Dogville

Dogville (2003) di Lars Von Trier

Primo film della dilogia (meglio, trilogia “mancata”) “U.S.A. – Terra delle opportunità”, Dogville è un film che sin dall’inizio si getta nella teatralità della vita: infatti, la vicenda si svolge su un palco teatrale, come se il teatro fosse la rappresentazione ideale della storia che Lars Von Trier ci va raccontando.

La scenografia è essenziale, portata a uno spirito dreyeriano, tanto che sono delle linee bianche di gesso a delimitare abitazioni e spazi.

Il film è un ritratto violento, sconvolgente (nel puro stile di Von Trier) dell’umanità, ma senza cadere nel puro splatter, anzi, analizzando in maniera dannatamente lucida la condizione umana.

Nicole Kidman, nei panni della protagonista Grace, è una figura singolare, in apparenza, almeno inizialmente, un personaggio alla Dostoevskij, di stoica ispirazione, che però riesce a trasformarsi in un’analitica e spietata figura che condanna ferocemente l’umanità, quella che la cittadina di Dogville deve rappresentare.

Infatti Dogville è una piccola cittadina delle Montagne Rocciose, tutto sommato tranquilla, seppur sostanzialmente isolata dal mondo. Tom Edison Jr., uno dei cittadini di questa piccola comunità, ha ambizioni intellettuali e organizza periodicamente riunioni in vista di una sorta di “rafforzamento morale ed intellettuale” della comunità.

Un giorno, Tom si imbatte nella persona di Grace, che sta fuggendo da dei gangsters: riesce a nasconderla e a deviare le ricerche dei delinquenti.

In una delle sue riunioni, Tom convince i concittadini a far restare Grace, a patto che si renda utile per la cittadina, aiutando i cittadini in varie faccende, anche accumulando una somma per sé, per un periodo di due settimane: dopo tale periodo, i cittadini avrebbero capito e stabilito se permettere a Grace di rimanere a Dogville.

Un giorno, arriva la polizia nella cittadina, la quale appende un manifesto su Grace, come fosse una ricercata: i cittadini, con differenti opinioni, permettono a Grace di rimanere nella località e tutto sembra procedere per il meglio…

Il 4 Luglio, il giorno dell’Indipendenza americana, Tom e Grace rivelano l’un l’altra i propri sentimenti e sembra che la trama prenda una strada piana e con risvolti positivi per la protagonista.

In realtà, la polizia torna a Dogville e appende un ulteriore manifesto, dove Grace è ricercata come colpevole di alcune rapine in banca: Tom, per “compensare” tale situazione, invita Grace a lavorare e aiutare di più la comunità, richiedendo sempre meno denaro: Grace accetta, visti anche i suoi sentimenti per Tom, ma questo fatto la porterà verso il baratro…

Infatti la comunità è sempre più stufa delle mancanze non volontarie di Grace, sempre stanca e stressata per il carico di lavoro, insidiata dagli uomini e invidiata dalle donne: ad esempio, Chuck arriva ad insidiarla violentemente e a stuprarla; Vera, la moglie di Chuck, insinua che Grace ha sedotto il marito e la maltratta pesantemente.

Grace racconta tutto a Tom, che, quale “uomo d’intelletto” è, decide di farla fuggire: corrompendo il camionista Ben, Tom cerca di far mandar via da Dogville Grace, ma Ben prima la stupra, poi la riporta a Dogville.

Grace viene incatenata e costretta, come una vera schiava, a servire tutti i cittadini del paese di Dogville, subendo violenze e disprezzo.

Una sera, durante una riunione, su suggerimento di Grace, Tom racconta quanto lei ha subito da tutti i cittadini: questi si sentono rinfacciare le loro azioni e spingono per cacciare la ragazza da Dogville.

Tom, spiegando il tutto a Grace, tenta un approccio con la medesima, che si nega, dicendogli che può utilizzare la violenza come gli altri: Tom chiama allora i gangsters per riprendersi Grace.

Indignati, questi liberano Grace, figlia di un capobanda malavitoso, che invita Grace a tornare con lui.

Grace infatti ha sempre disprezzato la violenza del padre, spinta da una forza morale superiore: sarà il padre a convincerla del fatto che lei non potrebbe mai perdonare quanto lei ha subito, soprattutto se tali misfatti li avesse commessi proprio lei.

A questo punto, i criminali sterminano la popolazione di Dogville e distruggono tutto. Grace uccide Tom, che tenta di salvarsi in tutti i modi, mentre lei risparmia tra tutti solo il cane Mosé, il quale è irrequieto perché una volta Grace stessa le ha preso il suo osso…

Dogville è quindi una rappresentazione dell’umanità, soprattutto della civiltà americana: Lars Von Trier dà un ritratto feroce della terra delle opportunità, che si muove fra la violenza dei malavitosi e la violenza dei liberi cittadini.

Grace appare come un angelo vendicatore, meglio, sterminatore (ricordando Buñuel…): angelo, perché agisce sempre secondo la sua etica, come se il puritano spirito di sacrificio possa garantirle una sorta di “beatificazione” e di riconoscimento sociale; sterminatore, perché, secondo sempre un ragionamento filosofico-etico, pensa che il male che lei ha subito è imperdonabile, come se lei stessa non fosse in grado di poter perdonare un peccato commesso in prima persona.

In questo film, scioccante e molto essenziale, Lars Von Trier sembra dichiarare un convinto pessimismo nei confronti dell’umanità, soprattutto nel fasullo mito della felicità americana, della democrazia americana, del sistema americano: non è forse un attacco diretto al mondo americano, come è il successivo Manderlay, e in realtà lo scopo è forse quello di avere una visione più ampia, che fuoriesce dai limiti geografici americani, eppure è proprio l’America la guida “spirituale” del mondo, o, in un certo senso, ha la pretesa di esserlo. In questo senso, Tom è un cittadino americano a tutto tondo, nonostante le sue presunte aspirazioni morali ed intellettuali, che in realtà non sono altro che lo spirito puritanamente utilitaristico dell’individuo, che cerca sempre di fare il proprio interesse, anche se sembra ben disposto verso la comunità…

La stessa comunità è un covo di perversi umani, che sfruttano Grace per il proprio tornaconto, che è materiale e carnale, anzi, fortemente carnale.

Grace è vittima, ma anche carnefice: Dogville scuote per i dubbi morali che pone e tutti gli individui del film hanno un lato oscuro (e non solo i gangsters).

Anche la scarna scenografica induce a pensare ai vari personaggi come individui poveri moralmente, che sono dei miserabili, i quali per affermare il proprio io usano la violenza: l’asciuttezza scenografica evoca una povertà etica.

L’uomo è peccaminoso, cerca di essere rigidamente puritano nella sua morale, che invece è intrisa di violenza.

Questo sembra dirci Von Trier, dando a questo film un piglio etico-filosofico che ricorda teorie nietzschiane come quella del Superuomo o della Volontà di Potenza, che rimanda all’incontro-scontro fra Hobbes e Spinoza sulla natura dell’uomo, senza dimenticare una straniante ispirazione brechtiana, che induce a guardare con un occhio critico le vicende e la caratterizzazione dei personaggi.

Un film complesso, lentamente opprimente sotto ogni punto di vista: un puro esempio di cinema autoriale che logora e logora lo spettatore, portandolo a riflettere sul proprio io e le proprie convinzioni, qualora ne abbia.

Marco Penzo

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