luglio successivo. La nostra politica, invece, se ne è completamente disinteressata, impegnata com’era a polemizzare sul nulla. Se avesse infatti dedicato a questo grande tema anche solo un decimo del tempo sprecato per chiarire i rapporti fra un ministro in carica e una sua accompagnatrice avrebbe ugualmente svolto un’azione molto positiva. Tanta indifferenza nonostante la democrazia sia il problema più importante e più complicato del mondo attuale!

Nella democrazia convivono infatti permanentemente tre livelli tutti indispensabili: quello delle “regole del gioco”, che riguarda il rispetto delle procedure soprattutto per tutelare l’individuo e le sue libertà; quello propriamente “democratico” che ci ha dato il suffragio universale e dunque l’esercizio politico della sovranità popolare; quello della permanente tensione egualitaria delle condizioni di esercizio e di partecipazione.

E’ chiaro che quest’ultimo costituisce l’espressione della democrazia più matura, risultato di un lungo e travagliato processo storico. Lo stato liberale delle ‘origini’ ha infatti al suo centro la tutela delle prerogative dell’individuo ma non la “democrazia politica”. Nessun grande teorico liberale, sostanzialmente sostenitore di una concezione neo-giusnaturalistica e lacunoso annunciatore e sistematore dei “diritti umani”, ha proclamato la necessità del suffragio universale (v. Locke, Kant, Humboldt, Constant ecc.). Per i nostri elitisti (Mosca, Pareto ecc.) e “filosofi dello Spirito” e della “libertà” (Croce, Gentile ecc.) il suffragio universale costituiva perfino un rischio. Sono state le lotte novecentesche per una concreta emancipazione e tutela sociale che hanno reso possibile anche la conquista del diritto di voto per tutti e con esso una permanente tensione verso un effettivo esercizio politico e una generale partecipazione.

Oggi però questa conquista fondamentale di una democrazia, come terreno di conflitti e rivendicazioni economici e sociali, non basta più. Per questo parliamo sempre più spesso di “crisi della democrazia” e assistiamo ad una rischiosa disaffezione nei suoi confronti. L’affermarsi di tendenze e governi poco democratici se non addirittura antidemocratici, la riduzione della democrazia a “democratura”, sono un fenomeno favorito da un ritardo “epocale” che bisogna individuare e colmare. Per non rischiare l’imbarbarimento della società di massa è necessario infatti che la coscienza politica diffusa compia un salto di qualità e affronti i problemi della nuova epoca con una crescita culturale generale. E’ un tempo il nostro in cui la stessa coscienza politica ereditata, per intenderci quella che concepisce la democrazia solo come la dimensione dei conflitti sociali ed economici, rischia di rappresentare una causa non secondaria della crisi della stessa democrazia. Insomma, quello che si vuol dire è che il futuro prossimo (per molti aspetti ormai pressoché ‘attuale’) presenta problemi irrisolvibili con la sola risorsa dell’economico e, perfino, del politico. Se alla società di massa e alla ‘civiltà’ diffusa, all’integrazione metanazionale, alla socializzazione dei processi, all’intellettualizzazione del lavoro non si dà, come ha detto qualcuno, “una sensibilità culturale più alta” la democrazia, intesa come deve essere intesa: il modo più civile ed evoluto dello stare insieme, rischia di essere spacciata.

Naturalmente con questo non si vuol certo dire che la riflessione sugli interessi più stringenti e ‘quotidiani’ basata sulla stessa analisi economica non sia necessaria. Ma l’ “aritmetica degli interessi”, al contrario di ciò che sosteneva Bentham, non può essere ridotta a “egoismo calcolato” e deve invece spingersi sempre più verso l’individuazione di interessi di più lungo periodo: dunque, verso interessi metaeconomici. L’interesse alla pace, l’interesse all’ambiente, l’interesse alla cultura e così via non sono forse interessi veri e fondamentali benchè di lungo periodo? Si può pensare di trascurarli e di non sentirli come vitali per ciascuno di noi? Che non abbiano un impatto concreto sulla nostra condizione umana e sulla vivibilità quotidiana? Il grande merito della democrazia è stato quello di dare dignità agli interessi di tutti i gruppi sociali, ma trova difficoltà a ricomporli in una “legge generale” (Rousseau), perché si è viepiù affermata la convinzione della sostanziale impossibilità di avere appunto una legge generale in una democrazia strutturata in uno Stato di diritto, inteso riduttivamente “come una funzione puramente formale di amministrazione dell’ordine esistente” (U. Cerroni).

Dalle involuzioni della politica, e dalle tentazioni autoritarie di questa, la democrazia può essere messa al riparo solo allungando lo sguardo e individuando gli interessi di prospettiva. Senza rinunciare ad alcuna delle sue peculiarità (come abbiamo detto: rispetto delle “regole del gioco”, meccanismo rappresentativo, spirito egualitario) deve saper fare una nuova sintesi di queste e proporsi sempre più come un sistema di valori generali che eleva il livello medio delle scelte della società.

Bisogna rendersi conto che la cultura costituisce il problema fondamentale anche della democrazia moderna.

Egidio ZACHEO

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