Luigi Nacci: I dieci passi dell’addio – Einaudi editore
Anni fa – aimè ormai molti – conobbi Luigi Nacci.
Facemmo, con un altro caro amico Dome Bulfaro ( eravamo tutti più giovani ) una sua installazione poetica nel mio piccolo SpazioStudio : “Poema disumano” se non ricordo male il titolo. Lo seguii poi nel suo percorso poetico e di gran viandante, sino a questo suo primo romanzo, edito da Einaudi: “i dieci passi dell’addio”.
Libro che apre ad ognuno di noi le porte del dolore: una delle sveglie al trascendente, scrive Panikkar, che altro non è che trascendere se stessi e zittire la dea ragione.
Ed è stato proprio leggendo il libro di Luigi che ho tirato fuori dal cassetto un mio piccolo libro “Parole di passaggio” che scrissi nel 2004 – ancora il tempo batte forte sulla spalla – nell’occasione di un dolore.
E, come nel libro di Luigi, anche in questo mio vive la necessità per chi ama scrivere, per chi come noi non ne può fare a meno, di veleggiare dentro i molti porti che un abbandono, un tradimento, un lutto offrono al fine di fare quel passo trasformativo che ogni occasione porta, ma che non sempre riusciamo a fare, perlomeno nel modo in cui lo si dovrebbe compiere: ringraziando.
Nessun buonismo sia chiaro, nessuna lente rosa, la vita è un rischio radicale ma porta sempre quel che ci necessita, a noi accoglierlo e farne qualcosa di buono, un bene che tocca tutta il resto, in questa inter-in-dipendenza che ancora non riconosciamo.
L’ultima follia di questa nostro momento nella nigredo è la sologamia, nasce anche in Italia ( in America vive dal 93) il matrimonio con sé stessi. Lo si presenta come un atto non egoistico, se non ami te stesso come puoi amare un altro? Ti metti davanti allo specchio e non ti dimentichi di te.
Perchè noi poveri occidentali abbiamo così necessità di tante insane pazzie, di tante domande, di tante cose che accumuliamo invece di lasciare andare e lasciarci cadere in quel vuoto gravido ove nascerà l’uomo inedito, quello che non conosciamo ancora e che non conosceremo mai con la dea ragione, sarà un’esperienza inaudita, una nuova rivelazione, una rivoluzione finalmente disarmata che metterà insieme quel che insieme già è, ma che non vediamo, che ci ostiniamo a separare, a dividere.
Non è vero che se ti sposi da solo non puoi divorziare, ognuno di noi è legioni e dunque abbiamo opportunità di mille e più divorzi da noi stessi, oggi più che mai esiliamo parti di noi, tutto un gran baccanale senza più alcuna sacralità, ecco il male che ci imbavaglia, la mancanza di quella Saggezza che nasce quando l’amore della Conoscenza e la conoscenza dell’Amore si fondono.
E i due libri di cui parlo sono zeppi di amore, sgorga da tutte la parti, scende nei precipizi e s’innalza sulle vette come aquila reale, percorre tutti i sentieri, di cui Luigi è robusto conoscitore, ma alla fine mi sono detta che questo è ancora la pretesa di parlare dell’indicibilità dell’amore, quello vero, quello che move il sole e le altre stelle, è solo esperibile. Un’esperienza che ci auguriamo possa divenire via via collettiva, facendo così nascere, prendendo a pretesto il poema disumano di Nacci: un nuovo poema umano .
Il libro di Nacci e anche il mio, potrebbero essere riassunti nell’ultima battuta del bellissimo film di Woody Allen : Manhattan: “devi dare fiducia alla gente “.
Ma soprattutto devi darla al Mistero di te.
di Patrizia Gioia
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