Dovuto a Freud

Da un po’ di tempo avevo adocchiato all’università una ragazza che mi sembrava interessante.

Non era di una bellezza stravolgente, ma era un tipino accuratamente vestita ed apparentemente educata. In ciò si distingueva dagli eredi del ‘68, che frequentavano le assemblee studentesche così rumorose e sguaiate.

Certo, erano finite le cerimonie accademiche degli anni ‘50 e ‘60 con i professori da una parte e gli studenti, silenziosi, ben rannicchiati sui loro banchi, dall’altra.

Certo, le lezioni e i seminari erano molto più divertenti, svincolati dalla disciplina rigida che ricordava la scuola di anteguerra.

Questa ragazza mi aveva colpito perché se ne stava per conto suo, prendendo appunti durante le lezioni in modo meticoloso, senza badare troppo a quello che facevano gli oratori improvvisati presenti in ogni lezione.

Io mi consideravo uno studente al quale piaceva seguire i professori più stimolanti, ma che era anche capace di dare qualche stoccata a quelli più noiosi.

Comunque, passavo il mio tempo nel tran tran universitario e non nego che, nonostante le ore di studio, pensassi qualche volta a delle compagnie femminili, che in realtà non avevo.

Ero pieno di miti cinematografici, mi piacevano molte attrici che allora andavano per la maggiore, ma in realtà ero molto brusco, molto “orso” per poter interagire con una ragazza della mia età.

Alla fine mi decisi a iniziare a parlare con questa ragazza di argomenti molto casuali, che non si riferivano necessariamente agli studi.

Se ben ricordo, il suo nome era Margherita, che io tradussi rapidamente in Meggie, americanizzandolo.

Visto che non c’erano potenziali rivali, procedetti con un lento assedio, determinato anche dal fatto che la ragazza non sembrava facilmente accessibile.

Seguendo i consigli paterni, ammanniti da qualcuno che sicuramente ne sapeva più di me sull’argomento, iniziai ad invitare Meggie dapprima alla mensa universitaria, dove ero di casa, e poi a farla partecipare a quei seminari, dei quali ero in un certo senso responsabile.

Il passo successivo fu quello di invitarla a fare un giro in macchina e qui avevo vita facile poiché disponevo di una nuova, fiammante, Fiat 128, con un colore celestino e con un profumo di nuovo.

Decisi di fare un passo ancora e comprai, in una confezione regalo, un piccolo ciondolo, di cui non ricordo esattamente la forma. Non so perché lo feci, forse perché ricordavo le memorie dei miei genitori, cose di tempi passati.

Fatto sta che, all’ora dell’appuntamento, mi recai al luogo stabilito, feci gentilmente salire la ragazza e poi innestai la marcia e partii, per un po’ parlammo del più e del meno poi, un po’ imbarazzato, estrassi dal cruscotto il pacchetto regalo e glielo porsi.

A poco a poco il volto della ragazza, che all’inizio era tranquillo e ridente, si trasformò, aprì lentamente il pacchetto e vide il ciondolo: divenne una specie di furia, prese la catenina, la spezzò ed il mio regalo finì per terra sul fondo della vettura accanto al posto guida.

Io la guardai stupito, vidi un volto stranito rispetto a quello di prima e mi rannicchiai verso la portiera.

Non sapevo che dire e neppure cosa pensare, ero di fronte ad una trasformazione da una tranquilla ragazza ad una Erinni. Il silenzio era assoluto, si sentiva solo il rumore del motore e mi sembrò che Meggie facesse stridere i denti.

Signori, avevo paura, non so dirvi perché, ma avevo paura, e volevo uscire a tutti i costi da quella situazione. Procedetti con la macchina per qualche chilometro poi decisi di fermarmi ad una stazione di servizio.

Addussi la scusa che dovevo aggiungere del carburante e visto che accanto alle pompe di benzina c’era un piccolo bar aperto, invitai Meggie, che sembrava rinsavita, a prendere un caffè o un aperitivo, mentre io armeggiavo con la macchina, la vidi scendere, entrare nel piccolo bar, ordinare ed attendermi.

Io ero spaventato ma ben deciso: feci mettere qualche litro di benzina, aprii il cofano per far controllare i vari livelli, pagai l’addetto.

Non ci pensai neanche un secondo, partii in quarta e mi congratulai con me stesso per lo scampato pericolo.

Viator

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