Dominio degli dei, reminiscenza di un periodo di lavoro in Francia, a volte noioso, ma a volte ravvivato dallo charme di quello che i francesi ritengono un livello di qualità.
Avevo raggiunto Nantes e stavo consultando la utilissima guida Michelin, utile per avere informazioni basilari sulle singole città: a Nantes mi si proponeva il Domaine des dieux per lo stato di raffinatezza senza dover spendere una follia.
La location era, come sovente, uno di quei castelli settecenteschi simili a quelli abitati dal Casanova o da un cavaliere dell’epoca, rustico ma elegante al tempo stesso e completamente costruito di e con pietra locale.
La guida Michelin prometteva un ritorno al ‘700, sia per il soggiorno che per i cibi ed io avevo grandi attese.
Mi fu assegnata una stanza arredata in modo conseguente, con arazzi d’epoca e mi sembrava effettivamente di tornare indietro nel tempo.
Come tanti, avevo un tesserino VRP che gli agenti francesi utilizzano per arrivare in un sito, cenare, trascorrere la notte, fare colazione il mattino dopo e poi ripartire.
Un sistema molto razionale, molto cartesiano, ma di sicuro successo.
Ed io mi adeguai.
Alle 19,00 in punto iniziò una melodia del ‘700, certo, né Mozart né Vivaldi, ma comunque una musica suonata alla corte del re di Francia.
Alle 20,00 in punto i clienti ricevevano una telefonata flautata che li invitava a prepararsi per la cena che sarebbe stata, come spesso si usa in Francia, a menù gastronomico, km. Zero, quindi tutte le specialità di mare e di terra presenti in un raggio di 10 km.
Nell’avviso sulla porta era specificato anche un “dress code” per cui in mancanza del papillon, indossai una sobria cravatta.
La cena fu cerimoniosa e se vogliamo un po’ goffa, con i valletti che servivano i vari clienti volteggiando di tavolo in tavolo, però simpatica e fuori dall’ordinario.
All’uso francese i vari piatti confondevano le carni con il pesce, i vini si alternavano e a metà pasto un discreto sorbetto distingueva e separava la prima dalla seconda parte, mentre il sommelier ammanniva vini ed infine cognac a tutti, incominciavo a preoccuparmi per la borsa, ma poi mi dissi che la guida Michelin non poteva mentire e che non sarei stato strangolato.
Salutato con un po’ di sussiego, mi ritirai nella mia stanza padronale un po’ brillo, sempre accompagnato dalle melodie in sordina.
Soltanto a mezzanotte la musica cessò e mi fu ammannito un “bonne nuit” da uno speaker cerimonioso.
Alle sette di mattina la stessa musica ricominciò a base di archi e violini e a poco a poco mi risvegliò facendomi sognare di essere nel castello di Blois o di Chambord: un quarto d’ora per ricomporre i miei bagagli di viaggiatore e poi giù, al petit déjeuner.
Anche qui i camerieri portavano una colazione che poteva essere recata ai viaggiatori verso il 1750 con una straordinaria quantità di confettura e di tartes varie.
Niente da dire, anche questa volta la guida Michelin non aveva mentito: richiedendo il conto mi resi conto che l’importo era lievemente più alto di quello suggerito, ma onestamente non troppo.
Mentre le melodie rimanevano nel sottofondo, un valet mi portava la macchina di fronte alla scalinata di ingresso.
Impeccabile.
Abbandonavo il ‘700 e rientravo nel ventesimo secolo: l’italietta ha ancora molto da imparare.
Viator
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