Il destino del Pd

Povero Pd. Adesso gli danno tutti addosso perché sta perdendo tempo sulle regole. Invece di mettersi a pensare – possibilmente in qualche convento, trecento o tremila maggiorenti – come vorrebbero cambiare il mondo. Sfornando – più in fretta che si può – una nuova ideologia, un nuovo gruppo dirigente, e un nuovo popolo. E visto che si trovano, di grazia, ci aggiungano anche un nuovo nome. Ovviamente, restando tutti uniti. Appassionatamente. Come recita il decalogo del buon partito.

Peccato che questo decalogo è vecchio di una cinquantina d’anni, i partiti sono ormai diventati un’altra cosa. E il Pd è il solo che non se ne è accorto. Restando prigioniero del suo passato, e dell’oligarchia che lo governa. Per uscire da questo circolo vizioso, c’è solo una strada: immettere nuovi attori nel sistema decisionale. A cominciare dalle primarie, l’unico grimaldello sopravvissuto del terremoto con cui Prodi e Veltroni cercarono di fare fuori la vecchia nomenklatura. Solo che le primarie sono state congelate a trent’anni fa: il porta a porta, il faccia a faccia, e i gazebo che sembravano un tuffo nella informalità del futuro. Nel frattempo il futuro ha camminato, ha corso attraverso la rete. E tutti i partiti moderni usano il digitale per connettersi col nuovo popolo, il popolo dei social network. A cominciare dai Democratici americani, che hanno costruito così la vittoria di Barack Obama e la reconquista di Biden. Nel Pd, invece, no.

La battaglia sul regolamento per fare entrare anche il voto online è stata l’unica chance di provare a scardinare l’oligopolio delle correnti. Non tanto al primo turno, dove comunque votano solo gli iscritti. Ma al secondo, dove la platea dei partecipanti si amplia. E con l’online si sarebbe potuta ampliare di molto, di moltissimo. Trasformando la sfida interna in una partita aperta. Il limite della proposta di Elly Schlein è stato di non averlo detto chiaramente. Avrebbe perso più rapidamente. Ma, almeno, ne avrebbe fatto una bandiera. Un manifesto della rivoluzione organizzativa senza la quale il Pd non ha futuro.

Anche perché solo in questo modo i democratici potevano sperare di intercettare il pianeta giovanile da cui restano tristemente esclusi. E cominciare finalmente a capire qual è la composizione sociale, la cultura, gli stili di consumo del popolo che dovrebbe votarli. Col che veniamo al secondo nodo che i Democratici non sanno come sciogliere, e di cui continuano a parlare, a vuoto per non dire a vanvera. Come ha suggerito Mercuri sul Corriere, basterebbe che si leggessero i due magistrali articoli di Giovanni Orsina sul Foglio, in cui spiega come la sinistra sia rimasta ancorata al suo bel blocco sociale, «i lavoratori intellettuali dei centri urbani che per vivere pensano il mondo, e per i quali il mondo vissuto coincide perciò col mondo pensato». Un blocco ormai minoritario, cui si oppone quello in espansione dei gruppi sociali periferici, convinti di essere penalizzati dalla globalizzazione, e che si fidano soltanto di ciò che vedono con i propri occhi. A cominciare da ciò che vedono in rete, nel loro microcosmo quotidiano. È questa «la nuova divisione di classe del ventunesimo secolo» e oggi il Pd, a dispetto dei suoi proclami, si trova dalla parte privilegiata della barricata. Continuando a criminalizzare il populismo senza mai farsi venire il dubbio che è proprio là che i ceti popolari hanno trovato – a torto o a ragione – rifugio, in quel mix di odio e protesta che è la loro unica identità.

Personalmente non mi sento di escludere che la Schlein – e forse anche Bonaccini – queste cose le abbiano capite, e potrebbero perfino avere il coraggio di dirle ad alta voce. Ma le regole attuali impongono di piegarsi al rituale dei circoli, dei loro iscritti ottuagenari, per lo più della Ztl, e fingere che in nome loro si possa cambiare qualcosa. Per questo lo scontro sulle regole è stato probabilmente l’ultimo tentativo di sparigliare. Qualche inguaribile ottimista potrebbe addirittura sperare che, chiusa la gara per la segreteria, il vincitore prenderà tutti in contropiede stringendo forte il bastone del comando e dettando le nuove regole. Ma – come ieri, a Mezz’ora in più, ha ricordato Mario Tronti – il nuovo avanza solo per rotture. E di vere rotture, all’orizzonte del Pd, proprio non se ne vedono.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 16 gennaio 2023).

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